Il blocco dei licenziamenti e il rapporto di lavoro dirigenziale

15 Novembre 2022

L'art. 46 del D.l. 18/2020 (cd. decreto Cura Italia) ha introdotto il divieto dei licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo e ha sospeso le procedure di licenziamento collettivo avviate dal 23 febbraio 2020 alla data di entrata in vigore del decreto.La norma in esame, con il testuale riferimento all'art 3 della L. 604/1966, sembra escludere dal suo ambito di applicazione il rapporto di lavoro dirigenziale.L'interpretazione della norma in esame da parte dei giudici di merito è stata tutt'altro che uniforme e, in alcuni casi, per nulla aderente al suo tenore letterale.Il contributo propone una rassegna della giurisprudenza di merito sul tema.
Il quadro normativo

Come noto, l'art. 46 del D.l. 18/2020 (cd. decreto Cura Italia) ha introdotto nel nostro ordinamento, in un contesto del tutto straordinario e imprevedibile quale quello della pandemia, il divieto dei licenziamenti collettivi o individuali per giustificato motivo oggettivo e ha sospeso le procedure di licenziamento collettivo avviate dal 23 febbraio 2020 alla data di entrata in vigore del decreto.

Il divieto dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ha riguardato tutti indistintamente i datori di lavoro, a prescindere dal requisito dimensionale ed è stato più volte prorogato dai provvedimenti normativi adottati durante la fase emergenziale.

Il blocco dei licenziamenti è stato compensato dalla possibilità per i datori di lavoro di fruire dell'ammortizzatore sociale (cassa integrazione COVID) previsto per far fronte alla crisi generata dalla pandemia e, in molti casi, alla sospensione delle attività produttive.

Questa premessa, che può apparire oziosa, serve a orientarci nella disamina dei provvedimenti giudiziali, emessi dai giudici di primo e di secondo grado, che si sono trovati ad affrontare la questione dell'applicabilità del divieto di licenziamento, motivato da ragioni economiche/organizzative, al rapporto di lavoro dirigenziale.

Dall'esame delle fonti normative (in particolare, l'art. 46 del decreto Cura Italia) sembra evincersi, apparentemente senza margini d'incertezza, che sussista il divieto di licenziamento del dirigente in ipotesi di licenziamento collettivo, giusta il disposto di cui all'art. 24, comma 1-quinques, della legge 223/1991 che ha ricompreso la categoria dei dirigenti nella procedura da seguire per i licenziamenti collettivi e ha previsto che anche l'individuazione dei dirigenti in esubero sia mediata dall'applicazione dei criteri di scelta.

Diversamente, il divieto di licenziamento non riguarderebbe le ipotesi di licenziamento individuale del dirigente per motivi economici o per motivi attinenti all'organizzazione dell'impresa, stante l'inapplicabilità dell'art. 3 della legge 604/1966 al rapporto di lavoro dirigenziale.

Quello che sembrava un dato testuale pacifico, ossia l'esclusione del divieto nelle ipotesi di licenziamento individuale dei dirigenti, ha avuto una sorprendente e inattesa valutazione da parte dei giudici di merito di diversi tribunali d'Italia che ha alimentato e sta alimentando un contrasto giurisprudenziale destinato a trovare una composizione nelle pronunce della Suprema Corte.

Rassegna della giurisprudenza sull'estensibilità o meno del divieto dei licenziamenti al rapporto di lavoro dirigenziale

All'origine del contrasto giurisprudenziale vi è la pronuncia del Tribunale di Roma, Sezione lavoro, ordinanza del 26 febbraio 2021, in cui si è è giunti alla sorprendete conclusione secondo cui “il divieto di licenziamento si estende anche al licenziamento individuale del dirigente”.

Il Giudice, nella pronuncia in esame, ha ritenuto che il divieto di licenziamento motivato da ragioni economiche/organizzative riguardi anche la categoria dei dirigenti sul presupposto che la ratio del blocco appare essere quella di ordine pubblico di evitare, in via provvisoria, che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione di posti di lavoro.

