Onere della prova in caso di omissione degli obblighi informativi dell'intermediario finanziario
07 Ottobre 2022
Il dovere dell'intermediario di fornire una adeguata informazione al cliente è contemplato nell'art. 21 del d.lgs. 58/1998 (TUF) sin dalla sua originaria formulazione ed è stato confermato in tutte le successive modifiche del testo, fino a essere ulteriormente dettagliato con l'attuazione delle direttive MIFID (n. 2004/39/CE e n. 2014/65/EU). Una significativa parte della sua disciplina, inoltre, è dettata nel regolamento Consob in tema di intermediari (adottato con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018, che ha abrogato il regolamento n. 16190/2007, che, a sua volta, aveva sostituito l'originario regolamento n. 11522/1998). Con riferimento al contenuto delle informazioni che l'intermediario deve fornire al cliente, esse devono essere specifiche e in concreto, non generiche e non decettive. La giurisprudenza, in applicazione dell'art. 21 TUF e dell'art. 282 reg. Consob n. 11522/1998, è pressoché costante nell'affermare che fornire informazioni generiche e standardizzate non è sufficiente per far ritenere che il dovere informativo sia stato osservato, ricadendo sull'intermediario il dovere di informare il cliente sui rischi connessi in concreto ad una determinata operazione, sul livello del rischio medesimo nonché sulla eventuale “illiquidità” degli strumenti acquistati o sottoscritti, caratteristica che non può dirsi di per sé esclusa dalla circostanza che l'intermediario si fosse dotato di un fondo per l'acquisto di azioni proprie in grado di consentire, a richiesta degli investitori, il riacquisto delle azioni al valore di mercato. Si è inoltre precisato che l'informazione relativa alla “illiquidità” degli strumenti debba essere fornita non soltanto al momento della stipulazione del contratto-quadro, ma anche prima del compimento di ogni operazione di investimento, e che spetta all'intermediario provare la liquidità degli strumenti, il che accade in presenza di un regolare, costante, consistente ed effettivo numero di scambi positivamente concluso, non essendo a tal fine sufficiente una generica classificazione delle azioni e delle obbligazioni come “liquide”. In proposito, non sono considerate idonee le informazioni di carattere generale contenute nell'allegato n. 3 del reg. Consob relativo ai rischi generali, ma è necessario fornire all'investitore notizie sul c.d. rischio emittente specifico, sull'eventuale rischio di default e sulla collegata probabilità del mancato rimborso alla scadenza; ancora, a fronte di uno strumento caratterizzato da un elevato grado di rischio, l'informazione deve essere particolarmente analitica e stringente e, comunque, non decettiva. Né l'alta propensione al rischio dell'investitore esonera l'intermediario dal fornire un'informazione completa su ogni singolo prodotto di investimento. Al contrario, in presenza di rating del tutto positivo dal momento dell'operazione e sino al default, la mancata previsione di quest'ultimo non può essere imputata all'intermediario. Può costituire inoltre un utile strumento di valutazione del rischio, tra gli altri, e non in via esclusiva, l'indicazione del benchmark, vale a dire di quel parametro oggettivo di riferimento consistente, a seconda dei casi, in uno o più indici di mercato, e finalizzato a misurare il rendimento di un investimento. In tali valutazioni è irrilevante la circostanza che il risparmiatore contratti a distanza, ché, anzi, in questo caso l'intermediario deve fornire al cliente modalità operative tali da assicurare comunque una corretta e completa informazione sul titolo oggetto di compravendita e sul rischio connesso al tipo di operazione prescelta. Pertanto, affinché l'informazione non sia qualificata come generica, devono ricorrere i seguenti requisiti: 1) l'informazione fornita deve comprendere la valutazione data all'investimento dalle agenzie specializzate in materia, risultante da analisi economiche effettuate dallo stesso intermediario o di cui lo stesso possa avere agevolmente notizia, ovvero la segnalazione della totale mancanza di rating, quando si tratti di negoziazioni avvenute nel c.d. grey market; 2) costituisce espressione di un comportamento doloso, e contrario ai doveri informativi, affermare che le obbligazioni emesse da uno Stato, nel caso di specie l'Argentina, sono sicure perché uno Stato non può fallire; 3) in presenza di più ordini successivi, aventi ad oggetto il medesimo strumento finanziario, non è sufficiente fornire l'informazione solamente in occasione del primo ordine; 4) costituisce violazione del dovere informativo l'aver sottaciuto che i titoli erano in origine