Il possibile “ritorno” della categoria dell'inesistenza della deliberazione assembleare

Dario Scarpa
06 Settembre 2022

Una recente pronuncia (sentenza n. 26199 del 2021) con cui la Cassazione è tornata ad occuparsi della categoria dell'inesistenza delle delibere assembleari, costituisce l'occasione per analizzare il regime di invalidità delle deliberazioni nelle società di capitali.
Il recente arresto della Cassazione in tema di inesistenza della delibera assembleare

La categoria della c.d. inesistenza della deliberazione assembleare ha trovato, di recente, nuova vitalità di discussione dopo anni di “letargo” a seguito della entrata in vigore della riforma del diritto delle società di capitali che ha (recte, aveva) tacitato la tendenza a considerare la categoria della inesistenza quale “altra” causa di invalidità delle delibere.

Tale reviviscenza della inesistenza della delibera assembleare viene all'esito dell'arresto della Suprema Corte (n. 26199/2021) che ha affermato come: “benché sia innegabile che, nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003, il legislatore abbia esplicitato di avere bandito ogni ipotesi di invalidità atipiche, come l'inesistenza di deliberazioni assembleari, sussistendo una piena riserva di legge con riguardo ai casi d'invalidità delle deliberazioni assembleari, è altrettanto vero, tuttavia, che le ipotesi di nullità oggi considerate dall'art. 2379 c.c., si riferiscono ai casi in cui ci si trovi in presenza di un atto formale comunque imputabile alla società. Il tutto presuppone, dunque, che si sia tenuta un'assemblea della società che, seppure non convocata, sia qualificabile come tale, cioè abbia visto la partecipazione ad essa quanto meno di un socio della società medesima. Invece, nel caso di assemblea caratterizzata dalla presenza esclusivamente di soggetti privi della qualifica di soci, si tratta di un'ipotesi di inesistenza materiale della delibera che risulta estranea alla categoria di cui all'art. 2377 c.c., non sussistendo un atto imputabile, in via astratta, alla società”.

In termini concreti, la Cassazione chiarisce che: “in particolare, venendo alla concreta vicenda in esame, alle due deliberazioni assembleari partecipò un solo soggetto, affermatosi titolare del 99,5% del capitale sociale, e che, tuttavia, lo stesso non era socio al momento dell'assunzione delle deliberazioni ed espressioni del voto: situazione idonea ad integrare quei casi in cui neppure sussista un simulacro di deliberazione, munita di quei requisiti minimi per riconoscerla come tale. La disposizione, ex art. 2377, comma 5, c.c., è relativa ad una vicenda concernente il quorum costitutivo dell'assemblea. La deliberazione non può essere annullata per la partecipazione all'assemblea di persone non legittimate, salvo che tale partecipazione sia stata determinante ai fini della regolare costituzione a norma degli artt. 2368 e 2369, c.c.”.

Arrivando alle conclusioni applicative del proprio ragionamento, gli ermellini, dunque, sostengono: “nell'odierna fattispecie, invece, nemmeno è a parlarsi di quorum costitutivo, posto che si è al cospetto di un atto nemmeno materialmente definibile come delibera assembleare, essendo il risultato di riunioni svoltesi, esclusivamente, tra soggetti rivelatisi affatto privi della qualifica di soci della società. In definitiva, non basta una votazione, purchessia, per potere configurare l'esistenza di una deliberazione societaria. È, per contro, necessario che la stessa provenga da un'assemblea della società che sia effettivamente qualificabile come tale — perché partecipata da almeno uno dei suoi soci”.

In buona sostanza, viene ripresa dalla giurisprudenza di legittimità la nozione di inesistenza della deliberazione assembleare a seguito della constatazione della non imputabilità dell'atto (nella specie, una deliberazione verbalizzata in atto) alla persona giuridica (vedi Ascarelli, Inesistenza e nullità, in Problemi giuridici, Milano, 1959, I, 227 e Ferrari, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 518).

