Il concetto di gestione delle scommesse per conto terzi e la soggettività passiva dell'imposta unica

Niccolò Cianferotti
11 Ottobre 2022

I gestori di scommesse per conto terzi sono soggetti passivi della relativa imposta unica: il presente contributo fa luce sul controverso concetto di gestione delle scommesse per conto terzi.
Premessa

Questo scritto esamina il concetto di gestione delle scommesse per conto terzi alla luce degli artt. 3 del d.lgs. 504/1998 e 1, comma 66, della Legge 220/2010 (Legge di Stabilità 2011), che hanno esteso la soggettività passiva dell'imposta unica sulle scommesse a chiunque gestisca concorsi pronostici o scommesse per conto proprio o di terzi, anche se ubicati all'estero, pur in assenza di una valida concessione in Italia.

Il concetto di gestione delle scommesse per conto terzi è considerato sulla base della più recente dottrina e giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, e, segnatamente, della pronuncia Corte costituzionale n. 27/2018, al fine di delimitarne più rigorosamente i confini.

Il quadro normativo italiano

La nozione di gestione per conto terzi rinvia al D.lgs. 504/1998 e alla Legge di Stabilità del 2011. L'art. 3 del d.lgs. n. 504/1998, in maniera generica, individua come soggetti passivi dell'imposta unica sulle scommesse coloro che “gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”.

Successivamente, il Legislatore, mediante l'art. 1, comma 66, della L. 220/2010 (Legge di stabilità 2011), con intervento di interpretazione autentica, ha esteso la soggettività passiva, in via principale, dell'imposta unica sulle scommesse – di cui al d.lgs. 504/1998 –, a tutti coloro che, pur in assenza di concessione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (di seguito A.A.M.S.), gestiscono per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere.

In pratica, la norma del 2010 ha esteso l'assoggettamento a imposta unica alle ricevitorie nazionali (i cd. Centro di trasmissione dati, di seguito CTD), quando queste svolgono attività di gestione delle scommesse per conto di operatori di gioco professionali (i cd. bookmaker) esteri, ma privi di regolare concessione in Italia.

La ratio evidente dell'intervento legislativo è stata quella di rafforzare il contrasto al gioco illegale e, soprattutto, di colpire il fenomeno elusivo dell'imposta nei confronti di quei bookmaker esteri che operano in Italia tramite CTD, pur in assenza di concessione.

La ratio della norma è stata ribadita dalla consolidata giurisprudenza di merito: “appare evidente come il legislatore abbia inteso introdurre uno strumento di garanzia per il credito erariale, attribuendo al soggetto che abbia stabilito la propria sede all'estero, ma che operi nel territorio nazionale, una responsabilità solidale rispetto a quella del CTD” (cfr. CTR Lazio – Latina, sez. XVIII, 7 febbraio 2020 n. 673 e CTR Lazio – Latina, sez. XVIII, 29/07/2021, n. 3779. Ancora: “la normativa di dettaglio della norma interpretativa, che prevede l'intermediario residente come "soggetto passivo di imposta" e il gestore estero delle scommesse come obbligato solidale, ha l'evidente funzione di compensare sul piano operativo la difficoltà di esazione derivante dalla non presenza sul territorio nazionale del sostanziale gestore delle scommesse”: CTR Lazio, Latina, sez. XV, 18 ottobre 2016, n. 6157).

È certo che l'introduzione di una solidarietà tributaria tra CTD nazionale e bookmaker (sulla natura della solidarietà tributaria tra CTD e bookmaker si veda E. Della Valle e C. Are, L'imposta unica sulle scommesse: la solidarietà nella raccolta fisica per conto terzi, in “Il Fisco”, 2018, 4241-4248; e C. La Valva, La questione sulla soggettività passiva dei centri di trasmissione dati ai fini dell'imposta unica sulle scommesse alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia sui casi Stanleybet, in “Diritto e pratica tributaria internazionale”, 2020, 1255-1265) e il conseguente allargamento della platea dei soggetti passivi dell'imposta unica ai CTD nazionali, che operano per conto di bookmaker esteri privi di concessione italiana, ha garantito all'A.A.M.S. la possibilità di pretendere e riscuotere l'imposta, in via principale, nei confronti dei medesimi CTD, scongiurando l'eventualità di dover “rincorrere” società aventi sede all'estero, nei confronti delle quali, invece, la riscossione sarebbe sicuramente più ardua, se non impossibile, come evidenziato dalle Corti di merito.