destinati a investitori istituzionali, che erano privi di prospetto informativo e di rating e, soprattutto, che già in precedenza la stampa specializzata aveva sistematicamente segnalato la situazione di criticità finanziaria delle operazioni; 5) il difetto di informazione del cliente su caratteristiche fondamentali dell'emittente, quali la natura giuridica, il volume d'affari, il capitale sociale e gli eventuali rapporti societari e/o contrattuali intercorrenti con l'intermediario medesimo, integra una violazione del dovere informativo di quest'ultimo; 6) ugualmente contrario alla previsione dell'art. 21 TUF è l'omesso chiarimento in ordine alla mancanza di informazioni sull'affidabilità del titolo nel periodo di grey market e sul fatto che già il rating ufficioso lo qualificava come altamente speculativo ; ovvero che si trattava di titoli particolarmente rischiosi, negoziati nel c.d. grey market e originariamente destinati ad investitori istituzionali; 7) la consegna dell'offering circular, in ragione della sua eccessiva analiticità, non soddisfa l'esigenza informativa richiesta dal legislatore, anche perché le informazioni che il prezzo dello strumento finanziario normalmente riflette hanno bisogno di essere “decodificate” a favore dell'investitore; 8) la mera dicitura “Paese emergente” ovvero il riferimento ad un generico “rischio paese” non sono informazioni sufficienti ad escludere la responsabilità dell'intermediario; 9) la dimensione meramente locale dell'intermediario ed il fatto di non aver partecipato alla vendita diretta dei titoli non lo esonera dal fornire al cliente tutte le informazioni necessarie per effettuare un investimento consapevole; 10) l'intermediario, il quale proponga l'acquisto di obbligazioni Lehman Brothers, deve puntualizzare al cliente che si tratta di uno strumento caratterizzato da una natura giuridica e da un rischio del tutto differenti rispetto all'operazione di pronti contro termine che il cliente aveva in precedenza realizzato; 11) in caso di acquisto di azioni emesse dallo stesso intermediario, contrasta con il dovere informativo del medesimo limitarsi a far leggere all'investitore uno stralcio del proprio statuto con particolare riferimento alle clausole in tema di recesso, acquisto delle proprie azioni e prezzo delle azioni; la conoscenza di tali previsioni statutarie, infatti, non è idonea a sostituire la puntuale informativa sugli specifici rischi connessi all'operazione, come richiesta all'art. 282 reg. Consob n. 11522/1998. Peraltro, l'originario inadempimento del dovere di fornire la richiesta informazione in merito all'inadeguatezza dell'operazione non può essere sanato dalla circostanza che l'intermediario, una volta compiuto l'investimento, avesse suggerito al cliente di diversificare gli investimenti e/o di disinvestire e quest'ultimo non avesse accolto tali suggerimenti. Per converso, la responsabilità dell'intermediario è esclusa nel caso in cui, pur a fronte di un'originaria carenza informativa, risulti che l'investitore, a seguito di un successivo incontro con la banca, si era dichiarato pienamente soddisfatto delle informazioni ricevute e della composizione del suo dossier titoli. Quanto al rapporto intercorrente tra il dovere informativo che incombe sull'intermediario e il problema dell'inadeguatezza dell'operazione, si premette che le decisioni della Corte di legittimità si riferiscono precipuamente al reg. Consob n. 11522/1998 (sostituito successivamente dal reg. n. 16190/2007 a seguito dell'attuazione della direttiva MIFID 1) e, in particolare, all'art. 29, in virtù del quale l'intermediario ha l'obbligo di informare l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni che rendono inopportuno procedere con l'operazione medesima, senza che però sia richiesto che tale informazione rivesta una forma specifica. Al riguardo, si è osservato che la sottoscrizione apposta dal cliente sotto la mera dicitura “non adeguata”, riferita all'operazione, non realizza un'informazione sufficiente perché non fornisce alcuna indicazione in merito alla consapevolezza del cliente medesimo. Anche in presenza di investitori esperti, la sottoscrizione di analoga dicitura soddisfa i contenuti di un'informazione adeguata richiesti dalla legge solo se accompagnata dalla illustrazione verbale, dimostrata per testimoni, delle ragioni dell'inadeguatezza. Sul profilo, più generale, della forma richiesta per l'illustrazione delle avvertenze sull'inadeguatezza e sulle relative ragioni, l'intermediario, al fine di sottrarsi a responsabilità, deve dotarsi di una traccia scritta o, in caso di ordini telefonici, di una registrazione delle avvertenze rese. Costituisce inoltre dimostrazione