Pedone ex art. 190 e 191 c.d.s.

Filippo Rosada
18 Gennaio 2019

La circolazione dei pedoni è disciplinata dal Codice della Strada e precisamente dagli artt. 190 (Comportamento dei pedoni) e 191 (comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni), tenuto conto, altresì, dell'art. 140 (Principio informatore della circolazione).
Inquadramento

La circolazione dei pedoni è disciplinata dal Codice della Strada (d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285) e precisamente dagli artt. 190 (Comportamento dei pedoni) e 191 (comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni), tenuto conto, altresì, dell'art. 140 (Principio informatore della circolazione).

Nei paragrafi che seguiranno, verranno evidenziati gli obblighi previsti per i conducenti dei veicoli così come per i pedoni, tenendo in considerazione la ratio legislativa e i più significativi arresti giurisprudenziali.

Evoluzione legislativa

L'evoluzione legislativa della materia ha trovato spunto dalla industrializzazione del Paese e dalla presa di coscienza che la prevenzione degli incidenti stradali necessitasse di una moderna regolamentazione della circolazione stradale, che tenesse in pari considerazione e tutelasse sia il diritto del pedone a deambulare in sicurezza, sia il diritto ad una fluida circolazione dei veicoli, il cui utilizzo è da collegarsi, prevalentemente, ad esigenze lavorative e di circolazione delle merci.

Prima del 1928, il legislatore si era quasi esclusivamente preoccupato della protezione del pedone dalla intrusione dei nuovi mezzi a motore. A partire dall'art. 56 del codice del 1928 (R.D. n. 3179 del 2 dicembre 1928 “Norme per la tutela delle strade e per la circolazione”), per poi passare all'art. 53 del codice del 1933 (R.D. n. 1370, approvato l'8 dicembre del 1933 e pubblicato il 30 dicembre sulla G.U. n. 301) si è iniziato a dettare delle regole di comportamento anche per i pedoni, avendo riguardo anche alle esigenze del traffico meccanizzato.

Il codice del 1959 (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, Testo unico delle norme sulla circolazione stradale) da un lato formulava obblighi stringenti per i pedoni, ma dall'altro implementava le prescrizioni per i conducenti dei veicoli e ciò, malgrado l'importante principio espresso dall'art. 101 – tutt'oggi previsto dall'art. 140 c.d.s. – che disponeva che tutti gli utenti della strada non dovevano causare intralcio alla circolazione.

Si giunge, quindi, al d.lgs. n. 285/1992, ove emblematicamente, il comma 5 dell'art. 190 sancisce il diritto di precedenza dei conducenti nei confronti dei pedoni che si accingono ad attraversare in zona sprovvista di attraversamenti.

Il comportamento dei pedoni nei confronti dei conducenti

Innanzi tutto per pedone, nell'ambito della circolazione stradale, deve intendersi chiunque si sposti a piedi ovvero non alla guida di un veicolo o altro mezzo di trasporto, su una strada pubblica o a questa equiparata.

La norma dedicata dal Codice della Strada al comportamento che i pedoni devono adottare è l'art. 190, composto da dieci commi.

Il primo comma regola la circolazione dei pedoni in generale, differenziandola a seconda che la strada si trovi all'interno o all'esterno dei centri abitati. Nel caso di strada nel centro abitato, si prescrive l'obbligo di utilizzo dei marciapiedi, delle banchine o degli altri spazi all'uopo predisposti. In mancanza di questi – o nel caso non siano sufficienti o ingombrino o manchino - il codice prevede che il pedone proceda sul margine della careggiata opposto al senso di marcia dei veicoli. Il precetto, lessicalmente poco chiaro, in pratica dispone che nelle carreggiate a doppio senso di marcia si proceda sul margine sinistro rispetto al senso di percorrenza del pedone. Per quanto riguarda le strade a senso unico, per la marcia nei centri abitati, non avendo previsto nulla il legislatore, in via analogica si ritiene applicabile quanto previsto per la marcia fuori dai centri abitati. Pertanto, sia all'esterno che all'interno dei centri abitati, il pedone dovrà tenere il margine sinistro in caso di carreggiata a doppio senso di marcia e il margine destro ove percorra una strada a senso unico.

