Il diritto all’immagine e gli sviluppi della sua tutela

Roberta Nocella
12 Ottobre 2022

Lo scritto descrive le modalità con cui il nostro ordinamento tutela il diritto all'immagine. Particolare attenzione è dedicata all'evoluzione dei mezzi con cui è possibile violare tale diritto e ai profili di risarcimento dei danni, di natura patrimoniale e non.
Introduzione

Il contributo mira a chiarire come sia salvaguardato nel nostro ordinamento il diritto all'immagine, diritto personalissimo ed inviolabile costituzionalmente protetto (art. 2 Cost.), consistente nella tutela di situazioni e vicende di natura personale e familiare – non solo, cioè, il ritratto strettamente inteso, ma anche le informazioni che la sua diffusione implica: ad es., con chi e dove si trovava in un certo momento un certo soggetto - dalla conoscenza e curiosità “pubblica” (nel senso, come si verrà a dire, di “altrui”), situazioni e vicende che soltanto il relativo protagonista può decidere, a mezzo prestazione del consenso, di pubblicizzare ovvero di difendere da ogni ingerenza, sia pur realizzata con mezzi leciti e non necessariamente implicante danno all'onore o alla reputazione o al decoro, che non trovi giustificazione nell'interesse pubblico alla divulgazione.

Si specificheranno poi le differenze nelle ipotesi in cui un soggetto sia o meno noto, nonché l'evoluzione dei mezzi con cui è possibile violare il diritto all'immagine altrui: dalla stampa (che senz'altro ha costituito una dirompente rivoluzione a partire dal secolo scorso per l'uso che ne è stato fatto, unitamente all'“invenzione” della fotografia), sino ai social network, mezzi la cui diffusività e “leggerezza” possono indurre nell'inganno di far ritenere che immagini relative alla vita privata possano circolare, sebbene coinvolgano anche amici e, in generale, terzi.

Infine, verranno esaminati i rimedi e, in particolare, il risarcimento dei danni, di natura patrimoniale e non, che dalla lesione del diritto all'immagine possono derivare.

Il quadro normativo

La disciplina della tutela del diritto all'immagine si rinviene:

- negli artt. 2 e 21 Cost.;

- nell'art. 10 c.c. (“Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni”);

- nella legge n. 633 del 1941 (c.d. Legge sul Diritto d'Autore) che recita all'art. 96 “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente".

Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 93”; l'art. 97 stabilisce, invece, che“Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata”.

Il richiamato art. 93 co. 2, 3 e 4, prevede che “Dopo la morte dell'autore o del destinatario occorre il consenso del coniuge o dei figli, o, in loro mancanza, dei genitori, mancando il coniuge, i figli e i genitori, dei fratelli e delle sorelle, e, in loro mancanza, degli ascendenti e dei discendenti fino al quarto grado. Quando le persone indicate nel comma precedente siano più e vi sia tra loro dissenso, decide l'autorità giudiziaria, sentito il Pubblico Ministero. È rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto quando risulti da scritto”.

Meritano altresì menzione, per il trattamento dei dati senza consenso dell'interessato effettuato nell'ambito della professione di giornalista, gli artt. 136 e 137 del Codice Privacy (d.lgs. n. 196/2003) che prevedono rispettivamente: “Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero”: “Le disposizioni del presente titolo si applicano ai sensi dell'articolo 85 del Regolamento al trattamento:

a) effettuato nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità;

b) effettuato dai soggetti iscritti nell'elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui agli articoli 26 e 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 69;

c) finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell'espressione accademica, artistica e letteraria”. e “Disposizioni applicabili”: “1. Con riferimento a quanto previsto dall'articolo 136, possono essere trattati i dati di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento anche senza il consenso dell'interessato, purché nel rispetto delle regole deontologiche di cui all'articolo 139.

Ai trattamenti indicati nell'articolo 136 non si applicano le disposizioni relative:

a) alle misure di garanzia di cui all'articolo 2-septies.

b) al trasferimento dei dati verso paesi terzi o organizzazioni internazionali, contenute nel Capo V del Regolamento.

In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all'articolo 136 restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all'articolo 1, paragrafo 2, del Regolamento e all'articolo 1 del presente codice e, in particolare, quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”. Infine, l'art. 6 del Codice deontologico dei giornalisti che nel primo comma esplicita il limite dell'essenzialità dell'informazione: “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti” (comma 1), mentre al comma 2 si premura di precisare che “la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”.

