Liquidation preference: nuovi assetti e conseguenze

21 Settembre 2022

Il presente contributo si concentra sulle clausole statutarie di liquidazione preferenziale: gli accordi che, nell'ambito di accordi di investimento e operazioni di venture capital, definiscono l'ordine secondo cui i diversi investitori possono “uscire” dalla società, con il fine principale di ridurre il rischio dell'investimento (la c.d. liquidation preference).
Premessa

La costante influenza del mondo Venture capital d'oltreoceano spinge a riflettere sulla compatibilità e convivenza degli interessi dell'investitore con i principi del nostro ordinamento sugli assetti societari. Un tipico esempio di questa continua ricerca di bilanciamento di interessi è rappresentato dalle clausole statutarie di liquidazione preferenziale o – per meglio dire – liquidation preference. Si tratta di una disposizione statutaria che definisce l'ordine secondo il quale i diversi investitori possono disinvestire dalla società, con il fine principale di ridurre il rischio dell'investimento. La liquidation preference è infatti una delle clausole più frequenti all'interno di un term sheet correlato ad una operazione di futura exit ed è, con tutta evidenza, uno dei fattori con maggiore impatto sul valore economico della trattativa complessiva tra investitore e founders.

Le preferenze liquidatorie

Nelle operazioni di venture capital, la tutela delle aspettative finanziarie di business angels o dei fondi di VC è costituita non tanto dai dividendi (eventualmente) distribuiti dalla società durante il periodo di investimento, quanto dalla possibilità di monetizzare, in sede di exit, la crescita della startup, nonché il rischio (variabile a seconda della fase in cui interviene l'investimento) che corre l'investitore. Conseguentemente, come sopra accennato, è usuale che gli accordi di investimento includano clausole cosiddette di liquidation preference, attraverso le quali si disciplinano le modalità di distribuzione dei proventi derivanti da eventi di liquidazione prestabiliti (c.d. proceed) con un sistema non proporzionale che, in primo luogo, ritorni agli investitori quanto meno il capitale investito. (A. Capizzi, P. Agstner, P. Giudici: “Il design contrattuale delle startup VC-financed in Italia”, AGE, 2021)

La prassi conosce due principali tipologie di clausole di liquidation preference:

(i) c.d. partecipating: si riconosce al fondo di VC o al business angels il diritto di rientrare, in via preferenziale rispetto agli altri soci, del capitale investito, aumentato di un tasso di interesse annuo convenuto tra le parti (c.d. hurdle rate); dopodiché gli eventuali proceed rimanenti vengono distribuiti pro-quota e pari passu tra tutti i soci, quindi incluso, con espressa previsione statutaria, l'investitore stesso. È chiaro come questa variante sia volta a tutelare maggiormente l'interesse patrimoniale del fondo in quanto consentirebbe di incassare per due volte da un singolo evento (c.d. double dip).

(ii) non partecipating: si riconosce al fondo di VC o al business angels esclusivamente il diritto di ricevere in via preferenziale rispetto agli altri soci il maggiore valore tra il capitale investito, aumentato dell'hurdle rate e quanto riceverebbe in caso di distribuzione pro-quota e pari passu dei proceeds, con esclusione, pertanto, da eventuali ulteriori distribuzioni.

La scelta della diversa tipologia di liquidation preference da utilizzare dipende da molteplici fattori, quali a titolo esemplificativo il tipo di investitore (i.e. istituzionale, fondi VC o angel investor), la taglia e la durata dell'investimento, nonché da ulteriori variabili determinate dalla valorizzazione pre-money della società target, dal tipo di business e dallo stadio della società e quindi pre-seed (cioè la fase iniziale nel ciclo di vita di una new-co, nella quale l'idea innovativa di business è stata appena creata dai fondatori), seed (quindi una fase più avanzata della vita della start-up, nella quale i fondatori chiedono finanziamenti per sviluppare il progetto ed entrare così nel mercato di riferimento), “unicorno” (trattasi di una start-up che viene così definita proprio da investitori ed angels per sottolineare il raggiungimento della valutazione di 1 miliardo – sia consentito precisare si stratta di uno status particolarmente raro, se si pensa che in Italia sono definite unicorno solo Yoox, Deepop e di recente Scalapay).