La ragione che ha indotto il legislatore a disporre che il pedone marci in senso contrario rispetto a quello percorso dai veicoli, si rinviene nella anticipata percepibilità di questi ultimi, alla quale consegue una più probabile possibilità di evitare il pericolo attraverso idonei spostamenti o arresti.

Ci si chiede, in mancanza di esplicita previsione, se il pedone possa marciare in senso contrario rispetto al senso veicolare, nelle strade urbane.

La giurisprudenza (Cass. civ., sent. n. 5540/2011) ha avuto modo di precisare che è da ritenersi corresponsabile il pedone che contravvenga all'obbligo di circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli, in assenza di marciapiedi o banchine (nello stesso senso, Trib. Messina, 5 aprile 2005).

I Supremi Giudici si sono occupati anche dell'attività di jogging svolta lungo il margine della carreggiata, stabilendo che non vi è violazione dell'art. 190, comma 9, c.d.s. (Cass. pen., sent. n. 32221/2018 - nel caso di specie si è statuito per l'assenza del concorso di colpa del podista travolto e ucciso da un veicolo).

Per quanto concerne il concetto di “insufficienza” del marciapiede, tale da liceizzare l'uso della carreggiata da parte del pedone, ci si deve affidare ad una risalente sentenza di Cassazione, che evidenziava come fosse ininfluente la mera scomodità del transito, necessitando, invece, la sussistenza di un oggettivo pericolo o di un grave disagio (Cass. pen., 16 marzo 1965 in Giust. Pen., 1966, II, 382, 386).

Il primo comma termina con la disposizione che i pedoni che si trovano a marciare mezz'ora dopo il tramonto ovvero mezz'ora prima del sorgere del sole, su una carreggiata posta all'esterno di un centro abitato, sono obbligati a procedere su un'unica fila.

Dal comma 2 al comma 6, l'articolo si occupa dell'attraversamento della carreggiata da parte dei pedoni, stabilendone, nello specifico, le modalità consentite.

Quando sulla carreggiata sono presenti gli attraversamenti pedonali ovvero sottopassaggi o soprapassaggi, vi è obbligo di servirsene. Le uniche circostanze in cui è consentito al pedone di non fare uso degli attraversamenti è quando questi sono assenti oppure si trovino ad una distanza superiore a cento metri dal punto di attraversamento (salvo l'eccezione prevista per l'attraversamento di piazze e larghi di cui si dirà a breve). In detta evenienza il legislatore ha ritenuto di precisare la necessità, da parte del pedone, di attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare e di adottare l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri.

Seguono due commi, il 3 e il 4, nei quali si specificano i seguenti divieti: divieto di attraversare diagonalmente le intersezioni; divieto di attraversare piazze e larghi al di fuori degli attraversamenti, qualora esistano, anche se sono a distanza superiore di cento metri; divieto di sostare e indugiare sulla carreggiata salvo i casi di necessità; divieto di causare intralcio al transito dei pedoni sostando in gruppo sui marciapiedi, sulle banchine e sugli attraversamenti pedonali. Le prescrizioni appena elencate rappresentano delle specificazioni rispetto al principio generale imposto a tutti gli utenti della strada, siano essi pedoni o conducenti di veicoli, di cui all'art. 141 c.d.s.; raffigurano il reale tentativo di armonizzazione tra l'esigenza della fluidità del traffico veicolare e di quello pedonale.

L'apice del percorso legislativo di cui si è trattato nel paragrafo dedicato all'evoluzione della normativa sulla circolazione stradale lo si rinviene nel comma quinto dell'articolo in commento.

In evidenza

Art. 190, comma 5 c.d.s.: «I pedoni che si accingono ad attraversare la carreggiata in zona sprovvista di attraversamenti pedonali devono dare la precedenza ai conducenti».

La norma rappresenta il punto di approdo del legislatore, volto a mettere sullo stesso piano o per lo meno a tutelare in modo paritario sia la circolazione del pedone che quella dei veicoli, così definitivamente abbandonando quella tutela incondizionata del soggetto che aveva visto invadere e mettere a rischio il suo diritto a deambulare in sicurezza.

Anche la giurisprudenza, seppur con una certa timidezza, ha avuto modo di confermare, in determinate e specifiche occasioni, il diritto di precedenza del veicolo nei confronti del pedone, al quale, talvolta, viene riconosciuta se non la totale responsabilità del sinistro, almeno la prevalenza.