Il consenso come regola e le sue eccezioni

Anzitutto, per comprendere quale sia la disciplina applicabile, occorre accertare se la persona la cui immagine è stata pubblicata sia nota o meno, poiché i “termini” del suo consenso cambiano: infatti, ove essa non sia un personaggio notorio o non ricopra un ufficio pubblico (né ricorrano le altre esigenze, sempre di natura pubblica, elencate nell'art. 97 l. dir. aut.: si pensi ad una persona scomparsa e ricercata dalle autorità di polizia) il presupposto del consenso (di regola, espresso, e tacito in via eccezionale) è imprescindibile per la diffusione della sua immagine.

Ove, invece, si tratti di un soggetto noto, il problema che si pone è in che limiti sia giustificata la pubblicazione, senza il suo consenso, di immagini che nulla hanno a che vedere con la “funzione” (intesa in senso ampio, anche di persona del mondo dello spettacolo) ricoperta: si veda, sul punto, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010 n. 11353 secondo cui “In tema di autorizzazione dell'interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dall'art. 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, ricorrendo le quali l'immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall'interesse pubblico all'informazione; di conseguenza, avendo carattere derogatorio del diritto alla immagine, quale diritto inviolabile della persona tutelato dalla Costituzione, sono di stretta interpretazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso la necessità del consenso dell'interessato, ritenendo che non avesse fini di lucro, ma scopi "didattici o culturali", previsti dal suddetto art. 97, la pubblicazione dell'immagine di un ex allievo di una scuola di danza nella locandina promozionale di uno spettacolo a pagamento della stessa scuola)”.

In altre parole, non vi è alcuna giustificazione alla pubblicazione delle foto che, ad esempio, ritraggono un noto presentatore televisivo in vacanza con la sua famiglia in un resort tropicale, laddove le immagini erano state peraltro “carpite” con potenti obiettivi fin dentro le stanze dell'hotel e vi era stata previa diffida a non utilizzarle, perché l'informazione che da tale utilizzo dell'immagine deriva nulla aggiunge in termini di utilità sociale che giustificherebbe l'eccezione alla regola della necessità del consenso e, anzi, costituendone abuso, implica un illecito sfruttamento economico dell'immagine, nonché una aggressione alla riservatezza e alla sfera privata del personaggio. Stessa conclusione per la diffusione di foto di un noto attore internazionale che, all'interno della sua villa, svolge attività private in pieno relax in estate con la sua nuova fidanzata (anche in questo caso non solo non vi era consenso, ma il rotocalco era stato diffidato dalla pubblicazione delle immagini).

Al fine, poi, di dimostrare la notorietà del soggetto interessato, non basta affermare tout court che esso sia tale – con conseguente non necessità del suo consenso alla diffusione delle sue immagini – perché, ad es. si trattava della moglie di un noto agente del mondo dello spettacolo che senz'altro, nel passato, frequentava feste, eventi, etc. Occorre, invece, che (in applicazione del principio stabilito all'art. 2697 c.c., ad es. mediante produzione di articoli di giornale, etc.) si dimostri che il pubblico conserva una qualche memoria del personaggio e che la sua notorietà sia in qualche modo attuale.

Ovviamente, nel caso di persona comune occorre che essa sia riconoscibile e che la sua immagine non sia “confusa” in una massa più o meno indistinta di persone, ad es. in un comizio, in una sagra, in una corsa di beneficienza, etc.

Sempre necessario il consenso del genitore o di chi eserciti la tutela per la diffusione di immagini di minori.

Quanto, poi, alla natura della prestazione del consenso, è opportuno richiamare Cass. civ., Sez. I, 17 febbraio 2004 n. 3014, secondo cui “Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all'immagine, ma soltanto il suo esercizio; dal che deriva che tale consenso, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, da esso resta tuttavia distinto ed autonomo (ciò che rileva anche ai fini della sua revocabilità, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita), e che la pattuizione del compenso non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione”.

In merito alla forma, appare necessario prestare attenzione all'ipotesi in cui colui che ha effettuato la diffusione si appelli, a sua scusante, all'esistenza di un consenso tacito: in particolare in caso di pubblicazione di foto/video di “amici” a mezzo social network (Facebook, Instagram, Google+, YouTube o qualsiasi altro) non sempre è sufficiente richiamare il fatto di avere già pubblicato nel passato sul proprio profilo altre (o anche la medesima) foto di un amico, non solo perché questo può non esserne venuto mai a conoscenza, ma perché nel tempo i rapporti mutano e, pertanto, ciò che poteva essere accettato allorquando i rapporti erano amichevoli, non lo è più dopo che essi si siano compromessi. E così la pubblicazione sul proprio profilo web della foto di una cara amica per commemorarne un prematuro decesso può non avere mai suscitato la reazione di marito e figli, finché venivano mantenuti i rapporti con la titolare del profilo web; diversamente, dopo la lite che ha provocato l'interruzione dei rapporti.