Vale, da subito, chiarire, tuttavia, come la fattispecie in oggetto appaia emblematica di una situazione fattuale “al limite”, vale a dire la verificazione della assenza in assemblea della (quasi) totalità del capitale sociale per presenza in loco di soggetto privo della qualifica formale (ed anche sostanziale) di socio (vedi, in tema, Guerrieri, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Milano, 2009, 48).

Evoluzione della categoria della inesistenza e profili sistematici

A ben riflettere sulla evoluzione della categoria della inesistenza delle deliberazioni di assemblea di società di capitali, la stessa si fonda sulla distinzione tra requisiti di esistenza e requisiti di validità dell'atto.

La dottrina, insieme alla giurisprudenza, ha ritenuto costantemente che un atto per essere valido debba possedere quegli elementi strutturali necessari alla relativa identificazione in termini giuridici: a contrario, l'assenza di tali elementi essenziali (e qualificanti l'atto negoziale) determina la mancata venuta ad esistenza del negozio/atto giuridico (vedi Buttaro, Considerazioni sull'inesistenza delle deliberazioni assembleari, in Studi in memoria di Ascarelli, IV, Milano, I, 2731 ss.; Ferri, Sulle deliberazioni cosiddette inesistenti, in Riv. dir. comm., 1967, I, 398 ss.; Grippo, Deliberazioni inesistenti e metodo assembleare, in Riv. soc., 1971, 874 ss.).

L'attenzione verso la categoria dell'inesistenza è il portato della comprensione (e relativa applicazione) della distinzione tra deliberazioni annullabili e deliberazioni nulle. Difatti, la categoria della nullità della deliberazione assembleare è conseguenza delle fattispecie di mancata convocazione dell'assemblea, di mancanza del verbale e, infine, di impossibilità o illiceità dell'oggetto (vedi art. 2379 c.c.); diversamente, la categoria della annullabilità della delibera assembleare riguarda le deliberazioni non conformi alla legge o allo statuto (così come prescritto all'art. 2377 c.c.) (in materia, Farenga, La deliberazione di società come atto a struttura procedimentale e la teoria giuridica dell'inesistenza, in Riv. dir. comm.,1988, I, 179 ss.; Zanarone, L'invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, III, Torino, 187 ss.; Cottino, Diritto commerciale, Padova, 1987, 430).

Prima della riforma del diritto societario del 2003, nonostante l'ordinamento contemplasse le due figure dell'annullabilità e della nullità delle deliberazioni assembleari, era però frequente il ricorso, sia in dottrina che in giurisprudenza, alla categoria logica dell'inesistenza al fine di colpire quei vizi procedurali limitati ai casi allora contemplati dal previgente art. 2379 c.c. (cfr. Genovese, Le fattispecie tipiche di invalidità, in Il nuovo diritto delle società, diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2007, 248).

Nella disamina della categoria della inesistenza, vale chiarire, inoltre, come l'annullabilità della delibera assembleare era, ed è, individuata mediante una sorta di clausola generale di conformità della legge e dello statuto.

Proprio la constatazione, indicata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, di non poter prendere in analisi ulteriori ipotesi di nullità rispetto a quelle tassativamente elencate dal legislatore portò all'adozione del concetto di inesistenza (si vedano Piazza, L'impugnativa delle delibere nel nuovo diritto societario: Prime riflessioni di un civilista, in Corr. giur., 2003, 965; Calice, La nullità delle deliberazioni assembleari di società di capitali nel quadro delle nullità speciali, in Riv. not., 2005, 21).

Laddove la deliberazione assembleare risultasse carente di elementi fondamentali o affetta da vizi di procedimento di tale gravità da non potersi nemmeno considerarla, appunto, esistente, la conseguenza teorico-pratica è stata quella di aggiungere una nuova categoria di patologia della deliberazione dell'assemblea (si leggano Gatti, La rappresentanza dei soci nell'assemblea, Milano, 1975, 103 ss.; Grippo, L'assemblea nella società per azioni, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Torino, 1985, p. 415; Sacchi, L'intervento e il voto nell'assemblea delle s.p.a. Profili procedimentali, in Trattato delle s.p.a. diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, 3, II, 41 e ss.).