In questo contesto, un ruolo fondamentale nella scelta della liquidazione preferenziale gioca proprio la valutazione pre-money della società, ossia il valore che alla stessa viene riconosciuto dagli investitori al momento precedente l'investimento.

Ed infatti, al “tavolo delle trattative” non sono rari i casi in cui vi sia un gap rilevante fra la valorizzazione attribuita dai soci fondatori e quella che a seguito di due diligence viene riconosciuta dagli investitori. È proprio in queste fasi che l'utilizzo della liquidation preference diventa uno strumento prezioso proprio per investire ad una valorizzazione più alta (interesse dei fondatori) per poi puntare ad ottenere un maggiore ritorno economico sull'investito (interesse degli investitori) mediante meccanismi con multipli, che mirano ad ottenere la restituzione di un importo pari ad “enne” volte l'investimento.

Si nota, infatti, che la prassi statutaria accoglie la liquidazione preferenziale non tanto nelle fasi early stage della target, in quanto ancora troppo premature per poter individuare un orizzonte temporale certo e predefinito in base al quale misurare il ritorno sul capitale investito; quanto almeno nella fase seed dove gli investimenti vengono fatti nell'ottica di un ritorno ad almeno tre anni.

Come sopra accennato, non è revocabile in dubbio che la liquidation preference, nella sua versione partecipating, consenta all'investitore non solo di ricevere un multiplo (già concordato) del suo investimento, ma anche (e con preferenza) l'intero controvalore della partecipazione maggiorato di un interesse. In questo contesto, quindi, ci si interroga (cfr. infra) se la logica per cui sono state coniate tali strutture protettive non diventi eccessivamente distorsiva e mal digerita da parte dei founders, divenendo non solo una protezione in caso di down side e quindi di exit, ma anche una sorta di garanzia su un up side oltre le migliori ragionevoli aspettative di ritorno.

A ben vedere dunque, a seconda della forza degli interlocutori che partecipano alle trattative o quando la presenza di diverse categorie di investitori inizia a rendere particolarmente complessa la distribuzione dei proceed, si può notare come alcune previsioni statutarie vadano a calmierare la disparità di trattamento patrimoniale che può recare la clausola in esame nei confronti dei founders. Lo strumento più semplice in tal senso è quello di far seguire la liquidazione preferenziale del fondo da una ulteriore liquidazione dedicata ai founders. In altri termini, si riconosce ai founders – al pari di un incentivo o un premio per l'attività svolta – e sempre in via preferenziale rispetto alla distribuzione pro quota, un importo proporzionale a quanto già riconosciuto al Fondo, bilanciando le aspettative patrimoniali di entrambi i soggetti coinvolti.

L'esperienza nei sistemi di Common law: le preferred shares

Al pari delle altrettanto famose – oltre che tipiche dei contratti di investimento - clausole di tag-along e drag-along, anche le clausole statutarie di Liquidation preference trovano i loro natali nei paesi di common law e in particolare nella prassi di quelle start up che trovano sede nel Delaware.

È ampiamente noto come oltremanica e oltreoceano la “libertà di manovra” riconosciuta all'autonomia statutaria sia ben diversa e maggiore rispetto a quanto previsto dall'ordinamento italiano. E proprio le clausole oggetto di questo approfondimento possono costituire esempio di quanto affermato.

Nei contratti di investimento si prevede una differenziazione dei diritti patrimoniali e amministrativi del fondo di VC rispetto a quelli dei founders: questi riceveranno partecipazioni ordinarie, mentre i primi le c.d. convertible preferred shares, cioè azioni privilegiate convertibili.