I Supremi Giudici, in un caso in cui un pedone aveva attraversato la strada senza tener conto che in quel punto non vi fossero strisce pedonali e che avrebbe dovuto concedere la precedenza ai veicoli che percorrevano quella strada, hanno escluso il diritto al risarcimento per le lesioni subite in seguito all'investimento (Cass. civ., sent. n. 12595/2015). È stata altresì riconosciuta la totale responsabilità del pedone che attraversando fuori dalle strisce pedonali faceva cadere un motociclista (Cass. pen., n. 39971/2009).

Particolarmente chiara una pronuncia della Corte d'Appello di Bari (App. Bari, sent., n. 46/2014), nella quale si precisa come ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 190 commi 1, 2 e 5 c.d.s. e 40 c.d.s., il pedone che attraversa la strada non sui passaggi pedonali, pure esistenti, deve prestare la massima attenzione per evitare situazioni di pericolo per sé e per gli altri, dando precedenza ai veicoli circolanti sulla carreggiata, in quanto, in detta circostanza ovvero in assenza dei passaggi pedonali, non v'è obbligo di precedenza ai pedoni da parte dei conducenti di autoveicoli.

In fine si menziona anche una sentenza del Tribunale di Milano (8 agosto 2006) in cui si riconosce la prevalente responsabilità (i due terzi) del pedone che collideva con un motociclo mentre attraversava la strada fuori dalle strisce pedonali, senza concedere la precedenza ai veicoli e valutando male la distanza intercorrente tra di essi.

Il comma sesto vieta ai pedoni di attraversare innanzi agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate. La disposizione normativa, con ogni evidenza, è volta a tutelare l'incolumità del pedone che in caso di violazione del precetto, sarebbe esposto maggiormente al rischio di essere travolto dall'automobilista in fase di sorpasso del mezzo di trasporto in sosta. In detta ipotesi, è stato riconosciuto un concorso del 25% a carico del pedone investito da un automobilista (Trib. Rieti, 12 aprile 2017, n. 8663; Cass. civ., n. 8663/2017)

Certamente di interesse attuale il divieto di circolazione delle tavole, pattini od altri acceleratori sia sulla carreggiata che sugli spazi riservati ai pedoni (quando possono creare pericolo per altri utenti) imposto dall'ottavo e nono comma. Se a ciò si aggiunge che la giurisprudenza ne ha decretato il divieto anche negli spazi adibiti a parcheggio (Cass. pen., sent. n. 2342/2017), si può ben convenire che tutti quegli strumenti elettrici che con sempre maggior frequenza si vedono circolare su strade e marciapiedi, allo stato, non sono in regola con la normativa vigente.

Il sesto comma prevede anche il divieto di effettuare sulle carreggiate giochi, allenamenti e manifestazioni sportive non autorizzate. Abbiamo già avuto modo di osservare in precedenza come non sia stata fatta rientrare nella fattispecie l'attività di jogging (Cass. pen., sent. n. 32221/2018).

Per ultimo si è lasciato il comma settimo, anche in quanto di collegamento con la disciplina dell'art. 191 c.d.s. che regolamenta il comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni. La norma prevede che le macchine per uso di bambini o di persone invalide, anche se motorizzate (ma non classificate veicoli ai sensi dell'art. 46), possono circolare sulle aree riservate ai pedoni.

Il comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni

L'articolo si compone di quattro commi; a parte l'ultimo, che come sempre è dedicato alla sanzione prevista in caso di violazione del precetto, gli altri affrontano nel dettaglio il comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni.

Il primo comma prescrive che nel caso in cui il traffico non sia regolato da agenti o da semafori, i conducenti devono dare la precedenza ai pedoni (rallentando ovvero arrestando la marcia) che transitano sugli attraversamenti pedonali. Quasi in modo pleonastico, nella seconda parte del medesimo comma, il legislatore ha ritenuto di dover specificare che i conducenti che svoltano per inoltrarsi in altra strada devono dare la precedenza (rallentando o arrestando la marcia) ai pedoni che transitino sull'attraversamento, sempre che non ne sia vietato il passaggio.