Mediante la novella dell'art. 1, comma 66, della L. 220/2010, la soggettività passiva all'imposta unica viene così individuata sulla base di un criterio che attribuisce rilevanza privilegiata al concetto di gestione delle scommesse, anche in assenza di concessione, sia per conto proprio, sia per conto terzi.

Tuttavia, la difficoltà di circoscrivere la nozione di gestione per conto terzi ha creato una notevole indeterminatezza circa i suoi limiti, anche se questa è venuta meno – quantomeno in parte – con la pronuncia n. 27/2018 della Corte costituzionale.

Il concetto di gestione delle scommesse per conto terzi nella giurisprudenza delle corti di merito, nella sentenza della Corte cost. n. 27/2018 e il principio di ragionevolezza

Come accennato, il concetto di gestione è stato genericamente individuato nell'art. 3 d.lgs. 504/1998 per essere poi esteso dall'art. 1, comma 66 lett. b) della L. 220/2010. Tuttavia, anche dopo l'intervento del legislatore del 2010 sono rimasti ampi margini di incertezza a riguardo.

Infatti, parte della giurisprudenza ha continuato a considerare quella del CTD come un'attività che esula dalla gestione di scommesse, qualificandola come un mero supporto tecnico, ausiliario e preparatorio, estraneo al rapporto di scommessa e, quindi, evidentemente insufficiente a integrare la gestione nei termini indicati dall'art. 1, comma 66 cit.

Al contrario, soprattutto nelle Commissioni tributarie, si è inteso l'attività del CTD come necessariamente funzionale e preparatoria al rapporto di scommessa e, pertanto, pienamente integrante il concetto di gestione di cui all'art. 1, comma 66 cit.

Tuttavia, nelle decisioni delle Commissioni tributarie, pur a fronte di un orientamento consolidato che ha unanimemente riconosciuto in capo ai CTD la qualifica di soggetti passivi dell'imposta sulle scommesse in solido con il bookmaker estero, il concetto di gestione è rimasto vago.

Infatti, alcuni Collegi, più intransigenti, hanno ritenuto che il solo fatto di essere al di fuori del rapporto concessorio rende fiscalmente irrilevante la suddivisione delle competenze tra i soggetti coinvolti nel rapporto di scommessa (CTD e bookmaker) e impone, altresì, di considerare i medesimi CTD come primi e diretti responsabili della gestione.

Queste Commissioni hanno individuato un elenco di attività che integrano la gestione delle scommesse in capo al CTD (in tal senso si veda anche la Comunicazione n. 2 del 7 giugno 2012 dell'A.A.M.S.), tra cui: la ricezione della proposta, la consegna dell'accettazione al bookmaker, l'incasso delle somme giocate, il pagamento delle vincite (CTR Firenze, sez. VIII, 26 settembre 2017, n. 2051; CTR Campania, sez. XLIV, 15 settembre 2016, n. 7966), ma non hanno chiarito se tali attività debbano essere considerate come un unicum indivisibile, oppure se basti una sola di queste a integrare la gestione.

Altre pronunce, più restrittive, considerano non sufficiente a integrare la gestione per conto terzi la mera attività di trasmissione dati al bookmaker (CTR Milano, sez. VII, 26 febbraio 2016, n. 1070); altre ancora paiono ritenere sussistente la gestione in capo al CTD solo quando questo abbia la gestione diretta del denaro delle scommesse (CTR Milano, sez. XIV, 18 maggio 2017, n. 2192).

Sul punto, infine, è intervenuta la Corte costituzionale.

