Quali sono i poteri acquisitivi del CTU?
11 Novembre 2022
Massima
In materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico - tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli. Tuttavia, tale potere è subordinato alla condizione che tali documenti non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano dichiarato inammissibile la richiesta formulata dal CTU di acquisire un CD contenente un esame medico, atteso che l'acquisizione di tale CD era diretto a provare i fatti principalmente dedotti a fondamento della domanda). Il caso
Una pedone – vittima di un investimento – citava in giudizio la compagnia di assicurazioni del veicolo che lo aveva investito. In primo grado la domanda risarcitoria era accolta parzialmente, con sensibile riduzione del quantum richiesto; pronuncia confermata in appello. L'attore proponeva ricorso lamentando l'erroneità della ordinanza istruttoria con la quale era stata rigettata la richiesta del ctu di acquisizione del cd della risonanza magnetica. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso sul rilievo che l'acquisizione della risonanza magnetica del ginocchio del soggetto danneggiato era diretta a provare la sussistenza, oltre che del danno alla mano, anche del diverso danno al ginocchio dello stesso e, soprattutto, a dimostrare la sussistenza di un eventuale nesso causale tra l'evento lesivo e la lamentata rottura del legamento crociato anteriore, sebbene tale documentazione – pacificamente nella disponibilità della parte – non fosse stata mai dalla stessa prodotta. La questione
La questione in esame è la seguente: quali sono i poteri acquisitivi del CTU? Le soluzioni giuridiche
Nel codice attuale la consulenza tecnica rappresenta uno strumento a disposizione del giudice, a cui il giudice medesimo, senza essere in ciò minimamente condizionato dalla volontà delle parti, può ricorrere ogni qualvolta reputi necessario ai fini della definizione della lite l'acquisizione di conoscenze specifiche che esulano dal sapere comune poiché postulano una particolare competenza tecnica che egli non possiede. All'investitura pubblicistica del CTU che prende forma negli artt. 61 e ss. c.p.c. si affianca sul piano ordinamentale l'oggettiva convergenza di funzioni tra giudice e consulente tecnico, rivelandosi infatti le attività di entrambi, quando beninteso il primo giudichi necessaria quella del secondo, complementari ai fini dell'ufficio giurisdizionale. La pronuncia in commento richiama i principi di recente affermati dalle Sezioni Unite ad a avviso delle quali è pacifico che, stante il potere del CTU di procedere nei limiti dei quesiti sottopostigli alla investigazione dei fatti accessori, costui possa estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili, non essendovi ragione di vietare in tal caso al CTU, pur se ne maturi la conoscenza aliunde, di esaminare i fatti conoscibili da chiunque, così come è pacifico che l'attività consulenziale possa indirizzarsi anche in direzione dell'accertamento dei fatti accessori allorché, pur non costituendo oggetto di espressa indicazione, essi risultino in qualche modo già ricompresi nelle allegazioni delle parti, in quanto, fermo il fatto costitutivo o, diversamente, modificativo od estintivo dedotto dalla parte, il fatto accessorio accertato dal CTU nel corso delle indagini affidate dal giudice, corrobori indirettamente l'assunto fatto valere con la domanda o con l'eccezione (Cass., Sez. Un., n. 3086/2022). Le Sezioni Unite, dopo aver rimarcato - come raccomandazione di carattere generale e, di più, come condizione irrinunciabile per consentire al consulente l'esame di fatti e documenti non oggetto di rituale deduzione delle parti - che nell'espletamento delle attività demandategli il consulente tecnico nominato dal giudice deve attenersi al più fedele e scrupoloso rispetto del principio del contradditorio, rilevano che, come il giudice, così anche il consulente non potrà deflettere nell'attività che comporta l'accertamento dei fatti e la raccolta dei documenti significativi ai fini dell'espletamento del mandato peritale, la cui introduzione nel giudizio non è rituale opera di parte, dalla necessità che su di essi il confronto tra le parti si esplichi nel modo più idoneo a garantirne il diritto di difesa. E qualora il CTU, nei limiti delle indagini commessegli dal giudice, estenda il perimetro delle proprie attività e proceda ad accertare fatti non oggetto di diretta capitolazione di parte o ad esaminare