Nel caso in cui la strada sia priva di attraversamento pedonale, il secondo comma impone ai conducenti di concedere la precedenza ai pedoni che abbiano già iniziato l'attraversamento. La norma va letta in correlazione con il comma quinto dell'art. 190, che prescrive il diritto di precedenza dei veicoli nei confronti dei pedoni che si accingono ad effettuare l'attraversamento della carreggiata in assenza di attraversamento pedonale.

Il comma terzo è posto a tutela degli invalidi con ridotte capacità motorie o su carrozzella, ovvero dei non vedenti che stanno attraversando la carreggiata o sono in procinto di farlo; in detta ipotesi il conducente deve fermarsi.

Il secondo alinea del medesimo comma è invece dedicato alla protezione dei bambini e degli anziani, e impone ai conducenti di prevenire le situazioni di pericolo che questi ultimi, tenuto anche conto della situazione di fatto, possono determinate con comportamenti maldestri o scorretti.

La giurisprudenza ha in più occasioni evidenziato come i bambini siano istintivamente imprudenti e pertanto, in loro presenza, il conducente debba sempre essere pronto ad arrestare il veicolo in caso di necessità (Cass. civ., sent. n. 524/2011; Cass. civ., sent. n. 3542/2013).

L'onere della prova

La norma di riferimento è l'art. 2054 comma 1 c.c. che prevede una presunzione di responsabilità in capo al conducente del veicolo che causa danni, nell'ambito della circolazione stradale, a persone o cose.

In evidenza

Art. 2054, comma 1, c.c.: «Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno».

Perché operi la presunzione, il danneggiato deve provare il fatto storico ai sensi dell'art. 2697 c.c. e il rapporto causale tra l'evento pregiudizievole e l'evento stesso (Cass. civ., sent., n. 25421/2017; Cass. civ., sent., n. 3958/1994).

Importante osservare come il rapporto causale, per la sua sussistenza, non abbia bisogno del contatto materiale tra il veicolo e la cosa/persona danneggiata, così come stabilito dai supremi giudici per quanto concerne la presunzione di cui al comma 2 del medesimo articolo (Cass. civ., sent., n. 3704/2012).

Presupposto per l'applicabilità della presunzione è che il sinistro si verifichi in un'area aperta al pubblico transito e ordinariamente adibita al traffico veicolare - a prescindere dal carattere pubblico o privato della zona stessa - in quanto la pericolosità del fenomeno circolatorio è legata alla pluralità dei soggetti coinvolti (Cass. civ., sent., n. 26205/2011).

Se, da un lato, vi è la presunzione di responsabilità del conducente, è altrettanto vero che spetta sempre all'attore danneggiato fornire la prova del fatto storico, attraverso la produzione del rapporto di incidente stradale piuttosto che attraverso le prove testimoniali.

Ben può affermarsi, pertanto, che dallo stesso materiale probatorio offerto dal danneggiato per dare prova dell'elemento oggettivo del fatto, si possa ricostruire l'elemento psicologico di tutti i partecipanti del sinistro. Da quanto osservato discende la tesi che anche la presunzione del primo comma ha carattere suppletivo, nel senso che si dovrà fare a questa riferimento solo nel caso in cui il danneggiato non riesca, per motivi non collegati alla sua volontà, a dare prova positiva della colpa del responsabile.

Ove il danneggiato provi il nesso causale tra il sinistro e il danno, il conducente, per superare la presunzione di responsabilità, in primis, può dimostrare che il comportamento del danneggiato, così come del terzo o il caso fortuito, è stato causa esclusiva del sinistro (Cass. civ., sent., n. 10409/2016).

Il conducente, inoltre, sempre con la finalità di dimostrare l'estraneità alla causazione del sinistro, può provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno; detta prova, che riguarda l'elemento psicologico, si ritiene possa farsi coincidere con la dimostrazione di fatti che portino a ritenere l'assenza di responsabilità del soggetto alla guida del veicolo. Necessita, pertanto, la prova del rispetto di tutte disposizioni normative oltre che le regole di prudenza, diligenza e perizia, nella conduzione del veicolo.

In particolare, come già in precedenza osservato, si dovrà avere riguardo al precetto generale di cui all'art. 140 c.d.s., secondo il quale «gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione».

