Rilievo d'ufficio in appello della nullità contrattuale

Cesare Taraschi
08 Settembre 2022

La pronuncia in commento si pone nel solco, ormai consolidatosi, tracciato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione della rilevabilità d'ufficio in sede di gravame delle nullità contrattuali.
Massima

Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo.

Il caso

Tizio e Caio convenivano in giudizio, dinanzi al tribunale di Parma, la banca X per sentir dichiarare la nullità del contratto di acquisto di obbligazioni Cirio ovvero l'annullamento per dolo o conflitto d'interessi, ovvero ancora la risoluzione del predetto contratto per inadempimento della banca convenuta e la condanna di quest'ultima a rifonderli dell'importo oggetto dell'investimento, deducendo di aver sottoscritto con l'istituto di credito convenuto un contratto di deposito titoli in custodia e amministrazione e di aver poi impartito l'ordine di acquisto dei titoli obbligazionari predetti, facendo affidamento sulle incomplete informazioni ricevute dall'intermediario finanziario, con conseguente perdita del capitale investito.

Il tribunale adito rigettava la domanda. Gli attori proponevano gravame, che veniva accolto dalla Corte d'appello di Bologna, con condanna della banca X al rimborso dell'importo oggetto dell'investimento.

In particolare, il giudice di secondo grado riteneva infondata l'eccezione relativa alla mancata riproposizione della domanda di nullità del contratto-quadro di investimento per difetto della forma prevista dal T.U.F., nonchè l'eccezione di inammissibilità della domanda di nullità per assenza di firma del legale rappresentante della banca in quanto domanda nuova proposta solo in appello, atteso che: a) la domanda di nullità del contratto-quadro era stata riproposta anche in appello, sia pure sotto diversa prospettazione, e dunque nessun giudicato interno si era formato sulla stessa; b) la domanda di nullità del contratto-quadro per assenza di firma del legale rappresentante della banca non poteva considerarsi nuova in quanto già proposta in primo grado, sia pure sotto altra angolazione prospettica, non potendo comunque ritenersi sussistente il vizio di ultra o extrapetizione allorquando, in corso di causa, la parte deduca a fondamento della domanda una diversa qualificazione giuridica dei fatti già dedotti; c) la nullità contrattuale diversa da quella invocata nella citazione può sempre essere rilevata d'ufficio, anche se riguarda una nullità di protezione: nella specie, il contratto-quadro ed il successivo ordine di acquisto in contestazione erano stati sottoscritti solo dai clienti e dovevano, pertanto, ritenersi inefficaci, con conseguente obbligo restitutorio, da parte della banca, del capitale investito.

La sentenza d'appello era impugnata dalla banca X, la quale deduceva: 1) la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., inerente all'inammissibilità di domande nuove in appello; 2) la violazione e falsa applicazione dell'art. 23 T.U.F., per la ritenuta carenza di forma scritta del contratto-quadro; 3) la violazione e falsa applicazione dell'art. 1418 c.c., per l'omessa detrazione delle cedole percepite dal quantum dovuto dalla banca a fronte della declaratoria di nullità dell'operazione di investimento; 4) la violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione alla mancata condanna dei clienti alla restituzione dei titoli obbligazionari; 5) la violazione e falsa applicazione dell'art. 346 c.p.c., per la mancata declaratoria di decadenza dei clienti investitori dalle domande non riproposte in appello.

La questione

La pronuncia in commento si pone nel solco, ormai consolidatosi, tracciato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione della rilevabilità d'ufficio in sede di gravame delle nullità contrattuali.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il primo motivo, con cui i ricorrenti deducevano che il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto ammissibile la domanda di nullità del contratto-quadro per assenza di sottoscrizione del legale rappresentante della banca, sebbene tale domanda fosse stata proposta dalla controparte per la prima volta in appello.

In senso contrario a tale doglianza, la Cassazione ha richiamato il principio secondo cui, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242; Cass. Civ. 5 aprile 2017, n. 8841; Cass. Civ. 19 luglio 2018, n. 19251; Cass. Civ. 17 ottobre 2019, n. 26495; Cass. Civ. 15 settembre 2020, n. 19161). Inoltre, la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette “di protezione” (tra le quali rientra quella di cui all'art. 23 T.U.F.), che costituiscono, secondo le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, una species del più ampio genus costituito dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo (Cass. Sez. Un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243).