E' bene precisare che queste azioni non possono essere paragonate alle azioni privilegiate conosciute nel nostro ordinamento, perché si tratta di strumenti finanziari di “quasi-equity. Infatti, la peculiarità consiste proprio nel meccanismo di conversione – obbligatorio o facoltativo – che scatta in modo premiante al verificarsi di eventi di liquidazione. Al contempo, fino alla conversione, si riconoscono all'investitore privilegi patrimoniali legati alla distribuzione di proventi derivanti da tutte quelle attività idonee a generare profitto. Chiaramente il privilegio patrimoniale riconosciuto sarà pari all'ammontare investito ovvero un suo multiplo.

Al pari delle “nostre” liquidation prefernce, le preferred shares possono essere declinate come non partecipating o partecipating a seconda che partecipino alternativamente o cumulativamente con i proceed associati ai flussi di cassa residuali degli eventi di liquidazione. Pertanto, nelle non partecipating la scelta data al venture capitalist è tra la mancata conversione con un ritorno patrimoniale predeterminato e fisso – pari o multiplo dell'investimento – oppure convertire e percepire al controvalore reale dell'azienda. Nelle partecipating, il venture capitalist partecipa ad entrambi i flussi (c.d. double dip).

Altro diritto patrimoniale incorporato nelle shares che ci occupano è legato ad un dividendo garantito che pertanto prescinde da ogni eventuale processo deliberativo percorso dall'assemblea (peculiarità vietata nel nostro ordinamento dall'art. 2433 c.c.). Con la conseguenza che in caso di mancata effettiva distribuzione, l'importo garantito – maggiorato di interessi – andrà ad accrescere il valore nominale delle preferenze.

Sul piano della governance societaria, il venture capitalist, pendente la conversione, ha altresì il diritto di partecipare e votare nella stessa assemblea dei founders, come se le azioni fossero già state oggetto di conversione.

L'impatto della Liquidation preference sull'organizzazione sociale

L'influenza della prassi americana e anglosassone non ha certamente risparmiato l'esperienza del Venture Capital italiano. Sebbene con le dovute e tipiche limitazioni proprie del diritto societario italiano – il riferimento non troppo velato è ai principi relativi alla partecipazione al rischio di impresa ed al patto leonino (argomenti volutamente non oggetto di questo lavoro) – le preferenze liquidatorie hanno ormai preso cittadinanza negli statuti delle PMI italiane. Queste possono trovare spazio come categorie speciali di azioni nelle S.p.a. e categorie di quote o diritti particolari nelle S.r.l.-Startup.

Uno dei temi principali che, ad avviso dello scrivente, devono essere osservati – senza ovviamente pretesa di completezza – è quello relativo al mutamento degli equilibri all'interno dalla compagine sociale che deriva dall'introduzione di una liquidation preference (tema a volte sottovalutato dagli operatori) e quali strumenti di tutela apporta il nostro ordinamento.

Sia, pertanto, consentito un breve cenno alla disciplina generale delle assemblee speciali. L'assunto da cui muoversi è che l'introduzione nello Statuto sociale, a seguito di una delibera dell'assemblea generale di una nuova categoria di azione (o di quota) connotata dalla liquidazione preferenziale, pregiudica i diritti dei titolari delle altre categorie già in circolazione. Ecco allora che l'art. 2376 c.c. predispone lo strumento di tutela per eccellenza dei vari gruppi di azionariato, ossia le assemblee speciali. La disciplina dettata da questa norma è piuttosto esigua, poiché il legislatore si è limitato ad un mero rinvio alle norme per le assemblee straordinarie ed a leggi speciali in tema di legittimazione all'intervento e al voto. A ciò si aggiunga che la delibera adottata dall'assemblea ex art. 2376 c.c. non è di per sé produttiva di effetti giuridici. La norma infatti prevede la semplice approvazione dell'operazione che sarà poi deliberata con tutti gli effetti di legge da parte dell'assemblea generale. Considerando gli spazi di manovra lasciati dal legislatore agli operatori, è ben possibile, come anche suggerito dalla dottrina, che l'assemblea speciale si riunisca indifferentemente prima o dopo quella generale.