La Consulta, chiamata a pronunciarsi sul presunto contrasto dell'art. 1, comma 66 cit. con gli artt. 3 e 53 Cost., ha ritenuto non irragionevole l'estensione della soggettività passiva all'imposta unica al CTD (gestore per conto terzi) operante per conto di bookmaker esteri senza concessione (gestore per conto proprio), poiché “le differenze tra il contributo prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto – ed anzi presuppongono – che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell'attività di organizzazione ed esercizio della scommessa sottoposta ad imposizione” (Corte Cost., n. 27/2018, punto 4.2).

Secondo il Giudice delle leggi, il CTD, pur non partecipando direttamente al rapporto di scommessa, è coinvolto nella sua gestione, seppure su un piano diverso rispetto al bookmaker.

Analizziamo, allora, in cosa consiste effettivamente l'attività di gestione in capo al CTD nelle parole della Corte costituzionale: “[…] il titolare della ricevitoria svolge una attività di «gestione» attraverso la propria organizzazione imprenditoriale. Esso assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta; si occupa della trasmissione al bookmaker dell'accettazione della scommessa, dell'incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure ed istruzioni fornite dal bookmaker” (ibid.).

Secondo la Corte, detta parificazione non integra un'irragionevolezza della citata normativa. Al contrario. Si giustifica proprio sulla base del principio di ragionevolezza, qui “utilizzato come complemento e in appoggio” (è la locuzione usata per definire la funzione costitutiva del principio di ragionevolezza nei confronti di ogni altro principio costituzionale da M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, 1. Intervento tenuto a Roma, in occasione della Conferenza trilaterale della Corte costituzionale italiana, portoghese e spagnola, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013) dei criteri di lealtà fiscale e di parità di trattamento nel settore del gioco, che devono parificare tutti gli operatori, con o senza concessione, davanti al Fisco; e a riprova del fatto che “il principio di ragionevolezza ha assuntoun connotato conformativo rispetto ad ogni parametro costituzionale”: “Come è già stato rilevato dalla giurisprudenza tributaria consolidatasi sul punto, tale scelta legislativa risponde ad un'esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l'irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione, ovvero di operare per conto di chi ne sia privo” (Corte cost. n. 27/2018, punto 4.3).

Secondo la Consulta, la normativa citata non violerebbe neppure il principio di capacità contributiva, atteso che i rapporti tra CTD e bookmaker sono regolati sulla base di un contratto, ove sono disciplinate le provvigioni dovute dal bookmaker al CTD. E proprio mediante le commissioni il CTD avrebbe la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker, con conseguente rispetto dell'art. 53 Cost. (si rinvia a: La Valva, La questione sulla soggettività passiva dei centri di trasmissione dati ai fini dell'imposta unica sulle scommesse alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia sui casi Stanleybet, in “Diritto e pratica tributaria internazionale”, 2020, 1260 ss.).

In ogni caso, la Corte stabilisce che rientrano nel concetto di gestione tutte le attività preparatorie e ausiliarie che costituiscono, spesso, l'attività del CTD.

E, in verità, è soltanto alla definizione del complesso concetto di gestione che la sentenza della Corte dà un contributo effettivo, seppure non esauriente.

Per il resto, né le argomentazioni della Corte né l'invocazione del principio di ragionevolezza a loro sostegno risultano convincenti. L'opinione della Consulta appare avulsa dalla prassi commerciale del settore, e non pare sottrarsi al rischio di ledere il principio di capacità contributiva. Infatti, il CTD si trova in una posizione contrattualmente debole ed è spesso costretto a stipulare con il bookmaker contratti non soggetti a trattativa, con la conseguenza pratica di non poter traslare su quest'ultimo l'onere tributario.

In conclusione, la Corte esprime una valutazione che sembra ignorare la natura dei fatti e dei rapporti commerciali del settore delle scommesse.

Ma neppure la recente pronuncia della Corte di giustizia sul caso Stanleyparma risulta persuasiva.

