Tributario

Ai fini Ace non rilevano le rinunce dei crediti da “cash pooling” c.d. “zero balance”

Fabio Gallio
26 Ottobre 2022

In un recente interpello l'Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti sul trattamento fiscale della rinuncia a crediti derivanti da contratti di cash pooling zero balance, con particolare riferimento alle agevolazioni Super ACE.
Introduzione

L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta all'interpello n. 396 del 29 luglio 2022, riguardante la rinuncia a crediti derivanti da contratti di cash pooling zero balance ai fini della Super ACE, sostenendo la tesi secondo cui, in capo alla società controllata, le somme oggetto di rinuncia non costituiscono un incremento agevolabile ai fini della “super ACE” (e dell'ACE “ordinaria”).

In particolare, è stata negata la possibilità alla Società controllata di godere dell'agevolazione ACE relativamente agli incrementi del proprio patrimonio netto derivanti dall'aumento delle riserve maturate in seguito alla rinuncia da parte della Società controllante di un credito finanziario vantato nei confronti della controllata.

La motivazione del diniego deriva sostanzialmente dalla peculiarità della fattispecie in esame, ovvero dal fatto che tale credito finanziario è maturato in un conto corrente societario regolamentato da un contratto c.d. cash pooling zero balance.

Il rilievo si fonderebbe sulla relazione illustrativa al D.M. 14 marzo 2012 (che conserva attualità anche in relazione alla previsione dell'art. 5 del nuovo D.M. Ace – Decreto Ministeriale del 3 agosto 2017) la quale evidenzia che la rinuncia ai crediti riguardare esclusivamente i crediti aventi natura finanziaria, cioè derivanti da precedenti finanziamenti in denaro.

In merito ai contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance, l'Amministrazione finanziaria sostiene che l'assenza dell'obbligo di restituzione delle rimesse attive, la reciprocità delle stesse nonché l'inesigibilità e indisponibilità del saldo del conto corrente fino alla chiusura dello stesso concorrono a qualificare l'accordo negoziale secondo caratteristiche non riconducibili ad un prestito di denaro nel rapporto fra le società del gruppo.

Per tali motivi, l'Agenzia sarebbe dell'avviso che la rinuncia ai crediti derivante da contratto di cash pooling nella forma tecnica cd. zero balance, effettuata da parte della controllante in favore della controllata, non possa essere considerata una rinuncia a crediti finanziari e, pertanto, non possa essere assimilata ad un conferimento in denaro, ai sensi dell'art. 5 del D.M. 3 agosto 2017, da assumere come variazione in aumento del capitale proprio.

Prima, però, di procedere ad analizzare la posizione dell'Amministrazione, è opportuno soffermarsi brevemente sulla normativa ACE.

La normativa di riferimento

E' necessario ricordare che l'ACE (aiuto alla crescita economica) è un incentivo alla capitalizzazione delle imprese, finalizzato a riequilibrare il trattamento fiscale tra le imprese che si finanziano con debito e quelle che si finanziano con capitale proprio.

La normativa è disciplinata dall'art. 1 del D.L. 201/2011 e dal D.M. 3.8.2017 (che ha sostituito il D.M. 14.03.2012), consiste nella detassazione di una parte del reddito proporzionale agli incrementi del patrimonio netto.

L'agevolazione, abrogata dall'art. 1, comma 1080 della L. 145/2018, è stata poi ripristinata dall'art. 1 comma 287 della L. 160/2019 già dal periodo d'imposta 2019.

La platea soggettiva dell'agevolazione include sia i soggetti IRES residenti che le società di persone e le persone fisiche che dichiarano redditi di impresa.

L'agevolazione spetta alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva.

In particolare, gli elementi che concorrono all'incremento della base imponibile sono:

- conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti nonché quelli versati per acquisire la qualificazione di soci o partecipanti; si considera conferimento in denaro la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società nonché la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale.
I conferimenti eseguiti in attuazione di una delibera di aumento di capitale rilevano se tale delibera è assunta successivamente all'esercizio di riferimento (cioè all'esercizio precedente quello in cui si registra la variazione in aumento rilevante ai fini ACE);

- utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

La base imponibile viene decrementata, invece, oltre per le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti, anche per altre operazioni, quali, ad esempio, i conferimenti in denaro a favore delle controllate, o le operazioni effettuate con soggetti del medesimo gruppo aventi ad oggetto l'acquisto di partecipazioni in società controllate o di rami d'azienda, ovvero l'incremento dei finanziamenti nei confronti delle società del gruppo.

La variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie.

In generale, l'agevolazione consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile il componente negativo derivante dal rendimento nozionale (per l'anno 2021 è stato fissato in data del 15%) attribuito al finanziamento delle imprese mediante capitale proprio.