Secondo il Giudice, la giustificatezza oggettiva condividerebbe essenzialmente la natura del licenziamento per giustificato motivo oggettivo “in forma attenuata nel rigore ma non nell'essenza”, attenendo sempre a ragioni inerenti alla scelta imprenditoriale di organizzazione del lavoro e del regolare funzionamento di essa.

In questo senso, al fine di delimitare l'ambito di operatività del divieto, bisognerebbe guardare alla natura del licenziamento, ossia alla sua motivazione e non, invece, alla qualifica rivestita dai dipendenti licenziati, tra i quali il Giudice ricomprende anche i dirigenti.

Di segno contrario la pronuncia, di pochi mesi successivi, sempre del Tribunale di Roma, (sentenza n. 3605/2021, pubblicata il 19 aprile 2021), il quale è giunto alla conclusione che il divieto di licenziamento non si estende ai dirigenti”.

Secondo la pronuncia in esame, l'esclusione dall'ambito di operatività del divieto, limitatamente ai licenziamenti individuali, al rapporto di lavoro dirigenziale si ricava innanzitutto dal tenore testuale della disposizione normativa, visto che l'art. 3 della L. 604/1966, richiamata dall'art. 46 del decreto Cura Italia, pacificamente non si applica ai dirigenti per espressa previsione normativa (cfr. il successivo art. 10) e per consolidato orientamento giurisprudenziale.

L'esclusione della categoria dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti sarebbe, inoltre, coerente con lo spirito che sorregge l'eccezionale ed emergenziale divieto di licenziamento.

Il blocco, infatti, è stato accompagnato dalla pressoché generalizzata possibilità per le aziende di fare ricorso, durante il periodo di divieto, agli ammortizzatori sociali.

Nel caso dei dirigenti, il blocco dei licenziamenti non sarebbe compensato dalla possibilità per l'azienda di ricorrere agli ammortizzatori sociali.

La decisione da ultimo citata è stata sostanzialmente condivisa dal Tribunale di Milano, sez. lav., con ordinanza del 17 giugno 2021, con una motivazione del tutto speculare.

Il Tribunale di Milano è giunto alla conclusione che la diversità di trattamento prevista per i dirigenti rispetto alle altre categorie di lavoratori dipendenti non viola il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Cost., in quanto “trattasi di situazioni lavorative di fatto e di diritto decisamente differenti”.

Tornando al Tribunale di Roma, quando sembrava che l'orientamento favorevole all'applicazione del blocco dei licenziamenti ai dirigenti fosse destinato a rimanere un caso isolato, a ottobre 2021 una nuova pronuncia, torna sul tema e, richiamando e facendo proprie le argomentazioni svolte nella citata sentenza del Tribunale di Roma n. 33981/2020 a favore della estensibilità del blocco dei licenziamenti anche al rapporto di lavoro dirigenziale, giunge ad analoghe conclusioni, dichiarando la nullità del licenziamento intimato al dirigente durante il periodo di vigenza del divieto.

L'ordinanza in commento, emessa in un giudizio introdotto con rito Fornero, è la n. cron. 96447/2021 del 16 ottobre 2021.

La motivazione è del tutto speculare a quella resa dal Giudice nella sentenza di febbraio dello scorso anno e la tesi dell'estensibilità del blocco al licenziamento dei dirigenti fa leva su un concetto di giustificato motivo oggettivo che, a parere del giudicante “non deve necessariamente essere inteso come richiamo complessivo alla legge n. 604/1966”.

Il Giudice richiama un concetto di “giustificatezza oggettiva” che condivide con il giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 3 della L. 604/1966 “la natura attenuata nel rigore (e quindi con un ambito di legittimazione al recesso più ampio) ma non nell'essenza”, posto che atterrebbe comunque “a ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Secondo il Giudice “tale interpretazione della norma consente, da un lato di individuare la natura della ragione posta a fondamento del recesso e non a delimitare l'ambito soggettivo di applicazione del divieto”, dall'altro consentirebbe “di superare l'altrimenti mancato raccordo tra licenziamenti collettivi- cui pacificamente si applica il divieto di licenziamento e licenziamento individuale dei dirigenti, che, optando per la diversa interpretazione che fa leva sull'art. 3 della L. 604/1966, ne resterebbero irragionevolmente fuori”.