dell'avvenuto rispetto dell'obbligo informativo la circostanza che l'investitore, nel prendere atto della non adeguatezza dell'operazione, faccia esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. L'intermediario, allo scopo di adeguarsi al disposto dell'art. 21 TUF, non deve limitarsi a fornire informazioni all'investitore, ma deve altresì richiedere informazioni al cliente (informazione “attiva” e “passiva”), senza che questo significhi necessariamente che tali informazioni debbano risultare da un documento compilato dal cliente medesimo. Allorché l'investitore abbia negato di fornire le informazioni richieste dall'intermediario, il rifiuto dell'investitore di fornire le informazioni relative alla sua situazione patrimoniale non esonera l'intermediario da responsabilità, ché, anzi, in tale ipotesi gli si richiede sia un comportamento improntato ad una valutazione prudenziale a norma dell'art. 211, lett. e) TUF (secondo il testo allora in vigore), sia di valutare come inadeguate le operazioni aventi ad oggetto azioni e strumenti derivati nei confronti di un cliente che, oltre ad essersi rifiutato in più occasioni di comunicare informazioni sulla sua situazione economica e finanziaria, abbia inoltre reso dichiarazioni contraddittorie in merito alla sua propensione al rischio. In tema di intermediazione finanziaria, nel caso in cui l'investitore proceda al compimento di un'operazione inadeguata, deve ritenersi assolto l'obbligo informativo gravante sull'intermediario ai sensi dell'art. 29 del Reg. Consob 11522/1998, allorché quest'ultimo, valutati gli elementi di giudizio in suo possesso, abbia offerto all'investitore un'effettiva spiegazione delle ragioni dell'inadeguatezza e l'investitore ne abbia autorizzato l'esecuzione esternando la sua volontà mediante ordine scritto o su altro supporto equivalente in cui sia esplicitato il riferimento alle avvertenze ricevute; tuttavia, in caso di contestazione del cliente, che alleghi l'omissione di specifiche informazioni, grava sull'intermediario l'onere di provare, con ogni mezzo, che, invece, quelle informazioni siano state fornite, ovvero che non fossero dovute (Cass. Sez. 1, ord., 31 maggio 2022, n. 17556; Sez. 1, ord., 2 maggio 2022, n. 13813; Sez. 1,ord., 27 ottobre 2020, n. 23570). L'intermediario assolve l'obbligo informativo su di lui gravante ai sensi dell'art. 28 del Reg. Consob n. 11522/1998 allorché raccolga preventivamente, all'atto della sottoscrizione del contratto-quadro, il profilo finanziario dell'investitore e sottoponga a quest'ultimo schede contenenti le caratteristiche descrittive degli strumenti d'investimento, recanti la specifica e separata indicazione della rischiosità e della inadeguatezza dell'operazione (Cass. Sez. 6-1, ord., 9 agosto 2021, n. 22513). Ora, la disciplina dettata dall'articolo 23, comma 6, del d.lgs. 58/1998, in armonia con la regola generale stabilita dall'articolo 1218 c.c., impone all'investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell'intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l'inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l'intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l'investitore avrebbe desistito dall'investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe, invece, sull'intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall'ambito di quelle dovute (Cass. Sez. 1, ord., 24 aprile 2018, n. 10111; Sez. 1, ord., 28 febbraio 2018, n. 4727; Sez. 1, sent., 3 agosto 2017, n. 19417; Sez. 1, sent., 18 maggio 2017, n. 12544). La pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell'inadeguatezza dell'operazione che si va a compiere) previsti dagli artt. 21, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. 58/1998, 28, comma 2, e 29 del Reg. Consob n. 11522/1998 (applicabile ratione temporis) e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all'investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. suitability rule). Tale segnalazione deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente, non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il rating nel periodo di esecuzione dell'operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cd. di grey market); 5) l'avvertimento circa il pericolo di un imminente default dell'emittente (Cass. Sez. 1, sent., 26 gennaio 2016, n. 1376). Si avverte poi che la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d'ordine, contenente la segnalazione d'inadeguatezza dell'operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l'obbligo previsto in capo all'intermediario dall'art. 29, comma 3, del reg. Consob n. 11522/1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi l'omissione di specifiche