Trattandosi di eccezione alla regola generale della necessità di un consenso espresso, in altre parole, essa va interpretata in senso restrittivo.

Non è mai consentita, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 97 l. dir. aut., l'esposizione o la messa in commercio del ritratto altrui, “quando [essa] rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata”, ovvero intervenga la lesione di altri fondamentali diritti della personalità: si pensi, ad es., all'accostamento di una foto a un certo contesto non condiviso dal soggetto coinvolto, oppure all'aggiunta di un commento offensivo, etc. In tale caso, occorre verificare il rispetto dei noti limiti, elaborati a giustificazione dell'esercizio del diritto alla libertà di espressione garantito dall'art. 21 Cost., della verità, pertinenza e continenza (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. 3, n. 4325 del 23 febbraio 2010). Non sempre, tuttavia, la violazione del diritto all'immagine si accompagna a quella della reputazione, decoro e onore della persona ritrattata.

Quanto ai mezzi con cui viene posta in essere l'aggressione all'immagine, occorre sottolineare che, a fianco alla carta stampata – la cui diffusione è stata massima, si potrebbe dire, nel secolo scorso, unitamente all'“invenzione” della fotografia – nel secolo in corso non si può prescindere dall'utilizzo dei social network. Questi ultimi, senz'altro coinvolgono anche i personaggi pubblici, ove si pensi che ormai anche i quotidiani vengono pubblicati prevalentemente on-line, ma, ad opinione dello scrivente, è proprio l'immagine delle persone comuni a subire il maggiore impatto: a causa della semplicità dell'utilizzo dei social network (chiunque è in grado di scattare una foto o girare un video col cellulare, di pubblicarli sul proprio profilo Facebook o Instagram o Twitter etc. e, poi, chiunque altro, tra gli amici o follower di colui che ha operato la pubblicazione o, se non ci sono limitazioni all'accesso al c.d. profilo, addirittura indistintamente, può scaricare la foto e farla circolare) si tende a dimenticare che l'immagine dei terzi è tutelata dal diritto (come si è detto supra) in modo quasi privo di eccezioni. Si potrebbe parlare di un eccesso di leggerezza che, come qualcuno ha notato, induce a preferire il chiedere scusa dopo anziché il permesso prima; tuttavia, non sempre sono sufficienti le scuse.

I rimedi alle violazioni. In particolare: il rimedio risarcitorio

Come sopra riportato, l'art. 10 c.c. prevede espressamente che l'autorità giudiziaria, in caso di accertamento dell'uso illegittimo dell'immagine di una persona, tanto più se con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa (o dei suoi congiunti se il soggetto ritrattato è deceduto), può disporne la cessazione mediante la rimozione/inibitoria, nonché accordare il risarcimento del danno.

I danni asseritamente subìti possono avere natura patrimoniale o non patrimoniale; appare opportuno distinguere in base alla notorietà o meno della persona la cui immagine è stata illecitamente diffusa. Nell'ipotesi di soggetto lato sensu pubblico, infatti, si potrebbe dire che l'immagine in sé ha un valore commerciale perché essa, suscitando un interesse talvolta morboso della collettività a conoscere il lato strettamente privato della vita del “beniamino”, consente una maggiore tiratura/diffusione del mezzo utilizzato e, quindi, un maggiore guadagno dell'editore. Il criterio da utilizzare, secondo la Suprema Corte, è quello del “prezzo del consenso” che il personaggio pubblico avrebbe potuto ottenere ove avesse ceduto il diritto alla pubblicazione delle sue foto; in caso di impossibilità di dimostrare tale misura, il ricorso al criterio equitativo è sempre possibile richiamando elementi specifici della fattispecie (ad es., quante foto siano state pubblicate e con che rilievo; la diffusione, in termini numerici e di internazionalità, del supporto su cui è avvenuta la pubblicazione; se vi sia stata o meno una diffida alla pubblicazione, etc.).

Si veda, al riguardo, ancora Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010 n. 11353 che ha affermato: “L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" esige la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. (Nella specie, relativa all'illegittima mancata ammissione di un allievo alla scuola di danza di un teatro, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva equitativamente riconosciuto, oltre al pregiudizio patrimoniale in senso stretto liquidato sulla base dei compensi annui che l'attore avrebbe percepito come allievo della scuola, il danno da perdita di chance, consistito nella perdita di concrete possibilità di lavoro conseguenti al forzato ed illegittimo fermo artistico nel periodo in cui il giovane allievo avrebbe avuto maggiori possibilità di guadagni professionali)”. e “L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. (Nella specie, relativa all'illegittima mancata ammissione di un allievo alla scuola di danza di un teatro, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva equitativamente riconosciuto, oltre al pregiudizio patrimoniale in senso stretto liquidato sulla base dei compensi annui che l'attore avrebbe percepito come allievo della scuola, il danno da perdita di chance, consistito nella perdita di concrete possibilità di lavoro conseguenti al forzato ed illegittimo fermo artistico nel periodo in cui il giovane allievo avrebbe avuto maggiori possibilità di guadagni professionali)” (conforme a Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12433 del 16/05/2008).