Risulta, invece, fondato il secondo motivo, con conseguente assorbimento del terzo e del quarto, avendo la corte di merito erroneamente ritenuto che la mancata sottoscrizione del contratto-quadro da parte del legale rappresentante della banca comportasse la nullità dello stesso e del successivo acquisto dei titoli obbligazionari disposto in esecuzione del primo.

Tale conclusione si pone, invero, in contrasto con il principio recentemente affermato in materia di contratti monofirma, secondo cui “In tema d'intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall'art. 23 del d.lgs. 58/1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Cass. Sez. Un., 16 gennaio 2018, n. 898; conformi Cass. Civ. 2 aprile 2021, n. 9187, e Cass. Civ. 17 gennaio 2022, n. 1250).

In accoglimento del secondo motivo, quindi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla corte d'appello di Bologna in diversa composizione.

Osservazioni

Con la pronuncia in esame vengono ribaditi alcuni dei principi formulati dalle Sezioni Unite nel 2014 (sentenze del 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243) in tema di rilievo d'ufficio delle nullità negoziali.

Il decalogo della Suprema Corte sul tema può essere così sintetizzato:

1) il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l'esistenza di una causa di quest'ultima diversa da quella allegata dall'istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio (conf. Cass. Civ. 26 luglio 2016, n. 15408);

2) la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una species del più ampio genus rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali - quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) - che trascendono quelli del singolo;

3) il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità parziale del contratto deve rilevarne di ufficio la nullità totale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo attribuire efficacia, neppure parziale (fatto salvo il diverso fenomeno della conversione sostanziale), ad un negozio radicalmente nullo;

4) di converso, il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo (conf. Cass. Civ. 18 giugno 2018, n. 16051);

5) nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo;

6) i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell'art. 1424 c.c., - secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso - atteso che, altrimenti, si determinerebbe un'inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale;

7) la rilevazione ex officio delle nullità negoziali (sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, ed altresì per le ipotesi di nullità speciali o di protezione), intesa come indicazione alle parti di tale vizio, è sempre obbligatoria, purchè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”; la loro “dichiarazione” da parte del giudice, invece, ove sia mancata un'espressa domanda della parte pure all'esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte e, quindi, un'esplicita domanda) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione (conf. Cass. Civ. 5 febbraio 2019, n. 3308; Cass. Civ. 13 dicembre 2021, n. 39437);

8) se, pertanto, il giudice rigetta la domanda di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento, senza rilevare, nè dichiarare, l'eventuale nullità del contratto, fondando cioè la decisione su una individuata ragione più liquida ed immediata (in base ad un'esigenza di economia processuale e motivazionale), ne consegue che, non essendo stato esaminato, neppure incidenter tantum, il tema della validità o invalidità del contratto, non si forma alcun giudicato implicito esterno su tale questione, sicchè la domanda di nullità potrà essere proposta in separato giudizio;

9) se, invece, il giudice accoglie la domanda (di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento), la pronuncia è idonea alla formazione del giudicato implicito sulla validità del negozio, salva la rilevazione officiosa della nullità da parte del giudice d'appello;

10) il giudice dichiara la nullità nel dispositivo se, dopo averla rilevata e sottoposta all'attenzione delle parti, una di queste propone apposita domanda principale o incidentale di accertamento della nullità, mentre, in mancanza di tale domanda, la nullità (tranne quella “di protezione”, che richiede comunque la domanda della parte interessata) va dichiarata nella sola motivazione: in entrambi i casi, la dichiarazione di nullità (oppure di non nullità), effettuata nel dispositivo o nella sola motivazione, è idonea a passare in giudicato in assenza di impugnazione.

Per quanto interessa in questa sede, in relazione all'oggetto della pronuncia in esame, va quindi ribadito che il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che supponga la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione - e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato tali validità ed efficacia, né le parti ne abbiano discusso - trattandosi di questione inerente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c. (Cass. Civ. 19 luglio 2018, n. 19251; Cass. Civ. 15 settembre 2020, n. 19161).