informazioni, grava sulla banca l'onere di provare, con qualsiasi mezzo, di averle specificamente rese (Cass. Sez. 1, sent., 6 giugno 2016, n. 11578). Si aggiunge inoltre che nel quadro di applicazione dell'art. 29 del reg. Consob n. 11522/1998, la segnalazione di inadeguatezza ivi contemplata al comma 3, laddove si riferisce ad “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”, non richiede l'indicazione del contenuto delle informazioni al riguardo somministrate dall'intermediario; in tal caso, e cioè in mancanza di indicazione del contenuto delle informazioni omesse, la sottoscrizione da parte del cliente della segnalazione di inadeguatezza non incide sul riparto del relativo onere di allegazione e prova, né tantomeno costituisce prova dell'adempimento, da parte dell'intermediario, dell'obbligo informativo posto a suo carico, ma fa soltanto presumere che l'obbligo sia stato assolto, sicché, ove il cliente alleghi quali specifiche informazioni siano state omesse, grava sull'intermediario l'onere di provare, con ogni mezzo, che invece quelle informazioni siano state specificamente rese, ovvero non fossero dovute (Cass. Sez. 1, ord., 24 aprile 2018, n. 10111). Dall'excursus che precede si ricavano questi principi: 1) allorché si faccia luogo al compimento di un'operazione inadeguata occorre che l'intermediario, valutati gli elementi di giudizio in suo possesso in adesione alla regola know your customer di cui all'art. 28, comma 1, Reg. Consob 11522/1998, offra all'investitore, in assolvimento degli obblighi di informazione attiva di cui al medesimo art. 28, comma 2, incarnazione della regola know your product, nell'individualizzato colloquio verbale, mirato ad un'effettiva spiegazione e reale comprensione dei termini e delle ragioni dell'inadeguatezza rilevata dall'intermediario che deve aver luogo prima che l'operazione sia posta in essere, tutte le informazioni in grado di renderlo edotto delle ragioni per le quali reputi che l'operazione sia inadeguata, in modo che anche riguardo ad essa la scelta che l'investitore effettuerà possa dirsi che sia avvenuta in modo consapevole; 2) qualora, ricevute le informazioni intese ad evidenziare l'inadeguatezza dell'operazione, l'investitore intenda insistere per la sua esecuzione e l'autorizzi perciò in forma espressa, la dichiarazione che egli renda al riguardo in forma scritta è fonte di una presunzione che l'intermediario abbia assolto il dovere di informazione specificatamente gravante su di sé in relazione alle operazioni inadeguate; 3) la presunzione che in tal modo si determina non vale, tuttavia, a sollevare l'intermediario dall'onere di provare di aver assolto il dovere di informazione ove l'investitore alleghi che talune informazioni, in grado di orientarne diversamente le scelte e di farlo desistere dall'intraprendere l'operazione rivelatasi pregiudizievole se ne fosse stato a conoscenza, gli siano state taciute, ricadendo in tal caso sull'intermediario l'onere di provare che le informazioni asseritamente taciute sono state invece rese o che sono altrimenti irrilevanti. Insufficienza della prova di precedenti investimenti in strumenti finanziari speculativi e rischiosi
Dalla funzione sistematica assegnata all'obbligo informativo gravante sull'intermediario, preordinato al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell'investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell'intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l'investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati (Cass. Sez. 1, ord., 11 novembre 2021, n. 33596; Sez. 1, ord., 28 luglio 2020, n. 16126; Sez. 1, sent., 17 aprile 2020, n. 7905). La dissimmetria informativa tra intermediario ed investitore è posta a fondamento dei principi che governano il corretto riparto dell'onere probatorio, ai sensi degli artt. 21 e 23 TUF, nonché 26, 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998. Per l'effetto, in caso di inadempimento degli obblighi informativi da parte dell'intermediario, deve desumersi, sino a prova contraria, che il rischio sottaciuto non sarebbe stato corso dal cliente se debitamente avvisato. Infatti: a) gli artt. 21 TUF nonché 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/98 impongono agli intermediari finanziari, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento, una serie di oneri comportamentali e obblighi informativi; b) secondo la giurisprudenza consolidata, in conformità alla regola generale di cui all'art. 1218 c.c. ed ai principi del corretto riparto degli oneri probatori, l'investitore che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell'intermediario, deve allegare specificatamente l'inadempimento di quest'ultimo, mediante