Natura e responsabilità del general contractor nell'ambito del superbonus
26 Settembre 2022
I contratti per i bonus fiscali
L'art. 119 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, regola gli “incentivi per l'efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici”. L'art. 121 del medesimo d.l. n. 34/2020 consente la “opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”. Il complesso di queste norme permette al committente di far eseguire i lavori senza anticipare somme di danaro (o pagando meno del costo dell'opera, grazie allo sconto in fattura) o comunque ottenendo un beneficio fiscale corrispondente all'esborso. Questi benefici hanno sollecitato numerosi proprietari di abitazioni a stipulare dei contratti per la realizzazione di lavori che possono usufruire dei vari bonus edilizi.
La tematica dei bonus edilizi è alquanto complessa, in quanto coinvolge:
L'opinione pubblica e la discussione politica sono concentrate sui profili fiscali delle opere volte all'efficientamento energetico. Vi è invece scarso interesse sui profili contrattuali concernenti la realizzazione delle opere. Si tratta di una sorta di “miopia”, che non consente di vedere in che direzione si muoverà il contenzioso che sorgerà nei prossimi mesi/anni.
In prima approssimazione può affermarsi che la realizzazione dell'opera che dà diritto ai benefici fiscali presuppone la conclusione di un contratto di appalto fra committente (privato o condominio) e impresa di costruzioni. Ma siamo sicuri che il rapporto fra il committente (ossia fra chi incarica di fare i lavori) e l'appaltatore (ossia chi si impegna a eseguire i lavori) sia effettivamente da qualificarsi sempre in termini di contratto di appalto? Per cercare di rispondere a questa domanda - e in mancanza, al momento, di precedenti giurisprudenziali sul punto - è necessario, in primo luogo, comprendere cosa si intende per contratto di appalto.
A questo riguardo, è di aiuto la legge che ne offre una definizione: “l'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” (art. 1655 c.c.). Nelle operazioni connesse ai bonus edilizi parrebbe in effetti concluso un contratto di appalto, nel senso che l'appaltatore si impegna a eseguire i lavori, che danno poi diritto al committente di usufruire dei benefici fiscali. Ma non è sempre così. La natura del rapporto con il general contractor
La prassi contrattuale in materia mostra difatti che talvolta viene concluso un contratto che non è denominato di appalto, ma di “general contractor”: la controparte del committente non è un appaltatore, ma un “general contractor”. La figura del general contractor è atipica, come risulta già dal fatto che si utilizzi un'espressione in lingua inglese. Si potrebbe tradurre l'espressione inglese con “contraente generale”.
Va detto che, nell'ambito degli appalti pubblici, viene disciplinato il ruolo del contraente generale (sulla figura del contraente generale negli appalti pubblici cfr. M. Tocci, L'istituto dell'affidamento a contraente generale: luci e ombre, in Quaderni amministrativi, 2021, 74 ss.). L'art. 194 comma 1 del codice dei contratti pubblici stabilisce che: “con il contratto di affidamento unitario a contraente generale, il soggetto aggiudicatore affida ad un soggetto dotato di adeguata capacità organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria la realizzazione con qualsiasi mezzo dell'opera, nel rispetto delle esigenze specificate nel progetto definitivo redatto dal soggetto aggiudicatore e posto a base di gara”.
Le disposizioni dettate dal codice dei contratti pubblici sul contraente generale non sono però applicabili ai general contractor degli appalti privati per una pluralità di ragioni. In primo luogo, l'art. 194 del codice dei contratti pubblici disciplina gli appalti pubblici, mentre i contratti concernenti i lavori che usufruiscono dei bonus edilizi sono appalti privati. Questo argomento è peraltro debole, in quanto – di per sé – non ci sono ostacoli ad applicare parti della normativa pubblicistica in via analogica agli appalti privati.
Tuttavia, un'applicazione analogica non viene in considerazione per la significativa difformità fra i due contesti. Si pensi ad esempio al fatto che dalla definizione del comma 1 dell'art. 194 del codice dei contratti pubblici emerge che il contraente generale deve avere adeguate capacità (organizzativa, tecnico-realizzativa e finanziaria). Nessuno di questi requisiti è invece richiesto a chi si presenta come general contractor di un appalto privato.