Agevolazioni ACE e risparmio di imposta derivante da rinuncia a crediti da cash pooling

Dopo avere riassunto la normativa ACE, è possibile a questo punto esaminare la posizione dell'Amministrazione qui in esame.

L'Agenzia delle Entrate, come sopra esposto, ha ritenuto non agevolabile il risparmio d'imposta ottenibile dal rendimento nozionale che la società avrebbe generato dagli incrementi del proprio patrimonio netto derivanti dall'aumento delle riserve maturate in seguito alla rinuncia da parte della Società controllante di un credito finanziario vantato nei confronti della controllata.

In particolare, l'art. 5, comma 2, del Decreto ACE dispone che rileva come elemento positivo della variazione del capitale proprio, "…la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società…".

Dal punto di vista contabile, il Principio OIC 28 ha precisato che “la rinuncia di un credito da parte del socio - se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società - è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio, a prescindere dalla natura originaria del credito” (quindi sia nel caso in cui quest'ultimo abbia natura finanziaria che commerciale). Pertanto, in tal caso, la rinuncia del Socio al suo diritto di credito trasforma il valore contabile del debito della società in una posta di patrimonio netto.

Quindi, da quanto si evince dal tenore letterale della norma e dal Principio Contabile OIC 28, la patrimonializzazione agevolabile non necessariamente si traduce in una maggior disponibilità monetaria (CTP Milano, sentenza 29 novembre 2019, n. 5116/16/19).

Infatti, ai fini ACE la rinuncia di crediti dei soci è assimilata a conferimenti di denaro e, pertanto, costituisce incremento di patrimonio agevolabile ai fini della norma in esame. Nella circolare n. 17 del 2012 Assonime precisa che, “la rinuncia ad un credito da parte di un socio non è diversa dalla fattispecie in cui il socio venga saldato per un suo credito e contestualmente riversi il medesimo importo in favore della società partecipata a titolo di versamento a fondo perduto”.

La stessa Agenzia delle Entrate, nella recente risposta all'interpello n. 913-2492/2021 (Direzione Regionale del Lazio), affermava che “le sopravvenienze attive derivanti dalla esdebitazione da falcidia concordataria (quindi derivanti anche da crediti commerciali) …. possano essere considerate rilevanti ai fini della formazione dell'utile di bilancio valevole ai fini della determinazione dell'incremento di capitale proprio agevolabile ai sensi dell'art. 19 del D.L. 25 maggio 2021 n. 73”.

Pertanto, a prescindere dalla natura (commerciale o finanziaria) del credito, la rinuncia incondizionata dello stesso creerebbe un rafforzamento patrimoniale che perseguirebbe, di fatto, l'intento valuto dal legislatore nell'istituire l'agevolazione ACE, ovvero quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese mediante una riduzione dell'imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio.

Tale impostazione è mantenuta anche per altri istituti contenuti nella normativa tributaria valevole ai fini delle imposte dirette, che cercano di favorire la capitalizzazione delle società.

Si pensi, ad esempio, a quanto previsto dall'art. 88, comma 4-bis, del TUIR, il quale disciplina la tassazione delle sopravvenienze attive generate da una rinuncia del credito da parte del socio, prevedendo generalmente la non tassazione di tali componenti positivi. Anche in questo caso il regime di favore vinee concesso in quanto viene patrimonializzata la società partecipata. In tale disposizione, come nella normativa ACE, non viene effettuata nessuna distinzione tra credito commerciale e quello finanziario, e non risulta che la rinuncia di un credito commerciale possa comportare il venire meno del suddetto regime.

Con riferimento a tale normativa, autorevole dottrina (Leo, Le imposte sui redditi, edizione 2018) ha ricordato, che: “Per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 all'art. 55, comma 4 del vecchio T.U.I.R. [ora art. 88, comma 4 del T.U.I.R.] la disciplina della detassazione delle rinunce ai soci si applica a tutte le tipologie di crediti di natura sia finanziaria che commerciale. Si tratta di un'impostazione coerente con quella prevista dai principi contabili; infatti, il principio OIC 28 precisa che la rinuncia del credito da parte del socio – che si concretizza in un atto formale effettuato esplicitamente nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale della società – è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito”.

Pertanto, tale interpretazione contabile dovrebbe valere anche ai fini ACE, malgrado l'Agenzia delle Entrate non sia concorde.

E' necessario, a questo punto, sottolineare, che la distinzione tra crediti commerciali e quelli finanziari è stata riportata solamente dalla relazione al D.M. del 2012, mentre in quella del D.M. del 2017 non viene più rimarcata. Pertanto, si potrebbe sostenere che l'affermazione del 2012 sia stata superata, tenendo conto dei nuovi principi contabili.

Del resto non va dimenticato, che la relazione illustrativa del 2012 è stata redata quando il principio contabile prevedeva una netta distinzione tra rinunce di crediti commerciali e quelle di poste finanziarie: solo quest'ultime venivano portate direttamente ad aumento di patrimonio netto.