Il rinvio pregiudiziale alla CGUE e l'insufficienza della motivazione nella pronuncia della Corte di giustizia sul caso Stanleyparma

Alla pronuncia della Corte costituzionale si è aggiunta la sentenza resa nella causa C-788/18 del 26 febbraio 2020 (Corte di giustizia UE, StanleyParma sas e Stanleybet Malta ltd c. Agenzia delle Dogane, C-788/18 del 26 febbraio 2020), con cui anche la Corte di giustizia UE si è espressa in merito al tema dell'attribuzione della soggettività passiva ai fini dell'imposta unica in capo ai CTD italiani, che svolgono l'attività di gestione delle scommesse per conto di bookmaker residenti in altri Paesi membri UE, seppure privi di regolare concessione dell'A.A.M.S. (per una lettura critica della sentenza si veda L. Costanzo, L'imposta unica sulle scommesse e i pronostici tra diritto europeo e fattispecie antielusive”, in Rivista telematica di diritto tributario, 2021, 495-501).

Nel caso di specie, la Commissione tributaria provinciale di Parma, con ordinanza n. 565/III/2018, aveva sollevato questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ponendo alla Corte di giustizia il quesito se i principi di libera prestazione dei servizi, parità di trattamento e non discriminazione ostino a una normativa nazionale che preveda l'assoggettamento a imposta unica dei CTD, che operano per conto di operatori professionali stabiliti in Stati membri diversi (Stanleyparma), e non per coloro che operano per conto di concessionari statali, pur svolgendo la stessa attività dei primi.

Ebbene, secondo la Corte sovranazionale, “a differenza dei CTD che trasmettono i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali, la Stanleyparma raccoglie scommesse per conto di Stanleybet Malta, che ha sede in altro Stato membro. Essa non si trova quindi, alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011, in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali” (Corte di giustizia 26 febbraio 2020, C-788/18, punto 28).

La Corte di giustizia stabilisce che l'assoggettamento a imposta unica dei CTD, che svolgono attività di gestione delle scommesse per conto di bookmaker esteri, in solido con questi ultimi, non creerebbe una disparità di trattamento, né una limitazione alla libera prestazione dei servizi nei confronti di quelle ricevitorie che, invece, svolgono attività di intermediarie per i soli concessionari nazionali.

Questo perché i due soggetti (CTD che trasmettono i dati di gioco per conto bookmaker esteri senza concessione in Italia e ricevitorie che operano per conto di concessionari nazionali) non si trovano in una posizione analoga alla luce degli obiettivi della legge di stabilità 2011.

E gli obiettivi della legge, sappiamo, sono costituiti soprattutto dal contrasto all'evasione fiscale, come stabilito dall'art. 1, c. 64, della L. 220/2010.

La conformità della normativa italiana ai principi sovranazionali viene, quindi, giustificata e legittimata dalla Corte europea sulla base della necessità di colpire il fenomeno elusivo dell'imposta unica nei confronti di quei bookmaker esteri che operano in Italia tramite CTD, pur in assenza di concessione dell'A.A.M.S.

La lettura data dalla Corte di giustizia è stata criticata in maniera approfondita – e, a parere di chi scrive, fondata – per non aver congruamente vagliato la ragionevolezza della parificazione, ai fini impositivi, dei CTD italiani, collegati a bookmaker esteri privi di concessione in Italia, con i concessionari nazionali (L. Costanzo, L'imposta unica sulle scommesse e i pronostici, cit., 500).

Inoltre, per ciò che rileva ai nostri fini, è evidente che la Corte di giustizia non analizza affatto il concetto di “gestione per conto terzi” delle scommesse: “la Stanleyparma”, cioè il CTD, “esercita, in qualità di intermediario della Stanleybet Malta e in cambio di una remunerazione, un'attività di offerta e di raccolta di scommesse. Tale società esercita in particolare, allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali, un'attività di gestione di scommesse, la quale costituisce una condizione necessaria ai fini dell'assoggettamento all'imposta unica” (Corte di giustizia 26 febbraio 2020, C-788/18, punti 25 e 26).