Se poi si esamina la disciplina del contraente generale dettata dall'art. 194 del codice dei contratti pubblici emerge con evidenza la non trasferibilità di tali regole agli appalti privati. L'art. 194 del codice dei contratti pubblici detta una normativa estremamente analitica dei diritti e dei doveri del contraente generale: l'articolo si compone di ben 20 commi. Non è questa la sede per riportare integralmente il testo dell'art. 194. Basta qui evidenziare che si tratta di disposizioni che, trasposte nel contesto di un appalto privato, perdono di qualsiasi sensatezza. Si pensi solo, per fare un esempio, al fatto che il contraente generale deve costituire una società di progetto (art. 194 comma 10 codice dei contratti pubblici).
L'espressione di “general contractor” nell'ambito dei contratti di appalto privati è in realtà solo una denominazione per indicare che chi esegue i lavori si fa carico anche di compiere attività accessorie, e in particolare si fa carico di coordinare i professionisti coinvolti. La corretta qualificazione di detto contratto va ricercata nell'ambito del diritto civile, e non nel contesto del diritto pubblico. La differenza fra la figura del general contractor e quella dell'appaltatore è che il contraente generale assume nei confronti del committente non solo l'obbligo di realizzare l'opera, ma anche l'obbligo di coordinare le varie figure professionali che intervengono nel corso dei lavori. Dalla prassi contrattuale sui bonus edilizi emerge che, talvolta, il contraente generale si obbliga a selezionare i professionisti coinvolti.
A seconda dei casi i contratti con i professionisti vengono conclusi direttamente dal general contractor oppure il general contractor si limita a “presentare” i professionisti, che poi concludono il contratto direttamente con il committente. In questo contesto vanno disciplinati anche i flussi di pagamento. Il general contractor potrebbe assumere l'obbligazione di pagare i professionisti, salvo rivalersi sul committente. Una clausola del contratto potrebbe avere il seguente tenore: “sarà cura del committente indicare all'appaltatore i soggetti a cui quest'ultimo dovrà affidare, in nome proprio ma per conto del committente, lo svolgimento delle prestazioni professionali necessarie all'ottenimento dei benefici fiscali. Gli oneri sostenuti dall'appaltatore per i corrispettivi dovuti ai terzi in esecuzione del mandato conferitogli dal committente rimangono a carico del committente e sono, pertanto, a questi riaddebitati senza maggiorazione alcuna dall'appaltatore”.
Una clausola del contratto con cui si incarica il general contractor potrebbe avere il seguente tenore: “stante l'esigenza manifestata dal committente di poter avere un unico interlocutore per la rendicontazione di tutte le spese che possono dare titolo a beneficiare degli incentivi fiscali, l'appaltatore si è dichiarato disponibile a stipulare, in nome proprio, ma per conto del committente, i contratti di prestazione d'opera per l'affidamento, ai soggetti indicati dal committente, delle prestazioni professionali concernenti la direzione dei lavori e il coordinamento della sicurezza, nonché il rilascio delle asseverazioni e dei visti di conformità necessari per la maturazione dei benefici fiscali”.
Ma se l'attività del contraente generale non è solo “materiale” (= realizzazione dell'opera), ma è anche giuridica (= conclusione di contratti), il rapporto contrattuale potrebbe essere qualificato come contratto di mandato. Secondo la definizione che ne dà il codice civile, “il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra” (art. 1703 c.c.).
La Corte di cassazione, seppure in una decisione molto risalente nel tempo, ha avuto modo di stabilire che la differenza che intercorre tra il mandato e l'appalto va ravvisata nella diversa funzione e nel diverso contenuto dei due tipi contrattuali: tale differenza consiste in ciò che, mentre la prestazione del mandatario si esplica essenzialmente in un'attività deliberativa, cioè in atti di formazione e manifestazione di volontà, quella dell'appaltatore ha per oggetto un'attività meramente esecutiva rivolta al compimento di un'opera o di un servizio, che l'appaltatore si assume con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio (Cass., 12 settembre 1961, n. 2022).