La tesi dell'applicabilità del divieto dei licenziamenti per ragioni oggettivi ai dirigenti ha trovato conferma anche in una pronuncia delTribunale di Milano, sentenza n. 2629 del 10 novembre 2021.

Secondo il Giudice di Milano, l'interpretazione secondo cui il divieto di licenziamento non si applicherebbe ai dirigenti colliderebbe con una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 14 del D.l. 104/2020.

Anche secondo il Giudice milanese, ai fini dell'operatività del divieto, bisognerebbe guardare alla natura del recesso, ossia alla sua motivazione e non alla categoria di dipendenti interessati.

La motivazione della sentenza in esame ricalca in tutto e per tutto quella della dott.ssa Rossi anche nella parte in cui ritiene che una diversa interpretazione della norma comporterebbe un'illogica differenziazione di trattamento tra licenziamento individuale del dirigente, ove si ritenesse tale licenziamento sottratto all'operatività del divieto e il licenziamento collettivo dei dirigenti che, invece, pacificamente, vi rientra.

Il Giudice, nella sentenza in esame, sottolinea, inoltre, a favore dell'estensibilità del blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, come l'INPS, con messaggio n. 4464 del 26 novembre 2020, ha chiarito che “anche il personale dirigente, eventualmente aderente agli accordi (cd. accordi in deroga, che hanno consentito ai datori di lavoro, durante il blocco, di procedere ai licenziamenti del personale in esubero previo accordo con i dipendenti interessati e con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative), ove ricorrano gli altri presupposti, può accedere all'indennità di disoccupazione”.

Altrettanto interessante, questa volta in tema di licenziamenti collettivi, è l'ordinanza del Tribunale di Milano, del 17 luglio 2021, dott.ssa Moglia, che esclude che il divieto di licenziamenti collettivi, previsto dalla normativa emergenziale, operi nei confronti dei dirigenti.

Anche in questo caso, quello che a tenore del testo normativo, in particolare dell'art. 46 del decreto Cura Italia, sembrerebbe un dato pacifico, ossia l'operatività del blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti laddove si tratti di licenziamenti collettivi, viene non solo messo in discussione, ma ribaltato dalla pronuncia del Giudice di merito.

Secondo il Giudice milanese, il blocco dei licenziamenti, introdotto dalla normativa emergenziale, andrebbe di pari passo con la possibilità, per il datore di lavoro, di far ricorso agli ammortizzatori sociali, sia nel caso di licenziamenti individuali, sia nel caso di licenziamenti collettivi.

Se tale misura di sostegno non è fruibile per determinate categorie di lavoratori, quali, appunto, in costanza di rapporto, i dirigenti, non può ragionevolmente pretendersi che il datore di lavoro debba sopportare il sacrificio del divieto di licenziamento in un caso (licenziamenti collettivi), essendo invece libero di recedere individualmente dal rapporto di lavoro con il dirigente.

In sostanza, il divieto di licenziamento, nel periodo di vigenza del blocco, non pare giustificato dal fatto di accedere al licenziamento collettivo o individuale, ma dalla possibilità per il datore di lavoro, tenuto a garantire la continuità occupazionale anche durante il periodo di crisi legato alla pandemia, di accedere agli ammortizzatori sociali.

Laddove tale possibilità non vi sia, il divieto deve ritenersi inapplicabile, quale che sia il licenziamento al quale il lavoratore intenda accedere.

Diversamente ragionando, si finirebbe per addossare all'imprenditore l'onere economico di un rapporto di lavoro divenuto esuberante, costringendolo a sopportare un impegno economico, in termini retributivi, ben superiore a quello delle altre categorie di lavoratori e senza possibilità di fruire dell'ammortizzatore sociale.

