Cambio d'appalto e deroga alla clausola di salvaguardia alla riassunzione del dipendente della società uscente

Gianluca Lavizzari
26 Ottobre 2022

La tematica principale di cui si occupa la sentenza in commento si pone nel solco del dibattito legislativo che ha recentemente interessato le clausole sociali, ripristinate in extremis nel novellato Codice Appalti Pubblici.
Massima

In caso di cambio appalto la società subentrante, in deroga alla clausola di salvaguardia, non è tenuta ad assumere il dipendente della società uscente se lo stesso sia privo di attitudine professionale (nel caso concreto, il lavoratore era stato condannato per fatti connessi al traffico di stupefacenti).

Il caso

La società subentrante in un appalto omette di assorbire un dipendente dell'ex appaltatrice in quanto condannato per fatti connessi al traffico di stupefacenti, valutandolo privo della necessaria attitudine professionale.

Il lavoratore ricorre in giudizio e chiede, in via principale, l'accertamento dell'avvenuta conclusione del contratto di assunzione con la subentrante; in via subordinata, l'accertamento del diritto ad essere assunto dalla subentrante in virtù della clausola di salvaguardia di cui al contratto collettivo applicato.

Le doglianze del lavoratore sono respinte in primo e in secondo grado. La Corte d'Appello di Reggio Calabria motiva la decisione sul presupposto che il diritto all'assunzione di cui alla clausola sociale è limitato dalla possibilità per il futuro datore di lavoro di far prevalere condizioni ostative all'assunzione derivanti dalla valutazione della professionalità del lavoratore; in secondo luogo, i fatti per i quali il dipendente era stato condannato erano di gravità tale da incidere sul vincolo fiduciario rendendo inutile l'assunzione. La conclamata incompatibilità professionale del lavoratore giustifica, ex art. 1218 c.c., l'inadempimento da parte della società all'obbligazione di assunzione di cui alla clausola di salvaguardia.

Il dipendente ricorre in Cassazione sulla base di tre motivi: 1) violazione e falsa applicazione della clausola sociale; 2) violazione e falsa applicazione della norma collettiva per cui i motivi ostativi all'assunzione sono costituiti esclusivamente dal mancato superamento della visita medica di idoneità, da sentenza penale passata in giudicato o dalla pendenza di procedimento penale per delitto non colposo incidente sull'attitudine professionale del lavoratore (condizione che il ricorrente non ritiene sussistente al momento del mancato subentro); 3) violazione e falsa applicazione dell'art. 8 St. Lav.

La Corte di Cassazione respinge il ricorso, giudicandolo inammissibile, e conferma la decisione della Corte d'Appello.

La questione

Il datore di lavoro subentrante in un appalto è obbligato in virtù della clausola di salvaguardia ad assumere il dipendente della società uscente condannato per traffico di stupefacenti?

Le soluzioni giuridiche

Come noto la clausola di salvaguardia, o clausola sociale, in materia di cambio appalto, inserita in diversi contratti collettivi, ha la finalità di obbligare l'appaltatore subentrante ad assumere il personale dipendente dell'appaltatore uscente in modo da garantire il mantenimento del livello occupazionale.

Tale finalità, logicamente, si scontra a prima vista con le esigenze datoriali di libera organizzazione del lavoro e di iniziativa economica privata.

La pronuncia in commento ragionevolmente conferma la sussistenza di un freno all'imposizione scaturita dalle clausole sociali. Sul punto, la Corte di Cassazione fa riferimento al “limite derivante dai principi generali del sistema” costituito dalla possibilità, per il futuro datore, in conformità con una lettura a contrariis dell'art. 8 St. Lav., di esaminare preventivamente all'assunzione l'attitudine professionale del lavoratore e di decidere di conseguenza.

La Cassazione ritiene, addirittura, che ciascuna delle due ragioni su cui si basa la decisione di secondo grado sia autonomamente sufficiente a giustificare il rigetto della domanda del ricorrente.