Nel caso del general contractor, si possono verificare nella prassi situazioni molto diverse, i cui estremi sono i seguenti:
Se una delle parti del contratto è stata denominata “general contractor”, non si può per questa ragione subito concludere per l'applicazione delle disposizioni sull'appalto oppure di quelle sul mandato. Bisogna di volta in volta studiare il contratto e comprendere se gli elementi che lo caratterizzano (e, ancor più, il modo in cui il contratto è stato attuato) lo avvicinano all'appalto oppure al mandato.
Esistono ovviamente nel nostro ordinamento anche i contratti atipici. L'art. 1322 comma 2 c.c. prevede che “le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”. Il contratto che prevede la figura del general contractor è, già dalla denominazione in lingua inglese, atipico.
Il problema è dove rinvenire la sua disciplina, questione particolarmente rilevante nel caso in cui sorgano contenziosi fra le parti. Secondo la giurisprudenza, in caso di contratti che contengono elementi riconducibili a due diversi tipi, si applica la disciplina del tipo prevalente. In questo senso si è espressa Cass., 20 agosto 2020, n. 17450 in tema di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (c.d. teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono.
E così, se nel contratto concluso fra le parti con cui il committente si affida al general contractor vi sono elementi sia dell'appalto sia del mandato, bisogna comprendere di volta in volta se prevalgono gli elementi dell'appalto oppure quelli del mandato. Una risposta fissa e valida per ogni caso non esiste: bisogna analizzare e interpretare il singolo contratto (e vedere come esso è stato attuato), per qualificarlo correttamente come appalto oppure come mandato.
La questione che si è sopra tratteggiata (ossia il problema della corretta qualificazione del contratto intercorso fra le parti) sarà di fondamentale importanza nel contenzioso che si genererà nell'ambito dei lavori edili connessi ai vari bonus fiscali. Mentre difatti nella disciplina dell'appalto vi sono disposizioni articolate in tema di responsabilità dell'appaltatore, la disciplina sul mandato è più generica.
Nel contesto del contratto di appalto, gli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. disciplinano in dettaglio la responsabilità dell'appaltatore. In primo luogo, la legge prevede una garanzia ex lege per le difformità e i vizi (art. 1667 c.c.). La tutela del committente è offerta sia per le mere difformità sia per i veri e propri vizi. La disposizione peraltro fissa dei termini di decadenza (60 giorni dalla scoperta) e di prescrizione (due anni dalla consegna dell'opera), termini il cui superamento viene spesso eccepito dall'appaltatore per sottrarsi a responsabilità. In secondo luogo, la legge identifica i rimedi di cui dispone il committente (art. 1668 c.c.). Al committente viene lasciata la scelta fra l'eliminazione di difformità e vizi a spese dell'appaltatore oppure la diminuzione del prezzo. Nei casi più gravi, il committente può chiedere la risoluzione del contratto. In terzo luogo, la legge regola ad hoc la responsabilità dell'appaltatore in caso di “rovina e difetti” di beni immobili (art. 1669 c.c.). Quest'ultima disposizione può essere di grande rilievo pratico, poiché il termine per far valere la responsabilità è particolarmente lungo (10 anni dal compimento dell'opera).
A voler invece qualificare il rapporto fra committente e general contractor come mandato, troverebbe applicazione l'art. 1710 comma 1 c.c., secondo cui “il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia”.
In conclusione
Bisognerà attendere i primi sviluppi giurisprudenziali per comprendere meglio quale sia la corretta qualificazione giuridica del rapporto intercorrente fra il committente e il general contractor. E, se si tratta di un mandato, il “committente” (ossia chi conferisce l'incarico di eseguire i lavori) andrebbe meglio denominato come “mandante”.
Rispetto al contenzioso classico sulla responsabilità dell'appaltatore, le cause che verranno intentate contro i general contractor potranno presentare delle varianti. Tutto dipende dalle caratteristiche del rapporto contrattuale e dalla qualificazione che gli vorrà dare il giudice. Le vicende degli ultimi mesi (con il sostanziale blocco della cessione dei crediti) rischiano di determinare un significativo contenzioso fra le parti dei contratti aventi a oggetto i lavori coperti dai bonus edilizi. |