La pronuncia della Corte di Appello di Roma

Corte di Appello di Roma, sez. lav., sentenza del 27 luglio 2022, n. 2712.

Passiamo, a questo punto, a esaminare la recente pronuncia della Corte di Appello di Roma che ha condiviso e fatte proprie le argomentazioni proposte dai due Giudici del Tribunale di Roma sull'applicabilità del divieto di licenziamento anche ai dirigenti.

Secondo la Corte, la tecnica utilizzata dal legislatore nel decreto Cura Italia, con il richiamo espresso solo all'art. 3 della L. 604/1966 e non alla L. 604/1966 nel suo complesso, lascerebbe intendere che, ai fini dell'operatività del blocco dei licenziamenti, bisogna aver riguardo unicamente alla natura della ragione posta a fondamento del recesso datoriale, non assumendo, invece, rilevanza, al fine di delimitare la platea soggettiva di applicazione del divieto, la categoria rivestita dai dipendenti licenziati.

In particolare, secondo la Corte, la ratio del blocco dei licenziamenti sarebbe da ravvisare nell'esigenza di ordine pubblico di attenuare, in via provvisoria, le conseguenze economiche negative della pandemia ed evitare ripercussioni sull'occupazione e ciò non consentirebbe di fare distinzioni tra categorie di dipendenti.

La Corte affronta anche l'altro tema utilizzato dai sostenitori dell'inoperatività del blocco dei licenziamenti ai dirigenti, ossia l'impossibilità per il datore di lavoro di fruire degli ammortizzatori sociali previsti dal legislatore per far fronte alle conseguenze sfavorevoli legate alla pandemia e al mantenimento dei livelli occupazionali.

In particolare, la Corte, nella pronuncia in esame, richiama l'art. 1, comma 305, della legge n. 178/2020, secondo cui i trattamenti di cassa integrazione salariale previsti dalla legge di bilancio 2021 trovano applicazione ai lavoratori che risultino alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti le prestazioni al 1° gennaio 2021, senza alcuna delimitazione soggettiva.

Ciò imporrebbe di ritenere che non vi sarebbe “alcuno sbarramento normativo alla possibilità per un dirigente di avvalersi di tale tutela previdenziale”.

La Corte richiama, inoltre, il messaggio INPS N. 4464 del 26 novembre 2020 che ha chiarito che anche ai dirigenti, il cui rapporto di lavoro sia cessato in conseguenza degli accordi in deroga al blocco dei licenziamenti, spetterebbe, ricorrendo gli ulteriori requisiti previsti dalla legge, l'indennità di disoccupazione.

Da ultimo, secondo la Corte, l'interpretazione estensiva al blocco dei licenziamenti per motivi economici ai dirigenti consente di evitare una palese disparità di trattamento che si verificherebbe ove si ritenesse, aderendo al tenore letterale della disposizione di cui all'art. 46 del decreto Cura Italia, che il divieto sia operativo per il licenziamento collettivo dei dirigenti, mentre non sarebbe operativo in caso di licenziamento individuale del dirigente.

Tale disparità di trattamento, secondo la Corte, sarebbe “la spia che l'interpretazione da dare all'estensione del blocco medesimo sia tale da ricomprendere anche i dirigenti, pena l'irragionevolezza della loro esclusione, di dubbia costituzionalità. Si tratta, infatti, in entrambi i casi (licenziamento collettivo/licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo) di espulsioni giustificate sul piano economico (per ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di esso, come recita l'art. 3 l. n. 604/1966), per cui appare vieppiù incomprensibile che il divieto operi per i dirigenti in caso di licenziamento collettivo e non in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori”.

Questa la motivazione della Corte di Appello, che, come anticipato, ha concluso dichiarando la nullità del licenziamento intimato al dirigente durante il periodo protetto per violazione di norma imperativa.