In ogni caso, anche nell'ipotesi in cui si dovesse sostenere che siano rilevanti esclusivamente le rinunce ai crediti di natura finanziaria, la fattispecie esaminata nella risposta dell'Amministrazione riguardava un credito di natura non commerciale, ovvero di un credito derivante da una posta rilevata in un conto regolamentato da un contratto cash pooling c.d. “zero balance”.

In merito, è necessario ricordare che il contratto di cash pooling rientra nella categoria dei contratti atipici (ex art. 1322 c.c.) e può essere definito quale accordo stipulato autonomamente da tutte le consociate di un gruppo con una stessa società (la capogruppo) che funge da centro di tesoreria e ha per oggetto la gestione di un conto corrente "accentrato" sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata.

Relativamente alla fattispecie c.d. “zero balance”, si tratta di un contratto in forza del quale una singola società del gruppo (pooler) gestisce un conto corrente accentrato (pool account), sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti di tutte le altre società.

Attraverso tale sistema, è il pooler a gestire il fabbisogno finanziario di ognuna di esse, accentrando anche la gestione dei rapporti con gli enti creditori; il pooler, inoltre, dovrà provvedere alla liquidazione degli interessi attivi e passivi derivanti dalla somma di ciascuna società del gruppo ed inviare un estratto conto ai partecipanti del pool. Pertanto, si tratta di un rapporto di natura finanziaria, in quanto consente una gestione centralizzata del fabbisogno finanziario del gruppo.

Tramite predetta gestione infatti, si intende compensare le carenze di liquidità di talune delle imprese partecipanti, al fine di prevenire il ricorso a finanziamenti di tipo bancario, dunque ad aumento dell'indebito. In sostanza, il cash pooling ha come conseguenza un'operazione di finanziamento a favore delle società del gruppo. In tal modo, si prevengono le passività sul conto corrente per effetto della gestione accentrata ad opera della capogruppo.

Dunque, ad avviso dello scrivente, si può affermare che cash pooling zero balance è un contratto con il quale si realizza indirettamente un prestito di denaro, effetto che è insito nel tipo di negozio, nonostante il fondamento causale non sia quello tipico di un'operazione di finanziamento.

La stessa Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello del 21 giugno 2022, n. 333, ha sostenuto che rileva anche l'acquisto da parte di un socio di un credito per un leasing immobiliare vantato da un terzo verso la società, a cui fa seguito la rinuncia e conseguente patrimonializzazione, anche se non c'è stato un finanziamento diretto.

L'interpello

In merito ai contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance, l'Amministrazione finanziaria sostiene – citando la Circolare 21/E del 3 giugno 2015 - che tali contratti non configurano un'operazione di finanziamento, ai sensi dell'articolo 10 del Decreto ACE; ciò in quanto, le caratteristiche del contratto - che prevede l'azzeramento giornaliero dei saldi attivi e passivi delle società del gruppo e il loro trasferimento automatico sul conto accentrato della capogruppo, senza obbligo di restituzione delle somme così trasferite e con maturazione degli interessi attivi o passivi esclusivamente su tale conto – non consentono l'effettiva possibilità di disporre delle somme suddette al fine di compiere operazioni potenzialmente elusive.

Pertanto, sempre secondo l'Amministrazione, l'assenza dell'obbligo di restituzione delle rimesse attive, la reciprocità delle stesse nonché l'inesigibilità e indisponibilità del saldo del conto corrente fino alla chiusura dello stesso concorrono a qualificare l'accordo negoziale secondo caratteristiche non riconducibili ad un prestito di denaro nel rapporto fra le società del gruppo.

Per tali motivi, l'Agenzia sarebbe dell'avviso che la rinuncia ai crediti derivante da contratto di cash pooling nella forma tecnica cd. zero balance, effettuata da parte della controllante in favore della controllata, non possa essere considerata una rinuncia a crediti finanziari e, pertanto, non possa essere assimilata ad un conferimento in denaro, ai sensi dell'articolo 5 del DM 3 agosto 2017, da assumere come variazione in aumento del capitale proprio.

Considerazioni conclusive

L'aspetto dibattuto deriva dal fatto che nella Circolare Ministeriale 21/E del 03.06.2015, al paragrafo 3.7, nel commentare le operazioni potenzialmente elusive di cui all'articolo 10 del Decreto ACE, viene affermato che “con riferimento alle somme movimentate infragruppo in base a contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance system, … non possa configurarsi un'operazione di finanziamento”.

Si ritiene, però, che tale interpretazione sia da considerare esclusivamente nell'ambito delle disposizioni di carattere antielusivo finalizzate ad evitare, nell'ambito dei gruppi societari, gli effetti moltiplicativi del beneficio e quindi, fondamentalmente, solamente per le operazioni riconducibili all'art. 10 del Decreto ACE.