Sul punto la giurisprudenza è rigorosa nel ritenere che per superare la presunzione di responsabilità non è sufficiente provare di aver avuto una condotta di guida irreprensibile, in quanto è necessario dimostrare anche di essersi attivati per prevenire la prevedibile condotta scorretta altrui (Cass. civ., sent., n. 6039/2017)

La prova liberatoria della presunzione di responsabilità può essere fornita anche attraverso la dimostrazione del caso fortuito, inteso, secondo la più accreditata dottrina, in qualsiasi evento eccezionale ed imprevedibile ed inevitabile con l'impiego dell'ordinaria perizia e prudenza che la guida di un autoveicolo richiede, nel rispetto delle regole del codice della strada (Franzoni, Fatti Illeciti, Bologna, 1993, pag. 654 ss).

In giurisprudenza, si è specificato come il caso fortuito sia un fattore che attiene non già al comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile ad un elemento esterno (Cass. civ., n. 24739/2007; Cass. civ., n. 13514/2013), imprevedibile ed inevitabile (Cass. civ., n. 15107/2013) ricomprendendosi in tale causa esimente la forza maggiore ed il fatto del terzo (Cass. civ., n. 9439/2010; Cass. civ., n. 26830/2011), incluso quello del danneggiato (Cass. civ., n. 11016/2011).

L'indirizzo giurisprudenziale prevalente in punto responsabilità

Abbiamo già avuto modo di osservare come la giurisprudenza sia piuttosto restia nel valorizzare correttamente i comportamenti colposi posti in essere dal pedone, così come nel tenere nella giusta considerazione la possibilità, per il soggetto che deambula con l'ausilio delle gambe, di porre in essere più repentinamente azioni volte ad evitare l'impatto con un veicolo. Appare incoerente che la giurisprudenza applichi con un certo rigore il principio di “autoresponsabilità” (Corte Cost, sent., n. 156/1999), respingendo la domanda risarcitoria del pedone che per distrazione cade in una buca posta sul marciapiede, mentre riconosca l'integrale risarcimento del danno al medesimo soggetto che non abbia rispettato un preciso obbligo di comportamento prescritto dal codice della strada.

L'automobilista, pertanto, secondo una prevalente giurisprudenza che abusa del disposto dell'art. 2054, comma 1, c.c. in combinato disposto con l'art. 141 comma 2 c.d.s., deve tenere una condotta di guida che gli consenta di arrestare il veicolo anche di fronte ad ostacoli imprevedibili.

In evidenza

Art. 2054, comma 1, c.c.: «Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno».

Art. 141, comma 2, c.d.s.: «Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile».

Il concetto di prevedibilità della condotta altrui, viene dalla giurisprudenza interpretato estensivamente, tanto da comportare, di fatto, una responsabilità oggettiva del conducente che investe il pedone, il quale, per ovviare alla presunzione di responsabilità su di lui gravante, deve fornire una prova, in alcuni casi, impossibile.

Appare utile, a titolo esemplificativo, riportare una recente massima giurisprudenziale: «In tema di circolazione stradale, il principio dell'affidamento trova un temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché questo rientri nel limite della prevedibilità, tanto che l'obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, ponendo in essere la manovra di emergenza necessaria all'evento, pur se questo è riconducibile al prevedibile comportamento imprudente o negligente altrui, ovvero alla violazione delle norme di circolazione da parte della vittima o di terzi. In questa prospettiva, esente da censure è la sentenza di condanna per l'omicidio colposo in danno di un pedone pronunciata nei confronti di un automobilista che risulti di non aver adeguato la propria velocità alle circostanze spazio-temporali, finendo con l'investire il pedone, in un contesto in cui non poteva dubitarsi che fra gli ostacoli prevedibili vi potesse essere un pedone che in un ora notturna, in zona priva di illuminazione, ma frequentata dagli avventori di un locale notturno, attraversasse la strada in un punto privo di strisce pedonali: un tale ostacolo non poteva definirsi come improvviso, proprio per la vicinanza del locale e del traffico pedonale ad esso connesso, sicché il conducente avrebbe dovuto tenere una velocità costantemente proporzionata allo spazio corrispondente al campo della visibilità al fine di consentirgli l'esecuzione utile della manovra di arresto, considerato il tempo psicotecnico di reazione nell'ipotesi in cui si profili un ostacolo improvviso» (Cass. pen., sent. n. 38219/2018; conf. Cass. pen., sent. n. 25552/2017; Cass. pen., sent. n. 8663/2017).