La Cassazione, nella recente pronuncia, ha voluto rintracciare una causa di inesistenza della deliberazione dell'assemblea in virtù della constatazione che si è al cospetto di un atto nemmeno materialmente definibile come delibera assembleare, essendo il risultato di riunione svoltasi, esclusivamente, tra soggetti rivelatisi affatto privi della qualifica di soci della società (in passato, si vedano i precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità: Cass. 13 agosto 1951, n. 2513, in Giur. it., 1952, I, 1,174; Cass. 14 gennaio 1993, n.403; Cass. 4 dicembre 1990, n. 11601, in Giur. it., 1991, I, 1, 1408. Ancora, Cass. 24 gennaio 1995, n. 9364 e Cass. 8 novembre 1981, n. 6340).

A ben riflettere, il ragionamento muove dalla associazione (logica prima che giuridica) tra votazione, figura del socio ed assemblea: non basta una qualsiasi votazione per poter configurare l'esistenza di una deliberazione societaria; al contrario, è necessario che la votazione provenga da un'assemblea della società che sia effettivamente qualificabile come tale, perché partecipata da almeno uno dei suoi soci.

Casistica della inesistenza delle deliberazioni assembleari

È, ora, opportuna una rassegna di quella che è stata, in passato, la costante casistica della categoria della inesistenza quale patrologia invalidante le deliberazioni assembleari di società di capitali.

In tema, una ipotesi frequente è costituita dall'omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci; al riguardo, la giurisprudenza ha sostenuto che la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare determina l'inesistenza di quest'ultima, con la necessaria specificazione che, atteso che la convocazione assembleare debba essere considerato come atto recettizio con funzione di rendere edotto il socio della data e del luogo dell'assemblea, se una convocazione c'è stata, sebbene non proveniente dal soggetto legittimato, la delibera non può dirsi inesistente ma al massimo annullabile. Per l'effetto, lo scrimen tra inesistenza e annullabilità andrebbe rilevato nella totale assenza della convocazione ovvero nella viziata forma della convocazione dei soci.

Anche la mancata adunanza dei soci è stata dalla giurisprudenza di legittimità considerata qualificabile in termini di inesistenza, atteso che la stessa impedisce, de facto, di ritenere che si sia formata e sia stata espressa, nei modi previsti dalla legge, una qualsiasi volontà, suscettiva di formarsi appunto all'interno dell'assemblea dei soci.

Ugualmente, è stata considerata come inesistente la delibera assembleare adottata in un luogo diverso da quello indicato nell'avviso di convocazione, atteso che i soci non sarebbero in condizione di partecipare all'assemblea, con conseguente radicale carenza di uno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una volontà imputabile alla società (vedi Cass. 11 giugno 2003, n. 9364, in Foro it., 2004, c. 176; Trib. Napoli 13 novembre 1996, in Società, 1997, 317 con nota di Marulli, Convocazione dell'assemblea ex art. 2367 c.c. da parte di un singolo amministratore).

In funzione di ragionare sul recente arresto della Suprema Corte, di particolare interesse è la fattispecie di invalidità conseguente alla partecipazione all'assemblea di un soggetto non legittimato in quanto non socio; la costante tendenza giurisprudenziale tendeva ad ipotizzare l'applicabilità dell'inesistenza al solo caso di carenza di «legittimazione primaria» del soggetto, vale a dire di soggetto privo del diritto di voto (cfr. Buttaro, In tema di inesistenza di deliberazione assembleare, in Banca, borsa e tit. cred., 1962, I, 245).