La Corte di giustizia non offre alcun chiarimento che possa meglio definire il concetto di gestione per conto terzi. Né si pronuncia circa i meccanismi di traslazione del carico fiscale dal CTD in capo al bookmaker, limitandosi a stabilire in maniera assiomatica che la normativa domestica in tema di soggettività passiva dei CTD ai fini dell'imposta unica “non comporta alcuna restrizione discriminatoria nei confronti della Stanleybet Malta e della Stanleyparma e non pregiudica, per quanto le riguarda, la libera prestazione di servizi”.

In breve, la motivazione della sentenza della Corte di giustizia appare insufficiente proprio rispetto a due quesiti essenziali che le erano stati sottoposti: la definizione del concetto di gestione per conto di terzi e la ragionevolezza della parificazione, ai fini impositivi, dei CTD italiani, collegati a bookmaker esteri privi di concessione in Italia, con i concessionari nazionali.

La ricostruzione di una ragionevole nozione di gestione per conto terzi

Esaminate le pronunce delle Corti nazionali e sovranazionali, è utile provare a costruire un concetto coerente e bilanciato di gestione delle scommesse per conto terzi che tenga conto di quelle sentenze, così come della realtà economica del rapporto di scommessa tra CTD e bookmaker.

Per verificare se l'attività del CTD possa integrare un'effettiva gestione per conto terzi, è stato correttamente sostenuto (C. La Valva, La questione sulla soggettività passiva dei centri di trasmissione dati, cit., 1251) che è necessario valutare se le sue prestazioni incidano o meno sulla rilevanza economica del rapporto di scommessa; e che il criterio di attribuzione della soggettività passiva andrebbe individuato in ragione dell'imputazione degli effetti economici sostanziali derivanti dal contratto di ricevitoria.

Assumerebbe, quindi, rilevanza decisiva la verifica del tipo di rapporto contrattuale intercorrente tra il CTD e il bookmaker, al fine di verificare se le attività del primo assumano carattere accessorio rispetto a quelle del secondo, o meno.

E, dato che il rapporto tra CTD e bookmaker viene solitamente identificato come un mandato con rappresentanza (CTR Abruzzo, sez. III, 16 maggio 2017, nn. 422 e 423; CGE, C788/18, par. 8) o una mediazione (Cons. Stato, sez. III, 27 novembre 2013, n. 5636; Tar Lombardia Milano, sez. III, 5 maggio 2014, n. 1151; Tar Toscana Firenze, sez. II, 20 novembre 2016, n. 1797), non parrebbe potersi configurare alcuna gestione in capo al CTD.

Infatti, mentre nel mandato con rappresentanza gli effetti giuridici si realizzano direttamente in capo al mandante e l'interposizione del CTD non ha importanza ai fini della rilevanza economica del rapporto di scommessa, anche ove si consideri il CTD come mediatore, la sua posizione non potrebbe incidere sul rapporto di scommessa, considerato che lo stesso si trova in una posizione equidistante tra le parti, mentre l'organizzazione del rapporto di scommessa (accettazione, modalità di gioco, etc.) spetterebbe unicamente al bookmaker (C. La Valva, La questione sulla soggettività passiva dei centri di trasmissione dati, cit., 1254).

Pertanto, ove si volesse dare rilevanza all'imputazione degli effetti economici del rapporto, la posizione del CTD appare irrilevante, data la natura meramente strumentale e accessoria delle prestazioni da esso svolte rispetto a quelle del bookmaker (sulla riferibilità della sostanza economica del rapporto unicamente al mandante e sulla irrilevanza della posizione del CTD si veda anche S. Riccardi, Il soggetto passivo dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse: le nozioni di ‘gestore delle scommesse in conto proprio' e ‘gestore delle scommesse per conto terzi', in “Diritto e pratica tributaria”, 2016, 816).