documenti non introdotti nel giudizio delle parti, senza darsi previamente cura di attivare su di essi il necessario confronto processuale, costui non lede un interesse del processo, in guisa del quale quella attività possa giudicarsi affetta da un vizio di nullità assoluta, ma lede un interesse, pur primario delle parti in quanto posto a tutela del diritto di difesa delle medesime, di cui le parti possono tuttavia pur sempre disporre, poiché compete solo a loro il potere di farne valere la violazione e di eccepire la nullità dell'atto che ne è conseguenza ex art. 157, comma 2, c.p.c. Quando poi la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all'oggetto della domanda e pervenga al risultato di stimare la fondatezza della pretesa esercitata dall'attore in base a fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dal medesimo, l'accertamento così operato si colloca al di fuori dei limiti della domanda e contrasta, dunque, con essa, scaturendone perciò una ragione di nullità che, in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice, è rilevabile d'ufficio o che, diversamente, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 c.p.c. Osservazioni
La pronuncia in commento ha confermato la statuizione del giudice di merito che aveva rigettato la richiesta di parte attrice di acquisizione tramite il CTU del CD della risonanza magnetica, sebbene lo stesso non risultasse essere stato depositato dall'attore né con l'atto introduttivo né con le memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6. In particolare, la documentazione (CD) di cui l'ausiliare del giudice e poi la stessa parte attrice avevano chiesto l'acquisizione ineriva senza dubbio ad un fatto costitutivo della domanda avanzata dall'attore: l'acquisizione della risonanza magnetica del ginocchio del soggetto danneggiato era diretta a provare la sussistenza, oltre che del danno alla mano, anche del diverso danno al ginocchio dello stesso e, soprattutto, a dimostrare la sussistenza di un eventuale nesso causale tra l'evento lesivo e la lamentata rottura del legamento crociato anteriore. In altri termini, la documentazione sanitaria di cui si chiedeva l'acquisizione attraverso l'attività del CTU era diretta a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda. Appare evidente che tale richiesta si pone in contrasto con il potere di allegazione che in quanto estrinsecazione del principio della domanda e del correlativo principio dispositivo, compete esclusivamente alla parte; il potere di rilevazione può essere invece oggetto di una condivisione tra la parte, quando la manifestazione della sua volontà sia elevata dalla legge ad elemento integrativo della fattispecie – sicché in tal caso anche il potere di rilevazione compete in via esclusiva alla parte – ed il giudice, atteso che il generale potere che compete a questo di rilevare le eccezioni in senso lato si traduce nella rilevazione anche dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa ove questi, sebbene non precedentemente allegati dalla parte, emergano tuttavia dagli atti del processo. Tale soluzione è fondamentalmente più aderente all'introduzione delle preclusioni assertive e istruttorie nel processo civile (avvenuta con la legge 353/1990), che mirano ad attuare interessi generali, quali la durata ragionevole del processo, e la cui violazione è sempre rilevabile d'ufficio (Cass. n. 16800/2018). In buona sostanza, fermo restando i poteri istruttori di cui all'art. 194 c.p.c., ovvero la possibilità di richiedere “chiarimenti” alle parti per illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, ovvero “informazioni” a terzi (senza che trascendere in prove testimoniali, ovvero nell'acquisizione di documenti che era onere delle parti depositare), il c.t.u. non può inderogabilmente supplire a “deficit assertivi” da parte dei litiganti, in quanto spetta ad attore e convenuto l'onere di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa; né può supplire a “deficit probatori”, tranne in due ipotesi la cui deroga è ammessa da consolidata giurisprudenza di legittimità: --a) quando sarebbe assolutamente impossibile per la parte interessata provare il fatto costitutivo della sua domanda o della sua eccezione, se non attraverso il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche (Cass. n. 15774/2018); --b) quando si tratta di fatti c.d. “accessori” o “secondari”, di rilievo puramente tecnico, il cui accertamento è necessario per una esauriente risposta