Comunicazione scritta di licenziamento: inammissibile la prova per testimoni

Barbara Mandelli
26 Ottobre 2022

La questione approdata in Cassazione è la seguente: è ammissibile provare attraverso testimoni la comunicazione del licenziamento asseritamente avvenuta per iscritto?
Massima

Non è consentita la prova testimoniale di un contratto di cui la legge prevede la forma scritta a pena di nullità se non nel caso di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c. La violazione di tale divieto determina un'inammissibilità rilevabile d'ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio e non può essere superata nemmeno dai poteri istruttori attribuiti ex art. 421 c.c. al giudice del lavoro.

Di conseguenza, è nullo, per difetto della forma prevista ex lege, il documento consistente in una lettera di licenziamento, quando di tale documento non risulta la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all'estromissione del lavoratore, né la data potrebbe essere quella riferita dai testi, perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente il detto divieto di prova testimoniale.

Il caso

La ricorrente per cassazione subiva, in primo grado, un provvedimento dichiarativo dell'inefficacia del licenziamento intimato in forma orale alla propria lavoratrice durante una riunione, accompagnato dall'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e dalla condanna al risarcimento del danno mediante pagamento di una indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Meglio non andava innanzi alla Corte d'Appello di Firenze, la quale respingeva il reclamo presentato dalla società avverso il detto provvedimento.

In sintesi, il datore di lavoro, secondo i Giudici aditi, non aveva adempiuto al proprio onere di provare con la forma scritta ad substantiam il licenziamento, non essendo ammissibile la prova testimoniale del presunto recesso datoriale scritto.

Il ragionamento del giudicante parte dalla premessa che qualora venga contestata la consegna di una lettera di licenziamento, tale modalità di comunicazione non può essere oggetto di prova orale, altrimenti, la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell'esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam.

La questione

La questione approdata in Cassazione è la seguente: è ammissibile provare attraverso testimoni la comunicazione del licenziamento asseritamente avvenuta per iscritto?

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Corte di Cassazione, il Giudice di merito avrebbe affrontato e deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità e i motivi dedotti da parte ricorrente non avrebbero offerto nuovi elementi atti a mutare l'orientamento consolidato in materia. Ne è conseguita la declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato dal datore di lavoro e ciò ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c.

A fronte di tale decisione, sembra utile ripercorrere, brevemente, quali siano i citati principi ormai cristallizzati in un orientamento ritenuto “univoco, chiaro e condivisibile” dalla Suprema Corte.

Il licenziamento deve essere intimato per iscritto e deve essere rispettoso della procedura prevista dalla legge (art. 2 della Legge n. 604 del 1966).

Nel caso di mancata osservanza di tale disposizione, il licenziamento si intende inefficace e l'inefficacia consegue alla nullità per difetto di forma prescritta ad substantiam (cfr. Cass. n. 13543/02).

D'altronde, l'art. 6 della Legge n. 604 del 1966 stabilisce che: Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.”.

E non potrebbe sostenersi che all'onere di comunicare il licenziamento in forma scritta possa supplire la trasmissione dei dati relativi alla cessazione del rapporto al Centro dell'Impiego, in quanto la stessa viene indirizzata a soggetto diverso dal lavoratore e, peraltro, priva di specificazione dei motivi (cfr. Tribunale Roma, n. 1080 del 3 febbraio 2020).

Appurata quindi la necessità della forma scritta, allora è naturale conseguenza l'applicabilità al provvedimento di espulsione del lavoratore della disposizione dell'art. 2725 c.c. in virtù della quale non è consentita la prova testimoniale di un contratto (o di un atto unilaterale, ex art. 1324 c.c.) di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità se non nel caso indicato al numero 3 dell'articolo che lo precede, il 2724, vale a dire qualora il documento vada perduto senza colpa.

Essendo una norma di ordine pubblico, il detto divieto di testimonianza produce una inammissibilità rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado a differenza di quanto avviene in ipotesi di violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. o di testimonianza assunta in materia di atti unilaterali e contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem tantum.

Tale divieto non può essere superato nemmeno dal potere attribuito ex art. 421 comma 2, prima parte, c.c. al giudice del lavoro di ammettere d'ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal Codice civile. Infatti, in tal caso, ci si riferisce ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. e non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem).

Quanto fin qui detto riguarda la forma dell'atto contenente la manifestazione del recesso necessariamente scritta. Occorre invero meglio precisare il discorso riguardante il mezzo di trasmissione della comunicazione di licenziamento e la sua prova.

In quanto negozio unilaterale recettizio a forma vincolata, infatti, il licenziamento soggiace alla disciplina dettata dagli artt. 1334 e 1335 c.c. e si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione di volontà del recedente giunge a conoscenza del destinatario, acquistando così l'idoneità alla produzione dell'effetto voluto.

Proprio in virtù della presunzione ex art. 1335 c.c. l'atto si intende conosciuto quando perviene all'indirizzo del destinatario o gli sia stato materialmente consegnato a mani proprie, circostanza – quest'ultima – che può essere dimostrata, ad esempio, dalla sottoscrizione per ricevuta apposta in calce alla lettera medesima. La comunicazione del licenziamento può essere effettuata anche mediante un telegramma (Cass. 12128/1992) mentre risulta più incerta la possibilità di avvalersi del fax, in quanto quest'ultimo strumento non consente di dimostrare con certezza né la provenienza né la data di invio.

Il recesso intimato a mezzo whatsapp può assolvere l'onere della prova scritta, allorché il lavoratore abbia imputato al datore di lavoro il documento informatico, magari provvedendo a formulare tempestiva impugnazione (Tribunale Catania 27 giugno 2017).

Le modalità di comunicazioni possono essere quindi le più disparate e in linea teorica anche le prove fornite a sostegno delle stesse ma, come sostenuto dalla giurisprudenza esaminata, occorre prestare attenzione a non aggirare surrettiziamente il divieto di prova testimoniale sancito per il licenziamento. La peculiare modalità di comunicazione consistente nella consegna di una lettera non può essere oggetto di prova orale, altrimenti, la testimonianza conterrebbe inevitabilmente al suo interno la prova orale dell'esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam.

D'altronde, in assenza di un documento scritto, non può supplire alla carenza di prova scritta un documento consistente in una lettera di licenziamento, quando di tale documento non risulta la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all'estromissione del lavoratore, né la data potrebbe essere quella riferita dai testi.

Osservazioni

Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa.

Una volta divenuto pacifico tra le parti il fatto dell'estinzione del rapporto a seguito del licenziamento, controvertendosi quindi solo sulle modalità, si produce una inversione dell'onere probatorio in base alla quale il datore di lavoro è tenuto a dimostrare tutti i requisiti di forma e di efficacia del licenziamento che sostiene di aver ritualmente intimato e, in mancanza, il licenziamento diventa illegittimo (Cass. 5061/2016).

La prova che il rapporto si sia interrotto in base ad una manifestazione di volontà estintiva manifestata legittimamente non può essere data in via testimoniale e, quindi, in assenza di un documento scritto o della prova del suo incolpevole smarrimento, l'intimazione di licenziamento risulta nulla per difetto della forma prevista ex lege.

Per tutto quanto detto e riportato pare difficilmente sostenibile in giudizio la prassi dei datori di lavoro di utilizzare lettere di intimazioni di licenziamento con la dicitura in calce dell'avvenuta lettura al prestatore di lavoro e la testimonianza di terzi che la suddetta lettera di recesso è stata consegnata ma che il lavoratore ha rifiutato di sottoscriverla.

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