Il rilievo d'ufficio è, invece, impedito dalla formazione del giudicato interno e del giudicato implicito. Come, infatti, precisato dalla giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite, è pur vero che il rilievo officioso della nullità (anche speciale o di protezione) è consentito nell'ambito non solo del primo grado di giudizio – nel contesto di un thema decidendum incentrato sulla domanda di adempimento, oppure su quelle di risoluzione o annullamento o rescissione – ma anche nel successivo gravame, sempre che, però, per effetto di una pronuncia di merito, incompatibile con la questione pregiudiziale di nullità del negozio, non si sia formato un giudicato implicito (il che si deve negare nell'ipotesi di una decisione fondata sulla ragione più liquida, benché, a stretto rigore, giuridicamente postergata). Solo in presenza di tale pronuncia di merito, il principio devolutivo, che restringe il thema decidendum ai motivi esplicitamente dedotti dalla parte soccombente, sarà preclusivo dell'esercizio del potere officioso di rilevazione della nullità (Cass. Civ. 4 maggio 2016, n. 8795).

Pertanto, se la nullità ha costituito oggetto di trattazione nel primo grado del processo, la questione può essere riesaminata o rilevata d'ufficio soltanto se è riproposta con i motivi di impugnazione, e la mancata rilevazione della nullità, su specifica domanda od eccezione, configura una omessa pronuncia da far valere con i motivi di gravame, altrimenti dando luogo ad una questione preclusa in appello e in Cassazione (Cass. Civ. 17 gennaio 2017, n. 923).

E', quindi, soltanto quando viene evitato il giudicato che il giudice di secondo grado può rilevare d'ufficio l'eventuale esistenza di cause di nullità del contratto non ancora rilevate (Cass. civ., 5 aprile 2017, n. 8841, nel caso dell'erede convenuto per l'adempimento di un legato che aveva proposto in via riconvenzionale una domanda di annullamento del testamento per falsità della data e che, in appello, aveva contestato la validità del titolo, così impedendo la formazione del giudicato su tale questione: era, dunque, consentito rilevare d'ufficio il difetto di autografia dell'atto).

Dalle predette pronunce si ricava, altresì, che, se è inammissibile la domanda di nullità proposta per la prima volta in appello, la stessa può comunque valere come eccezione in senso lato o, il che è lo stesso, come sollecitazione al giudice a far utilizzo del suo potere d'ufficio. Cass. Sez. Un., n. 26243/2014 ha, infatti, precisato che la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello, è inammissibile ex art. 345, comma 1, c.p.c., salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare d'ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c. – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, ai sensi del comma 2 del medesimo art. 345 c.p.c. (cfr. anche Cass. Civ. 30 dicembre 2016, n. 27516, secondo cui la questione di nullità sollevata per la prima volta in appello non come domanda ma come eccezione riconvenzionale, rispetto all'avversa domanda riconvenzionale di pagamento contrapposta a quella principale di risoluzione, è ammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c., in quanto rimane circoscritta nell'ambito della difesa, senza tendere ad altro fine che non sia quello del rigetto dell'avversa domanda).

Da ultimo, solo per completezza, va rilevato che i principi predetti sono stati applicati anche in tema di impugnazione del lodo arbitrale, essendosi statuito che gli arbitri hanno l'obbligo di segnalare alle parti l'esistenza di una nullità c.d. di protezione e, qualora gli stessi non pongano in essere tale segnalazione, questa deve essere compiuta dal giudice statale adito in sede di impugnazione del lodo, in quanto la mancata segnalazione della nullità di protezione è motivo di impugnazione, ai sensi dell'art. 829, comma 3, c.p.c., attenendo la disposizione che commina tale forma di nullità all'ordine pubblico comunitario (Cass. Civ. 6 maggio 2022, n. 14405, la quale ha ritenuto che gli arbitri siano tenuti a segnalare la nullità di protezione derivante dalla violazione dell'art. 2 d.lgs. 122/2005, che impone al costruttore l'obbligo di rilasciare e consegnare all'acquirente una fideiussione di importo corrispondente alle somme riscosse, e che tale omissione sia deducibile in sede di impugnazione del lodo).