una sintetica ma circostanziata indicazione delle informazioni che sarebbero state omesse, fornendo la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno; nesso che sussiste ove si possa rilevare che l'investitore avrebbe desistito dal compiere l'acquisto se fosse stato adeguatamente informato sui rischi dello stesso. Incombe invece sull'intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall'ambito di quelle dovute. Non vale ad escludere la sussistenza del nesso causale fra inadempimento dell'obbligo informativo e danni medesimi la circostanza che i clienti – alla luce delle loro pregresse scelte di investimento orientate verso il mercato azionario e obbligazionario in titoli strutturati – avrebbero comunque deciso di effettuare l'investimento dedotto anche se la banca li avesse adeguatamente informati circa i rischi ad esso connessi. E ciò tenuto conto della funzione specifica dell'obbligo posto a carico dell'intermediario, preordinato a colmare l'handicap informativo e la dissimmetria consequenziale nelle cognizioni delle parti, consentendo all'investitore una scelta consapevole e razionale. Si ricade nell'ambito di criteri costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità, che hanno descritto lo squilibrio, di carattere prevalentemente conoscitivo-informativo, nella posizione delle parti, fondato sull'elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell'ambito degli investimenti finanziari, quale oggetto dell'intervento correttivo del legislatore, attuato anche attraverso la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell'intermediario. Pertanto, le pregresse scelte di investimento non sono in sé rilevanti ai fini della prova dell'assolvimento dell'onere informativo dell'intermediario. Tanto induce a ritenere che non può essere attribuita capacità indiziante a circostanze del tutto prive di valore inferenziale, che siano utilizzate ai fini di un giudizio controfattuale presuntivo: in specie, non vale l'assioma secondo cui, se l'intermediario avesse fornito le opportune informazioni, i clienti avrebbero comunque deciso di effettuare l'investimento. Tuttavia, in tema di distribuzione dell'onere della prova nei giudizi relativi a contratti di intermediazione finanziaria, la giurisprudenza di legittimità ha sancito che, alla stregua del sistema normativo di cui agli artt. 21 e 23 TUF nonché all'art. 28 Reg. Consob n. 11522/1998, l'inadempimento ai doveri informativi da parte dell'intermediario costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell'investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento e ingenera una presunzione di riconducibilità all'intermediario della responsabilità dell'operazione finanziaria. In altri termini, la condotta omissiva dell'intermediario viene considerata idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall'investitore, il che comunque non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell'intermediario medesimo circa la sussistenza di sopravvenienze capaci di deviare il corso della catena causale derivante dall'asimmetria informativa. Se dunque è vero che in tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito per l'acquisto di uno strumento finanziario, incombe: a) sull'intermediario l'onere di provare, ex art. 23 TUF, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche del titolo ma anche al suo grado di rischiosità; b) sull'investitore l'onere di provare il nesso causale tra l'inadempimento dell'obbligazione informativa ed il pregiudizio patrimoniale derivato dall'investimento, è altresì innegabile che l'intermediario ha l'obbligo di fornire all'investitore un'informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali ed alla situazione finanziaria del cliente; sicché l'assolvimento di tale obbligo implica la formulazione da parte dell'intermediario di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità di prodotti finanziari ed a rappresentarne lo specifico coefficiente di rischio. Siffatti obblighi impongono allora all'intermediario di comunicare all'investitore tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale, indicando le specifiche ragioni idonee a rendere un'operazione inadeguata rispetto al suo profilo di rischio. Quanto al mezzo probatorio, esso può consistere anche nella prova testimoniale. Tanto precisato, la prova del nesso causale non è elisa dal mero rilievo di elementi generici, come il profilo speculativo o l'elevata propensione al rischio dell'investitore, dovendosi escludere che quest'ultimo possa accettare anche i profili di rischiosità del prodotto finanziario a lui ignoti ed invece conosciuti o conoscibili da parte dell'intermediario. In conclusione, l'adeguatezza