Si ricorda che lo stesso Principio OIC 28 afferma che “la rinuncia di un credito da parte del socio - se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società - è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio, a prescindere dalla natura originaria del credito”.

Anche la giurisprudenza di merito si è espressa a favore della tesi diversa da quella dell'Agenzia delle Entrate

In particolare la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza del 18.9.2019, n. 5103, ha stabilito che l'interpretazione erariale non era corretta, in quanto poneva alla norma un limite non espressamente previsto, nemmeno dalla normativa di attuazione.

Tale decisione è stata presa a seguito di un ricorso presentato contro un accertamento con il quale l'ufficio avrebbe interpretato la norma agevolativa (confortato dalla circolare dell'Agenzia delle entrate n. 12/E/2014) nel senso che incrementi rilevanti ai fini della agevolazione sarebbero solo, quanto ai conferimenti in danaro dei soci, crediti derivanti da precedenti finanziamenti in danaro.

La Commissione del Lazio, ha osservato che includere tra i "conferimenti in danaro" le rinunzie dei soci a crediti pecuniari, anche non originati da finanziamenti alla società ai sensi dell'art.2467 c.c., risulta del tutto coerente con la ratio della norma agevolativa, che è quella di favorire l'autofinanziamento delle società in crisi, mediante ricorso a risorse proprie, conferite a capitale per rafforzare la struttura patrimoniale della società stessa.

Rispetto a tale finalità, dichiarata dallo stesso legislatore, la distinzione operata con propria interpretazione dall'Agenzia delle entrate, tra crediti originati o meno da finanziamento alla società, oltre a porre un limite non previsto dalla legge, risulta invece restrittiva dell'ambito di operatività della norma, non conserva alcun senso nel nuovo contesto contabile, né può trovare la sua giustificazione nella tutela della sfera dei diritti dei terzi creditori della società, atteso che, come ha rilevato la Corte di cassazione, la trasformazione dei crediti commerciali in capitale a rischio non pregiudica i diritti di terzi (Cassazione 3946/2018 che ammette la compensazione di crediti anche commerciali dei soci con debiti da aumento di capitale della società) ed anzi amplia la garanzia generica del creditore.

Anche la Commissione Tributaria Provinciale di Milano sembra confermare il principio secondo il quale è rilevante la patrimonializzazione della società, anche se non vi è stato un movimento di denaro, purché, ovviamente, non si rientri nelle fattispecie espressamente escluse, quali i conferimenti in natura che non rilevano ai fini ACE.

Con sentenza del 29 novembre 2019, n. 5116/16/19, infatti, i giudici di Milano si sono è occupati di una causa relativa ad un contestazione sull'abuso di diritto in relazione alla violazione della normativa sull'ACE.

In particolare, è stato contestato ad una società di avere rimborsato un finanziamento erogato da società controllante della propria controllante per beneficiarie dell'agevolazione ACE.

Il rilievo si baserebbe sul fatto che, attraverso un'operazione circolare, la società ricorrente sarebbe stata capitalizzata con l'utilizzo dei medesimi denari che la stessa avrebbe fornito alle proprie controllanti a seguito del rimborso di cui sopra.

Da quanto si legge nella motivazione, infatti, la società aveva in essere un debito nei confronti della propria “nonna” (la controllante della propria controllante), la quale, dopo avere ricevuto i denari, gli avrebbe riversati alla propria controllata, che, a sua volta, gli avrebbe versati in conto capitale alla ricorrente.

Pertanto, secondo i verificatori, l'operazione sarebbe stata portata a termine per permettere alla società accertata di usufruire indebitamente dall'agevolazione ACE.

La CTP, accogliendo il ricorso, ha sancito che: “La patrimonializzazione non necessariamente si traduce in maggior disponibilità monetaria. Di conseguenza, non possono dirsi indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che, rispondendo alla finalità propria della disciplina Ace, diano corso ad operazioni dirette a realizzare un effettivo incremento patrimoniale. Addirittura, non potrebbero essere considerati indebiti i vantaggi fiscali conseguiti dai contribuenti che abbiano effettivamente incrementato il proprio patrimonio al solo fine di beneficiare dell'agevolazione Ace”.

Pertanto, se l'incremento del capitale proprio oggetto di analisi deriva dalla "…rinuncia incondizionata del socio al diritto alla restituzione di crediti finanziari verso la società…" si ritiene non condivisibile la conclusione dell'Amministrazione, soprattutto se considerato che la fattispecie non è soggetta all'art. 10 del Decreto ACE ma all'articolo 5, comma 2, del Decreto ACE e che all'origine del diritto di credito vi è un flusso di denaro, condizione di per sé sufficiente a qualificare l'operazione rilevante ai fini dell'agevolazione.

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