È importante ricordare quanto indicato nella relazione di accompagnamento alla Riforma, ove si afferma espressamente che «l'individuazione legislativa delle ipotesi di invalidità richiesta dalla legge delega corrisponde ad una sorta di riserva di legge al riguardo, volta ad escludere ipotesi di invalidità atipiche, come l'inesistenza delle deliberazioni assembleari, della quale si è in giurisprudenza alquanto abusato, frustrando la portata dell'originario art. 2377 c.c. che aveva inteso convertire la nullità per violazione di norme imperative, di cui al principio generale dell'art.1418 c.c., in semplice annullabilità e reintroducendo in tal modo, sotto le mentite spoglie della inesistenza, la nullità virtuale delle deliberazioni assembleari per violazione di norme imperative. Si è perciò formulato il principio di tassatività delle ipotesi di invalidità delle deliberazioni previste dalla legge» (vedi Centonze, Inesistenza delle delibere assembleari e nuovo diritto societario, in Le Società, 9, 2008, 1135).

Inoltre, continuando nella lettura, vale notare che: «i casi tassativi di nullità delle deliberazioni assembleari sono stati accresciuti, anche al fine di confermare la superfluità della pronuncia di inesistenza: alla impossibilità o illiceità dell'oggetto si sono aggiunte la mancata convocazione della assemblea e la mancanza del verbale della deliberazione, pur con la analitica precisazione di quando una assemblea può dirsi non convocata e di quando un verbale può dirsi mancante».

È interessante risulta, ora, proporre l'orientamento della giurisprudenza di merito per il quale: “è da ritenersi fondata e quindi meritevole di accoglimento l'impugnazione proposta dal consigliere di amministrazione ai sensi dell'art. 2479 ter c.c. e volta ad ottenere la dichiarazione di annullamento della delibera dell'assemblea ordinaria della società qualora detta delibera sia stata assunta in evidente contrasto con quanto previsto dallo statuto societario, in particolar modo per quanto riguarda la convocazione dell'assemblea sociale. Non può, al contrario, trovare accoglimento la impugnazione della delibera assembleare formulata ex art. 2479 ter c.c. al fine di ottenere la dichiarazione di inesistenza della delibera stessa e ciò in quanto questa è una ipotesi di invalidità assai discussa che la riforma del diritto societario ha inteso di fatto bandire in quanto, nulla aggiungendo in effetti alla declaratoria di nullità, crea fattispecie atipiche di invalidità. L'art. 2479 ter c.c. circoscrive la declaratoria di nullità alle ipotesi di delibere aventi oggetto impossibile, illecito o assunte in assenza assoluta di informazione; pertanto, la delibera non può essere considerata nulla qualora, come nel caso di specie, sia stata data informazione della assemblea, tanto che alla convocazione è stato replicato dai convocati, anche se detto avviso di convocazione deve per regolamento statutario essere ritenuto irregolare” (così Trib. Milano, sez. VIII, 19 dicembre 2008, n.15120.

Una “non nuova” inesistenza: profili sistematici e di criticità

La fattispecie che la Suprema Corte ha analizzato prevede la circostanza che all'assemblea avesse preso parte un solo soggetto, apparentemente titolare della quasi totalità del capitale sociale, con ciò verificandosi uno di «quei casi residuali, certamente rari, in cui neppure sussiste un simulacro di deliberazione, munita di quei requisiti minimi per riconoscerla materialmente come tale».

Nel caso di specie non sarebbe proprio possibile individuare una deliberazione «secondo il suo essenziale procedimento e contenuto» laddove l'unico soggetto presente non sia socio.

In buona sostanza, il ragionamento della Cassazione, nel tentativo di reviviscenza della categoria della inesistenza, muove dalla constatazione per cui, anche dopo la riforma del diritto societario attuata con d.lgs. n. 6 del 2003, la delibera assembleare di una società di capitali, assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa, è inesistente, non sussistendo un atto imputabile, neppure in via astratta, alla società (si vedano, in tema, Stagno D'Alcontres, L'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, Torino, 2006, II, 201; Lener, L'invalidità delle deliberazioni, in Lener, Tucci, Società per azioni. L'assemblea, in Trattato di diritto commerciale diretto da Buonocore, Torino, 2012, 235).