Si deve però precisare un passaggio fondamentale. Lo strumento delle assemblee speciali è stato creato al fine di consentire alla maggioranza di assumere le decisioni fondamentali per la vita sociale, senza necessità di reperire il consenso di tutti i soci (come, ad esempio, accade con i diritti particolari della S.r.l. ex art. 2468 c.c.). L'assemblea è quindi posta a tutela dell'interesse sociale (A. Mignoli, Le assemblee speciali, Milano, 1960; A. Abu Awwad, I diritti di voto e partecipazione fra recesso e assemblee speciali, in Banca borsa e tit. cred., 3, I, 2009 ). La Liquidation preference può andare a toccare i rapporti preesistenti tra le altre categorie in circolazione in vari modi; pregiudicando i diritti di tutti gli azionisti, ma in via non paritaria; toccando in via diretta e immediata una particolare categoria di azioni; ma anche – e da non sottovalutare – recando a tutte le categorie esistenti pregiudizi indiretti, il che si verifica allorquando la liquidation preference, pur lasciando inalterati i diritti esistenti delle altre categorie, ne comporta una compressione indiretta.

Sembra infatti prevalere l'orientamento dottrinale – cui si intende qui aderire – secondo cui una rimodulazione della posizione dell'azionista di categoria può conseguire non solo dalla delibera che comporta una diminuzione dei diritti poziori della nuova categoria azionaria, ma anche da quella delibera che indirettamente raggiunga lo stesso risultato (S. Addamo, Diritto di recesso e modifica dei diritti di voto o di partecipazione, Giuffrè 2022; A. Mignoli, Le assemblee speciali, Milano, 1960; G.B. Portale, Uguaglianza e contratto, in Riv. Dir. Comm. I, 1990; F. D'Alessandro, Aumento di Capitale, categorie di azioni e assemblee speciali (parere pro-veritate), in Giur. Comm., I, 1990”; Cass. 22 maggio 1991 n. 5772, in Società, 1991; Trib. Roma, 20 marzo 1995). Il pregiudizio, per essere idoneo a far scattare la tutela dell'art. 2376 c.c., deve essere tale da provocare una reale alterazione dello status quo ante delibera. Ne consegue che l'introduzione di una liquidazione preferenziale, che attribuisce diritti migliori rispetto a tutti quelli già esistenti, in sede di distribuzione dei proventi, è di per sé idonea ad alterare il rapporto qualitativo tra le categorie già in circolazione, realizzando quella compressione dei diritti non voluta dal legislatore. In altri termini più generali, l'introduzione della nuova categoria azionaria con cui si attribuiscono prerogative idonee a indebolire le altre categorie già in circolazione, genera un pregiudizio – diretto o indiretto – prevenibile solo con il voto favorevole in assemblea speciale.

In conclusione

Come si è – molto brevemente e senza presunzione di completezza – scritto, il mondo del venture capital italiano risente molto dell'esperienza e della prassi sviluppatasi oltre oceano. Se da un lato questo comporta per investitori e founders nuove possibilità, dall'altro l'operatore italiano deve sempre adeguare le influenze ai principi classici del diritto societario. Proprio da questa esigenza quotidiana prende spunto il presente lavoro.

Nella prassi italiana si assiste alla costante richiesta di recepire in statuto una liquidation preference, che da un lato vede circoscritto il suo raggio di azione ad eventi di riparto quasi sempre identici, (i.e. fusioni, acquisizioni, distribuzioni di dividendi), ma dall'altro - in assenza di possibili clausole statutarie limitative della tutela dell'art. 2376 c.c. – impone una riflessione maggiore nel term sheet dell'operazione dovendosi ricomprendere anche il consenso delle assemblee speciali degli azionisti di categoria pregiudicati dal nuovo ordine di ripartizione dei proceed.

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