Alla luce di quanto esposto sotto il profilo dell'evoluzione legislativa da un lato e di quella giurisprudenziale dall'altro, si ritiene che ancora oggi sussista uno sbilanciamento della giurisprudenza che tutela in modo anacronistico il pedone, senza tenere in giusta considerazione eventuali suoi comportamenti contrari al disposto e alla ratio stessa delle disposizione del codice della strada.

Casistica

Obbligo del pedone di marciare sul margine opposto al senso di marcia dei veicoli

Cass. civ., sent. n. 5540/2011: Sussiste una corresponsabilità del pedone nella causazione del sinistro qualora questi contravvenga all'obbligo imposto dall'art. 190 d.lgs. n. 285 del 1992 di circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in assenza di marciapiedi o banchine.

Trib. Messina, sez. II, 5 aprile 2005: Nel caso in cui un pedone circoli fuori dei centri abitati nello stesso senso di marcia delle automobili, violando le norme sancite dal codice della strada, e venga investito da automobile, quest'ultimo è corresponsabile, a meno che non dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Pertanto è configurabile una concorrente responsabilità del conducente il veicolo investitore, ove risulti che questi abbia tenuto una velocità eccessiva o, comunque, non adeguata alle circostanze di tempo o di luogo, e non abbia rallentato o non abbia arrestato la marcia del veicolo e non risulti che la comparsa del pedone sia stata improvvisa o imprevedibile.

Attività di jogging

Cass. pen., 20 giugno 2018, n. 32221: In tema di circolazione stradale, l'attività di "jogging" svolta dal pedone lungo il margine della carreggiata non rientra nel divieto di cui all' art. 190, comma 9, c.d.s.

Precedenza dei conducenti sui pedoni

Cass. civ., 18 giugno 2015, n. 12595: Deve essere confermata la decisione dei giudici del merito che hanno escluso il risarcimento in favore di un pedone investito allorché sia emerso che lo stesso aveva attraversato la strada senza tener conto che in quel punto non vi fossero strisce pedonali e che avrebbe dovuto concedere la precedenza ai veicoli che percorrevano quella strada, ponendosi così quale ostacolo imprevisto ed imprevedibile per l'automobilista, il quale, a sua volta, aveva tenuto una condotta corretta (…).

Cass. pen., 28 settembre 2009, n. 39971: In tema di circolazione stradale, il pedone che attraversi la carreggiata al di fuori delle strisce pedonali è responsabile delle lesioni cagionate al conducente di un ciclomotore, caduto a causa del repentino attraversamento, nonostante procedesse a velocità moderata.

App. Bari, 22 gennaio 2014, n. 46: La regola di condotta scaturente dal combinato disposto di cui agli artt. 190 commi 1-2-5 c.d.s. e 40 c.d.s. prevede che laddove il pedone attraversi la strada non sui passaggi pedonali, pure esistenti 1) deve prestare la massima attenzione per evitare situazioni di pericolo per sé e per gli altri (art. 190 comma 2), dando precedenza ai veicoli circolanti sulla carreggiata, poiché, in tale evenienza (attraversamento fuori dai passaggi pedonali o in assenza di essi) non v'è obbligo di precedenza ai pedoni (art. 40 c.d.s. da parte dei conducenti di autoveicoli.

Trib. Milano , 8 agosto 2006: Nell'ipotesi di collisione di un motociclo con un pedone che abbia attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali, senza dare la precedenza al veicolo, avendo valutato male la distanza intercorrente tra di essi, deve riconoscersi il concorso di colpa del pedone nella misura dei 2/3 per i danni cagionati al conducente.

Divieto di attraversare innanzi agli autobus, filoveicoli e tram

Trib. Rieti, 12 aprile 2007 , n. 129: Sussiste la responsabilità concorsuale (nella misura del 25% del totale) del minore che, sceso da un pulmino scuolabus, effettui l'attraversamento della strada passando davanti al mezzo e venga investito da un veicolo sopraggiungente (..).

Cass. civ., 4 aprile 2017, n. 8663: L'accertamento del comportamento colposo del pedone investito da veicolo non è sufficiente per l'affermazione della sua esclusiva responsabilità, essendo pur sempre necessario che l'investitore vinca la presunzione di colpa posta a suo carico dall'art. 2054, comma 1, c.c.