Ove la persona la cui immagine è stata diffusa sia, invece, un privato, più difficile sarà la prova di un vero e proprio danno patrimoniale in termini sia di lucro cessante che di mancato guadagno: occorrerà valutare caso per caso, come nell'ipotesi della moglie del noto giornalista che compariva in alcune delle foto illecitamente pubblicate in quanto condivideva la vacanza col medesimo. In generale, ovviamente, il prezzo del consenso che l'uomo della strada potrebbe ottenere ove cedesse il diritto alla pubblicazione delle sue foto potrebbe anche (fermo l'esame su come, dove e con che fini sia avvenuto l'utilizzo) non esistere.

Resta il profilo del risarcimento del danno non patrimoniale. Secondo i principi generali dettati a partire da Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 2008, la lesione del diritto fondamentale (quale è quello all'immagine ex art. 2 Cost.) deve eccedere una certa soglia di offensività (gravità) e provocare un danno serio; inoltre, devono essere evitate duplicazioni risarcitorie. Ancora, merita richiamo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “Il danno all'immagine ed alla reputazione (nella specie, per un articolo asseritamente diffamatorio), inteso come "danno conseguenza", non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima” (ex plurimis, da ultimo Cass. civ., Sez. 3, Ordinanza n. 4005 del 18 febbraio 2020).

Orbene, talvolta ad opinione di chi scrive i parametri sopra riportati vengono dimenticati – anche per la difficoltà di dimostrare elementi a supporto, quali il patimento, la sofferenza, etc. - e, de facto, ove accordato, il risarcimento ha a oggetto non il danno conseguenza ma proprio la lesione all'immagine in sé e per sé. Così, ad esempio, nel caso della liquidazione del danno non patrimoniale subìto dalla star hollywoodiana per aver visto pubblicate le foto che lo ritraevano nella sua villa in atteggiamenti intimi con la compagna: posto che era già stato quantificato quello di natura patrimoniale sulla base dei criteri sopra riportati, non si vede come, in assenza di specifiche allegazioni/prove sulla sofferenza intima subìta, non possa considerarsi un danno in re ipsa il ristoro del turbamento e della sofferenza psicologica che l'attore sarebbe stato costretto a subire nel vedere diffuse numerose immagini private raffiguranti momenti di relax e intimi colti di nascosto.

Si ricorda altresì che il fatto illecito può essere astrattamente configurabile come reato (ipotesi espressamente richiamata da Cass. Sez. U, Sentenza n. 26972 del 2008) con quanto ne consegue in termini di danno c.d. morale (almeno secondo la vecchia classificazione; forse oggi è più opportuno parlare di danno da reato o da sofferenza per aver subìto un reato).

Ad es., il diritto a conservare il ricordo di uno stretto congiunto prematuramente e dolorosamente scomparso, senza vederne pubblicata l'immagine sul web (tanto più da parte di una persona con cui i rapporti sono ormai compromessi), può essere ritenuto inciso in modo grave e serio e, a livello di quantificazione, gli elementi della fattispecie concreta da valorizzare ai fini della liquidazione equitativa possono essere, da un lato la tempestività della rimozione dopo la formale richiesta, dall'altro il contesto doloroso della perdita del caro.

In conclusione

Concludendo, contrariamente a quello che potrebbe far credere la diffusività e semplicità dei social network e la rapida evoluzione delle relative tecnologie, una legge risalente al 1941 - e quindi, ben anteriore alla rivoluzione di internet - consente di tutelare in modo ancora valido il diritto di ciascuno a non vedere diffusa la propria immagine.

Ciò vale sia per i personaggi noti, che per quelli comuni: segnatamente, per questi ultimi la lesione del diritto all'immagine è senz'altro più probabile avvenga a mezzo dei social network che della stampa. Nonostante la “novità” di tali mezzi – che sembrano ad oggi a tanti l'unica forma per esprimere la propria personalità, con il conseguente inganno di poter liberamente pubblicare foto ed informazioni anche degli amici – si può quindi concludere che la legge sul diritto d'autore mantiene la sua tenuta.

Quanto ai rimedi, ad opinione di chi scrive rimane da lavorare, caso per caso ed in relazione alle circostanze specifiche allegate, provate o presunte, sul tema del risarcimento dei danni, soprattutto di natura non patrimoniale.

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