Tuttavia, abbiamo visto che la giurisprudenza nazionale e quella sovranazionale non paiono valorizzare, come puntualmente hanno invece fatto gli autori richiamati (Ibid., 816; C. La Valva, La questione sulla soggettività passiva dei centri di trasmissione dati, cit., 1254), la realtà economica del rapporto intercorrente tra CTD e bookmaker.

Nelle citate pronunce, infatti, non è dato rintracciare alcuna argomentazione volta a esaminare i profili dei modelli negoziali utilizzati.

Come abbiamo visto supra, infatti, la Corte costituzionale pone l'accento non tanto sulla rilevanza economica e giuridica del rapporto di scommessa, quanto sull'apporto funzionale del CTD che, pur non essendo giuridicamente ed economicamente interessato nel contratto di scommessa, risulta coinvolto nell'attività di organizzazione ed esercizio della stessa, definibile appunto come “gestione”, presupposto della sua soggezione all'imposta unica in via principale.

Il concetto di gestione, in tal senso, include al suo interno tutte le attività idonee a portare a termine il contratto di scommessa, ma non necessariamente l'assunzione del rischio.

Dunque, è unicamente l'apporto di intermediazione del CTD a rilevare per integrare la gestione per conto terzi.

È bene evidenziare che, nel definire l'elenco delle citate attività che costituiscono gestioneper conto terzi (la disponibilità dei locali, la ricezione della proposta, la sua trasmissione, l'incasso, il trasferimento delle somme, il pagamento delle vincite secondo le istruzioni fornite dal bookmaker) la Corte costituzionale utilizza congiunzioni copulative (“e, nonché”) e non congiunzioni disgiuntive (“o, oppure”).

Pertanto, appare coerente e ragionevole sostenere che, al fine di ritenere integrata in capo al CTD la gestione delle scommesse per conto terzi – quale presupposto dell'estensione della soggettività passiva dell'imposta unica a quest'ultimo – dette attività debbano essere verificate in concreto e caso per caso, come un unicum inscindibile.

Considerazioni conclusive

Il quadro tracciato sopra, alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, ci pare che consenta ragionevolmente di sostenere che la gestione per conto terzi in capo al CTD debba considerarsi integrata solo qualora la ricevitoria svolga tutte le funzioni di intermediazione elencate nella citata pronuncia della Corte costituzionale n. 27/2018.

Infatti, solo in tal caso il CTD potrà essere considerato svolgere un'attività di gestione, ossia quell'attività di necessario apporto funzionale nell'organizzazione ed esercizio della scommessa.

Al contrario, qualora la ricevitoria si limiti a una sola delle attività citate dalla Consulta – il caso tipico e verosimile è quello del CTD che svolge la funzione di un mero nuncius telematico di trasmissione dei dati al bookmaker in nome e per conto di quest'ultimo – senza intervenire nella raccolta delle somme o nel pagamento delle vincite, allora dovrebbe sicuramente ritenersi esclusa in capo al CTD la gestione delle scommesse per conto terzi e, di conseguenza, la sua soggezione all'imposta unica sulle scommesse (in merito si veda F.Odoardi, Il monopolio fiscale sulle scommesse sportive “a quota fissa” e la sua dubbia compatibilità costituzionale, in “Rivista di diritto tributario”, 2013, 284-285).

Per questo motivo, è opportuno che gli accertamenti per il recupero dell'imposta unica, emessi dall'Agenzia delle Dogane, siano rigorosamente basati sul riscontro concreto delle specifiche attività elencate dalla Consulta.

In caso contrario, anche in ragione del fatto che – come abbiamo visto – l'interposizione del CTD non pare avere alcuna concreta rilevanza economica nel rapporto di scommessa, l'accertamento avanzato dall'A.A.M.S. dovrebbe ritenersi illegittimo. E ciò avverrebbe, ad esempio, negli accertamenti fondati sulla presenza di un mero rapporto cartolare (un contratto) tra la ricevitoria italiana e il bookmaker estero, senza che siano state provate e riscontrate in concreto le specifiche attività che integrano in capo al CTD la gestione per conto terzi, così come esemplificate nella pronuncia della Consulta.

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