Da un lato occorre riconoscere il limite al funzionamento della clausola sociale consentendo al nuovo datore di verificare l'idoneità professionale del lavoratore (nel caso concreto esclusa), dall'altro l'incompatibilità del lavoratore a svolgere la prestazione lavorativa, in quanto condannato penalmente per gravi reati, quale causa di impossibilità sopravvenuta ex art. 1218 c.c., esonera il datore ad adempiere all'obbligo di facere di cui alla clausola sociale.

La Corte di Cassazione dunque risponde negativamente al quesito posto.

Osservazioni

La tematica principale di cui si occupa la sentenza in commento si pone nel solco del dibattito legislativo che ha recentemente interessato le clausole sociali, ripristinate in extremis nel novellato Codice Appalti Pubblici. La decisione della Corte è in linea con un orientamento giurisprudenziale che riconosce la garanzia del mantenimento dell'occupazione contemperato, allo stesso tempo, con una ragionevole tutela delle esigenze datoriali.

Difatti, si rammenta, l'operatività delle clausole di salvaguardia è altresì limitata nel caso in cui, ad esempio, il nuovo appalto non preveda le medesime condizioni precedenti ma una riduzione dei servizi. La garanzia della riassunzione presso la nuova impresa diviene così elastica, in quanto il lavoratore licenziato non è titolare di un diritto soggettivo perfetto all'assunzione a tempo pieno nei confronti della subentrante che, infatti, può utilizzare diversamente il personale o adottare il part time (Tribunale Roma, sez. lav., 25 maggio 2017, n. 4985).

E ancora. L'inserimento, nel bando di gara d'appalto, della clausola sociale di riassorbimento è legittimo se interpretato nel senso che il nuovo appaltatore è tenuto a concedere priorità, nell'assunzione, ai dipendenti impiegati presso l'appaltatore uscente, ma solo a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano compatibili con l'organizzazione d'impresa prescelta dal novello appaltatore, sulla base del presupposto che l'iniziativa economica privata è libera ma contemperata dall'utilità sociale. La clausola, se inserita nella lex specialis, ha forza cogente nel senso che l'offerente non può ridurre arbitariamente il numero di dipendenti da impiegare presso l'appalto.

Ciò non significa che tale “clausola comporti l'obbligo per l'impresa aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata tutto il personale già utilizzato dalla precedente impresa affidataria del servizio” (Tribunale Bari, sez. lav., 28 gennaio 2019, n. 346; Tribunale Bari, sez. lav., 18 febbraio 2019, n. 700).

Si osserva, infine, che la sentenza tocca anche la vexata quaestio del licenziamento per condotta extralavorativa.

Come noto il lavoratore è tenuto a non porre in essere condotte che possano ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, anche in ambito extralavorativo.

Copiosa giurisprudenza ritiene giustificato il licenziamento del dipendente che, ad esempio, si sia reso colpevole di particolari reati, quali l'adescamento di minori mediante divulgazione di materiale pedo-pornografico e la detenzione di stupefacenti, che incidono sul vincolo fiduciario (Cass., sez. lav., 15 ottobre 2021, n. 28368; Tribunale Roma, sez. lav., 29 marzo 2022, n.1359).

Altrettanto giustificato è stato ritenuto il licenziamento disciplinare comminato a lavoratore che, durante la fruizione dei permessi ex legge n. 104 o dei permessi sindacali, abbia abusato degli stessi svolgendo attività non compatibile con le finalità per cui i permessi erano stati riconosciuti (Cass., sez. lav., ord. 16 giugno 2021, n. 17102) o che, in costanza di malattia, abbia espletato diversa e ulteriore attività lavorativa o ricreativa che consenta di presumere l'insussistenza di stato di malattia e/o mette comunque a rischio il percorso di guarigione.

Si aggiunga per completezza che, anche a fronte di reati particolarmente odiosi, è stata negata la legittimità del licenziamento conseguente sul presupposto, quantomento opinabile, trattarsi di vicende estremamente personali con alcun impatto sull'aspettativa datoriale di corretta prosecuzione del rapporto lavorativo (Cass., sez. lav., 10 settembre 2018, n. 21958, conferma Corte App. Milano, sez. lav., 18 luglio 2016, n. 1030).

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