Per l'effetto, ne deriva la conseguenza che risulta qualificabile come inesistente la delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio (cfr. in dottrina, Serra, L'assemblea: procedimento, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, 1994, 104 ss.; Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 400; Lavilla, L'ordine del giorno in assemblea di società per azioni, in Giur. comm. 1974, I, 474 ss.).

L'arresto della Cassazione, con il relativo tentativo di re-introdurre la categoria della inesistenza della deliberazione assembleare (di società di capitali), non convince sotto il profilo prettamente esegetico e sistematico [in tema, la giurisprudenza di legittimità afferma: “… né comporta inesistenza della convocazione (e della conseguente deliberazione, che sarà quindi solo annullabile) l'assoluta carenza di legittimazione dell'autore di essa (nella specie il curatore del fallimento del socio amministratore di s.r.l., decaduto dalla carica), essendo in tal caso configurabile una convocazione nel suo essenziale schema giuridico (atto recettizio con cui il socio è avvisato della data e del luogo della riunione) e dovendosi, d'altro canto, considerare che, mentre è giustificabile una reazione radicale (quale l'inesistenza giuridica) dell'ordinamento avverso una delibera assembleare in cui ai soci (che sono l'assemblea) non sia stata data neppure l'opportunità di partecipare alla deliberazione, sì che quest'ultima non può essere in alcun modo ricondotta alla loro volontà, diversamente deve, invece, argomentarsi allorché tale opportunità sia stata in concreto offerta, giacché in tale ultimo caso appare certamente più adeguata una reazione più misurata, in equilibrio con le contrapposte esigenze di certezza e stabilità dei deliberati societari, sottostanti alla particolare disciplina delle loro patologie prevista dagli art. 2377 e 2378 c.c.”, così Cass., sez. I, 11 giugno 2003, n.9364].

Difatti, la previsione di una inesistenza della delibera assembleare a seguito della constatazione della assoluta non imputabilità alla società parte dall'assunto (si ritiene, errato) della non applicabilità dei casi di nullità e annullabilità come prescritti dal dato normativo. Ora, di certo, i casi di nullità sono da considerarsi come tassativi e, quindi, prevedere casi residuali di nullità (oltre quelli indicati) è scorretto sotto il profilo sistematico. Tuttavia, la maggiore flessibilità della disciplina dei vizi di annullabilità consentirebbe di ricomprendere anche “altre” ipotesi di patologie gravi assunte per conto della società (vedi Donati, L'invalidità delle deliberazioni di assemblea delle società anonime, Milano, 1937, 7).

Di certo, l'applicabilità della annullabilità potrebbe determinare una maggiore complicata tutela della società a fronte della condotta scorretta di soggetti, non soci: si pensi, al regime di dimostrazione probatoria e di prescrizione delle azioni di responsabilità e di impugnazione. Tuttavia, sotto il profilo sistematico, l'introduzione della inesistenza, come chiarito dal legislatore della riforma, avrebbe un effetto ultroneo rispetto alla reale esigenza di tutela dei soci e, soprattutto, della società, come nel caso di specie.

In conclusione

Ebbene, volendo concludere il pensiero sulla categoria della inesistenza della deliberazione assembleare delle società di capitali, se abbandoniamo l'idea (scorretta sotto il profilo esegetico e sistematico) che l'inesistenza della delibera ricorra quando manca alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società - determinandosi così una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari -, non possiamo che ricavare la assoluta capacità delle categorie della nullità e dell'annullabilità a poter disciplinare ogni possibile patologia in cui incorra l'assemblea dei soci della società, nel momento in cui quest'ultima proceda ad esprimere la propria volontà.

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