Morte del prossimo congiunto: il danno da lesione del rapporto parentale è un danno c.d. presuntivo, non in re ipsa

02 Settembre 2022

La Terza sezione della Cassazione ha ribadito il proprio orientamento in tema di liquidazione del danno da lesione parentale.

Così si è espressa la Terza Sezione della Cassazione Civile, nella sentenza n. 25541 del 2 febbraio 2022, depositata il 30 agosto 2022.

Il caso. La vicenda giunta all'attenzione della Terza Sezione riguarda un caso di responsabilità medica e in particolare una richiesta di risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale promossa dai familiari di un soggetto deceduto a seguito di una visita presso il pronto soccorso in cui avrebbe ricevuto una errata diagnosi e piano terapeutico.

Mentre il giudizio penale si è concluso in appello con l'assoluzione per assenza di nesso causale tra la condotta omissiva (comunque definita colposa) del medico e la morte, nel 2011 la Cassazione, investita dei soli capi civili, annullò la pronuncia del giudice di appello per illogicità della motivazione, e rinviò al giudice civile d'appello.

Dopo aver svolto CTU medico legale la Corte d'Appello accolse la domanda risarcitoria dei figli dell'uomo, a titolo di danno iure proprio da lesione del rapporto parentale.

A seguito del ricorso del medico la vicenda è quindi giunta (nuovamente) all'attenzione della Cassazione, che ha rigettato tutti i quattro motivi di ricorso.

Il rapporto tra giudizio civile e giudizio penale. La Terza Sezione ha ribadito i principi affermati nella propria sentenza numero 15859/2019, ovvero che:

1) il diritto al risarcimento del danno è un diritto eterodeterminato, e quindi l'identificazione della domanda è conseguenza esclusiva dell'individuazione del relativo petitum e della relativa causa petendi come rappresentata dal danneggiato in sede di costituzione di parte civile;

2) i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno prescindono dall'identificazione del fatto come reato e da ciò consegue la legittimità, in sede di giudizio davanti alla Corte d'Appello civile, di una eventuale diversa valutazione degli stessi;

3) quale conseguenza del rinvio a giudice civile il fatto perde la sua originaria connessione con il reato per riacquistare i caratteri dell'illecito civile, seguendo i canoni probatori propri di tale processo;

4) il giudice civile in sede di rinvio dovrà applicare, in tema di nesso causale, il canone probatorio civilistico del "più probabile che non" e non quello dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale.

Il danno da perdita del rapporto parentale non è un danno in re ipsa. Il danno da perdita del rapporto parentale, secondo l'interpretazione costante della giurisprudenza di legittimità, intende ristorare familiare dal pregiudizio subito sotto il duplice profilo morale, di estendere la sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell'impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico-relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l'intera esistenza del soggetto che l'ha subita (così, ad esempio, Cass. Civ, Terza Sezione, n. 28989 del 11/11/2019).

Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello) l'orientamento unanime della Cassazione è che l'esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, essendo tale conseguenza, per comune esperienza, connaturale all'essere umano (così Cass. Civ. Terza Sezione, n. 11212 del 24/04/2019, Cass Civ. terza Sezione n. 31950 del 11/12/2018).

Trattandosi, peraltro, di presunzione semplice, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l'esistenza di circostanze concrete che dimostrano l'assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite.

È stato dunque rigettato il motivo di ricorso proposto dal ricorrente secondo cui i giudici d'appello avevano riconosciuto il danno in re ipsa: infatti affermare che la presenza di un legame di parentela qualificato sia elemento idoneo a fondare la presunzione, secondo l'id quod plerumque accidit, dell'esistenza del danno in capo ai familiari del defunto, è cosa ben distinta dal riconoscere a questi ultimi la risarcibilità del danno in re ipsa, per il solo fatto della sussistenza di un legame familiare.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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