Divieto di circolazione delle tavole, pattini od altri acceleratori nelle aree di parcheggio

Cass. pen., 29 novembre 2017, n. 2342: Il divieto previsto dall' art. 190 c.d.s., di circolare mediante tavole, pattini od altri acceleratori di andatura sulle carreggiate delle strade e sugli spazi riservati ai pedoni, essendo volto alla tutela tanto di chi fa uso di tali strumenti quanto dei pedoni, si estende alle aree di parcheggio (…).

Velocità idonea ad arrestare il veicolo in caso di necessità

Cass. civ., 19 febbraio 2014, n. 3964: In caso di investimento pedonale, la circostanza che il pedone abbia repentinamente attraversato un incrocio regolato da semaforo per lui rosso non vale ad escludere la responsabilità dell'automobilista, ove tale condotta anomala del pedone fosse - per le circostanze di tempo e di luogo, che avrebbero consigliato una maggiore prudenza e in particolare una minore velocità - ragionevolmente prevedibile.

Cass. civ., 13 febbraio 2013 , n. 3542: L'art. 102, commi 2 e 3 c.d.s. del 1959 dispone che la velocità deve essere particolarmente moderata nell'attraversamento degli abitati o comunque di tratti di strada fiancheggiati da case. Ogni veicolo deve altresì rallentare la velocità e, occorrendo, anche fermarsi, quando i pedoni che si trovino sul percorso tardino a scansarsi. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'accertamento del comportamento colposo del pedone, investito da un veicolo a cui ha omesso di dare la precedenza, non esime il conducente, nelle circostanze di luogo prescritte dal precitato art. 102, dall'obbligo di rallentare adeguatamente l'andatura rispetto al limite di velocità consentito nel tratto di strada percorso e di arrestarsi, se le circostanze lo impongono (come nella fattispecie, avuto riguardo alla presenza di bambini su di essa e sull'antistante marciapiede).

Onere della prova

Cass. civ., n. 25421/2017: La circolazione dei veicoli costituisce un caso particolare di attività pericolosa, avendo il legislatore costruito la disciplina dell'art. 2054 c.c. come sottospecie della regola generale posta dall'art. 2050 c.c.. Per l'affermazione della responsabilità dell'esercente attività pericolosa è necessaria la sussistenza e l'accertamento del nesso eziologico tra l'attività e l'evento dannoso (…).

Area aperta al pubblico transito o a questa equiparata

Cass. civ., 6 dicembre 2011, n. 26205: Mentre la responsabilità ex art. 2054 c.c. può sussistere esclusivamente quando l'evento dannoso si verifichi in una zona aperta al pubblico transito e ordinariamente adibita al traffico veicolare(…).

Onere a carico del conducente per superare la presunzione di responsabilità

Cass. civ., 20 maggio 2016, n. 10409: In tema di risarcimento danni derivanti dalla circolazione stradale, il caso fortuito, al pari della colpa del danneggiato o del terzo e della forza maggiore, qualora rappresenti l'unica causa che abbia determinato l'evento dannoso, fa venire meno la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2054 c.c., in quanto non si può rispondere per colpa extracontrattuale di un fatto non preveduto che, secondo la comune esperienza e il normale svolgersi degli eventi, non sia neppure prevedibile. La prova del fortuito può essere fornita dal danneggiante anche a mezzo di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.

Caso fortuito

Cass. civ., 17 giugno 2013, n. 15107: In tema di perdita delle cose trasportate, l'art. 1693 c.c. pone a carico del vettore una presunzione di responsabilità "ex recepto" che può essere vinta soltanto dalla prova specifica della derivazione del danno da un evento positivamente identificato e del tutto estraneo al vettore stesso, ricollegabile alle ipotesi del caso fortuito e della forza maggiore, le quali, per il furto, sussistono soltanto in caso di assoluta inevitabilità (…).

Cass. civ., 21 aprile 2010, n. 9439: In materia di trasporto, la presunzione di responsabilità del vettore per la perdita delle cose trasportate, prevista dall'art. 1693 c.c., può essere superata soltanto mediante la prova che la perdita sia dipesa da caso fortuito, ricomprendendosi in tale causa esimente la forza maggiore ed il fatto del terzo(…).

Cass. civ., 19 maggio 2011, n. 11016: (…) salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato (…).

Sommario