Non c'è dubbio che la parola ultima su tale argomento spetterà alla Suprema Corte, ma non è da escludere che sulla questione si pronunci anche la Corte Costituzionale, laddove dovesse essere prospettata e portata avanti la tesi dell'irragionevolezza della distinzione tra licenziamento collettivo e licenziamento individuale e quindi dell'operatività o meno del divieto, ipotesi nelle quali la motivazione del recesso è da rinvenire, comunque, in scelte imprenditoriali dettate da ragioni economico/organizzative, cambiando soltanto il numero dei dipendenti interessati dal recesso datoriale.

La pronuncia del Tribunale di Napoli

Per completare il quadro delle pronunce giurisprudenziali sul tema, si osserva che il Tribunale di Napoli, dott.ssa Santulli, con ordinanza del 16 luglio 2022, ha aderito alla soluzione esegetica più fedele al testo normativo, ritenendo che la norma che ha introdotto il divieto di licenziamenti, con il riferimento espresso alla causale prevista dall'art. 3 della L. 604/1966, debba essere intesa nel senso restrittivo che porta ad escludere l'applicabilità del divieto al rapporto di lavoro dirigenziale.

Secondo la pronuncia in esame, sarebbe preferibile “la soluzione esegetica più restrittiva perché più ossequiosa al dettato normativo, coerente con il sistema degli ammortizzatori sociali (inesistente per il dirigente), rispondente a un delicato bilanciamento d'interessi tra interessi costituzionalmente tutelati quali la libertà d'iniziativa economica privata rispetto al diritto al lavoro della persona”.

Il Tribunale di Napoli, nella pronuncia in commento, ha, inoltre, osservato come la nozione di giustificato motivo oggettivo, di cui all'art. 3 della L. 604/1966, non sia sovrapponibile a quella di “giustificatezza” che è propria del licenziamento del dirigente.

Conclusioni

La tesi del Giudice del lavoro di Napoli, a mio avviso, sembra quella più convincente, sia perché più aderente al testo normativo sia e soprattutto perché la nozione di “giustificatezza”, come correttamente osservato dal Tribunale di Napoli, è propria del licenziamento del dirigente e non può essere assimilata a quello di “giustificato motivo oggettivo” di cui all'art. 3 della L. 604/1966.

In particolare, come precisato dalla Suprema Corte, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, atteso che non è necessaria un'analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l'arbitrarietà del recesso (Cass., sez. lav., 17 marzo 2014, n. 6110).

La Corte di Cassazione, in numerose pronunce, ha avuto modo di sottolineare che ricorre la giustificatezza del licenziamento ogni volta che il recesso sia intimato nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede e senza arbitrarietà da parte del datore di lavoro (Cass. sez. lav., 26 giugno 2018, n. 16841).

Conseguentemente, la tesi sostenuta dai due Giudici del Tribunale di Roma, dalla Corte di Appello di Roma, non sembra aderente al testo normativo che ha introdotto l'eccezionale divieto di licenziamento che non può essere interpretato estensivamente, stante il chiaro riferimento, operato dalla normativa emergenziale, all'art. 3 della L. 604/1966.

Parimenti, non convince l'assimilazione della giustificatezza oggettiva al giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 3 della L. 604/1966.

A questo proposito si osserva che nella nozione di giustificatezza si fanno rientrare una pluralità di casistiche non legate necessariamente a ragioni economiche.

In questi casi, quello che identifica e legittima il recesso del dirigente, è la sussistenza, nella scelta imprenditoriale, di una conformità agli obblighi di correttezza e buona fede laddove, invece, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il recesso datoriale deve trovare fondamento in ragioni di carattere prettamente economico/ organizzative.

Giustificatezza del licenziamento del dirigente e giustificato motivo oggettivo di cui all'art. 3 della L. 604/1966 sono concetti diversi e per nulla assimilabili.

In ragione di ciò e del chiaro tenore letterale della normativa emergenziale, ritengo che il divieto di licenziamenti durante il periodo del blocco non possa essere esteso al licenziamento individuale dei dirigenti.

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