al quesito o per dare riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti. In tal senso depone anche la lettura sistematica delle norme, infatti, l'art. 87 disp. att. c.p.c. non ammette la possibilità di depositare documentazione durante le indagini peritali. Inoltre il c.t.u. può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, o quando emerga l'indispensabilità dell'accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio ma non può ricercare aliunde ciò che costituisce materia rimessa all'onere di allegazione e prova delle parti stesse (Cass. n. 26893/2017, che ha ritenuto rientrante nel potere di indagine del consulente tecnico d'ufficio l'acquisizione di una circolare della casa produttrice di una macchina escavatrice, dovendone l'ausiliare verificare il funzionamento). In senso conforme la dottrina ha evidenziato che la regola è quella per la quale i fatti sui quali si fonda la domanda, o l'eccezione, devono essere provati dalle parti e non possono essere accertati tramite c.t.u. L'eccezione è invece che i suddetti fatti possono essere accertati tramite c.t.u., quando gli ordinari mezzi di prova sono insufficienti a dimostrarne l'esistenza. In una visione del processo orientato alla tendenziale giustizia della decisione nel quale il giudice è autorizzato a rilevare anche officiosamente i predetti fatti, ove essi risultino acquisiti al giudizio indipendentemente dalla volontà dispositiva della parte che ne trae vantaggio, nell'esercizio di siffatto potere non può opporsi al giudice che i fatti in parola siano venuti a sua conoscenza non motu proprio, ma attraverso le indagini commissionate al CTU, che lui stesso avrebbe potuto compiere se non avesse avuto la necessità di servirsi di un esperto. Ragion per cui viene ritenuta immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne faccia propri e ne valorizzi anche quei profili di essa che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa che, ancorché non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal consulente nell'espletamento dell'incarico. Inoltre, stante il potere del CTU di procedere nei limiti dei quesiti sottopostigli alla investigazione dei fatti accessori, il consulente possa estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili, non essendovi ragione di vietare in tal caso al CTU, pur se ne maturi la conoscenza aliunde, di esaminare in guisa di fatti accessori e dunque in funzione di rendere possibile la risposta ai quesiti, i fatti conoscibili da chiunque. Alla luce del principio della domanda, deve ritenersi che il campo di indagine entro cui opera il CTU non possa estendersi ai cosiddetti “fatti avventizi” ovvero ai "fatti costitutivi della domanda e, oppostamente, ai fatti modificativi o estintivi che non siano stati oggetto dell'attività deduttiva delle parti”. Infatti, i poteri del consulente d'ufficio sono gli stessi che potrebbe esercitare il giudice se disponesse delle competenze tecnico-scientifiche necessarie a decidere la causa. Pertanto, sia il giudice che il CTU sono soggetti al principio ne eat iudex ultra petita partium (il giudice non deve andare oltre le richieste delle parti). Anche nel caso della consulenza percipiente, la giurisprudenza ritiene che, ove il consulente sia chiamato ad accertare i fatti costitutivi, è pur sempre necessario che “la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto” (Cass. n. 3717/2019). Quando la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all'oggetto della domanda e pervenga al risultato di stimare la fondatezza della pretesa esercitata dall'attore in base a fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dal medesimo, l'accertamento così operato si colloca al di fuori dei limiti della domanda e contrasta con essa, scaturendone una ragione di nullità che, in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice, è rilevabile d'ufficio o che, diversamente, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161 c.p.c. Sicché in materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c. In conclusione, la pronuncia in commento – adeguandosi ai principi di recente affermati dal giudice della nomofilachia – conferma l'orientamento a mente del quale, il CTU può acquisire tutti i documenti necessari a rispondere ai quesiti posti dal giudice, ma non può provare i fatti principali, posti a fondamento della domanda, posto che sono di pertinenza esclusiva della parte. Riferimenti
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