dell'operazione al profilo di rischio del cliente e la buona conoscenza del mercato finanziario che questi abbia sono totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all'acquisto. Il fatto che un investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie, infatti, che egli selezioni tra i titoli rischiosi quelli aventi, a suo giudizio, maggiore probabilità di successo, grazie appunto alle informazioni che l'intermediario è tenuto a fornirgli. La buona conoscenza del mercato da parte del cliente è semmai indizio della sua capacità, ove concretamente informato, di valutare i prodotti consigliati dall'intermediario, la loro aleatorietà e corrispondenza al suo profilo di rischio. Ne discende che l'obbligo positivo specifico dell'intermediario di provare il proprio adempimento sarebbe vanificato se si ritenesse di poterlo esonerare dal fornire informazioni sul grado di rischio di perdita del capitale connesso ad un prodotto finanziario nei confronti di un investitore qualificato come “speculativo”; al contrario, il grado di rischio è direttamente proporzionale al livello di puntualità delle informazioni. In questa prospettiva, una volta sancita la rilevanza del binomio “conoscenza” ed “esperienza” del settore d'investimento – quale regola necessaria per il riscontro della consapevolezza e volontà del soggetto di procedere all'operazione richiesta – occorre interrogarsi anche sul rapporto intercorrente tra siffatti due requisiti, ai fini di individuare la loro incidenza sulla formazione del legale convincimento della più adeguata tutela del cliente, quale parte debole del rapporto. All'esito, deve ritenersi che la conoscenza del “cosa” e l'esperienza del “come” (Know what e Know how) siano effettivamente profili diversi, entrambi rilevanti ai fini della piena percezione tanto della natura, quanto del funzionamento e dei possibili effetti del prodotto finanziario acquistato. Presunzione del nesso causale tra inadempimento e danno
Al riscontro dell'inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue l'accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento ed il danno patito dall'investitore; presunzione che spetta all'intermediario superare dimostrando che il pregiudizio si sarebbe comunque concretizzato quand'anche l'investitore avesse ricevuto le informazioni omesse. Siffatta presunzione scaturisce dalla funzione assegnata dal sistema normativo all'obbligo informativo gravante sull'intermediario, il quale è preordinato al riequilibrio dell'asimmetria strutturale del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore del cliente, al fine di consentirgli una scelta di investimento consapevole. La ridetta presunzione, anche se non espressamente prevista dalla legge, ha natura legale ex artt. 2727 e 2728 c.c., in quanto discende complessivamente dal sistema normativo e in particolare dalla funzione specifica degli obblighi accollati dalla legge all'intermediario. Tale presunzione si cristallizza in un'argomentazione logica che permette di risalire da un fatto noto (secondario) ad uno ignorato (primario): è legale se stabilita ex lege e dispensa da qualsiasi prova coloro a favore dei quali è prevista. La previsione di una presunzione legale, tuttavia, può non essere esplicitata e può derivare, in modo implicito ma inequivocabile, anche da un complesso sistematico di disposizioni di legge che la implichino in modo logicamente e giuridicamente necessario. Essa ammette la prova contraria, come si arguisce dallo stesso complesso normativo: si ricade, dunque, in una presunzione legale relativa o iuris tantum. In ragione di quanto sopra, deve quindi presumersi, nell'ambito del giudizio controfattuale diretto alla valutazione delle serie causali autonome alternative (c.d. causalità interrotta o sorpassante), valutazione non perturbata dall'omissione informativa da parte dell'intermediario, che l'investitore, puntualmente avvertito dei rischi connessi alla sua scelta, non l'avrebbe posta in essere: salva la possibilità di prova contraria con la quale l'intermediario dimostri – sulla base di elementi univocamente concludenti – che il cliente, pur avendo ricevuto la specifica informazione omessa, avrebbe comunque confermato la scelta. Elementi, questi, che però non possono consistere in una generica propensione al rischio, desunta da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché l'investitore – speculativamente orientato e disponibile ad assumersi i rischi – deve poter ponderare la sua scelta speculativa e rischiosa nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato ed alla luce dei fattori di rischio che gli sono segnalati. Riferimenti
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