Il test di vitalità per utilizzare le perdite pregresse, gli interessi indeducibili e le eccedenze ACE

Fabio Gallio
18 Novembre 2022

Con la risposta ad interpello 527/2022, è stato confermato che l'indice di vitalità relativo ai ricavi, previsto dall'art. 172, comma 7, del TUIR, per le società holding può essere determinato, tenendo conto, non solo dei ricavi indicati nella voce A del conto economico, ma anche di quelli indicati nella voce C. Per i soggetti IAS, si dovrà tenere contro anche dei componenti di redditi indicati nella parte denominata OIC (other comprehensive income).
Premessa

Con la risposta ad interpello del 26 ottobre 2022, n. 527, l'Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito all'individuazione dei "ricavi e proventi caratteristici" ai fini della verifica dei requisiti di vitalità economica ex art. 172, comma 7, del TUIR, per una società che redige il bilancio conformemente ai principi contabili internazionali.

In particolare, è stato richiesto se, ai fini del test di vitalità, siano da considerare anche i componenti reddituali di tipo finanziario contabilizzati dall'Istante in voci che non transitano per i "Proventi Finanziari" nello schema di conto economico, tenuto conto che per le holding di partecipazione in passato è stato chiarito che possono essere considerati ai fini del calcolo del test vitalità "oltre ai ricavi e proventi di cui alle voci di conto economico A1 e A5, anche i proventi finanziari iscritti nelle voci C15 e C16" .

L'Agenzia delle Entrate, prima di rispondere al quesito, ricorda che, nel costruire il test di vitalità relativo ai componenti positivi, l'art. 172 fa riferimento a tutti quei ricavi e proventi dell'attività caratteristica risultanti dallo schema contabile - redatto secondo corretti principi contabili (nazionali o internazionali) - che siano in grado di esprimere l'attività economica dei soggetti interessati all'operazione di fusione.


Con riferimento ai soggetti IAS adopter, che redigono i bilanci secondo i principi contabili internazionali, la redditività viene misurata anche attraverso la sezione del conto economico complessivo denominata "altre componenti di conto economico complessivo (other comprehensive income - OCI)" che è parte integrante del Conto Economico.


Infatti, il principio contabile IAS 1 prevede l'obbligo di redigere, tra i prospetti obbligatori che compongono il bilancio di esercizio, anche lo statement of other comprehensive income, come appendice del Conto economico.


In forza di quanto appena descritto, l'Agenzia delle Entrate ritiene che l'ammontare dei ricavi e dei proventi dell'attività caratteristica, rilevante ai fini del "test di vitalità" di cui all'art. 172, comma 7, del TUIR, conformemente alla ratio della disposizione e alla luce di quanto sopra chiarito, debba tenere conto anche di quei componenti positivi iscritti, in base all'adozione dei principi contabili internazionali, nel prospetto c.d. Other Comprehensive Income, che sarebbero stati contabilizzati in una voce del conto economico rilevante ai fini del test di vitalità , qualora la società istante non avesse optato per la contabilizzazione ad OCI.

Inoltre, viene confermato che le società holding possono considerare ai fini del calcolo del test di vitalità, oltre ai ricavi e proventi di cui alle voci di conto economico A1 e A5, anche i proventi finanziari iscritti nelle voci C15 e C16.

La risposta 527/2022 è importante, in quanto ha permesso di chiarire come devono essere determinati gli indici di vitalità per i soggetti IAS. A questo punto è possibile, dopo essersi soffermati sulla normativa di riferimento, analizzare i criteri di funzionamento di tale istituto.

La normativa di riferimento

La risposta ad interpello in esame si basa sull'interpretazione delle norme antielusive previste dall'art. 172, comma 7, del TUIR.

Si ricorda che, in base alla suddetta disposizione, le perdite fiscali (nonché gli interessi passivi indeducibili e le eccedenze ACE) delle società partecipanti all'operazione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società incorporante o risultante dalla fusione:

  • per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell'art. 2501-quater del c.c., senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, neutralizzando così i tentativi volti a consentire un pieno, quanto artificioso, recupero delle perdite fiscali;
  • allorché dal conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'art. 2425 del c.c., superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori

Per quanto riguarda il riporto degli interessi passivi indeducibili e delle eccedenze ACE, le norme di riferimento sono, rispettivamente, quelle contenute nell'art. 96 del TUIR e quelle riportate dall'art. 1 del D.L. del 6 dicembre 2011, 201, e dal DM del 3 agosto 2017, il quale ha sostituito il DM del 14 marzo 2012.

Relativamente, invece, alle perdite fiscali, la norma generale che ne disciplina il riporto è quella prevista dall'art. 84 del TUIR, la quale distingue le perdite fiscali utilizzabili senza limiti di importo (quelle realizzate nei primi tre periodi d'imposta di attività) da quelle con il limite di utilizzo pari all'80% del reddito imponibile realizzato in ciascun periodo d'imposta (quelle realizzate negli anni successivi ai primi tre). Al contrario della precedente versione della norma, attualmente non sono previsti dei limiti temporali nel loro utilizzo. È, inoltre, richiesto il rispetto di alcune norme antielusive nel caso in cui la partecipazione nella società che riporta le perdite venga ceduta a terzi. Tale norma si applica anche agli interessi passivi indeducibili ed alle eccedenze Ace.

Nell'ambito delle operazioni di fusione, esiste una norma specifica che regolamenta l'utilizzo di tali componenti a disposizione delle società partecipanti e limita, ai soli casi in cui siano rispettati determinati parametri economico/patrimoniali e strutturali, la possibilità di riportarli in avanti in caso di fusione della società che li ha prodotti (art. 172, comma 7, del TUIR).

Inoltre, come è stato recentemente precisato dall'Agenzia delle Entrate, nel caso in cui le perdite facciano ingresso, a seguito della fusione, nella sfera di un soggetto che ha usufruito di un regime di esenzione dalla tassazione degli utili, come può avvenire per le cooperative a mutualità prevalente, occorre considerare che l'articolo 84, comma 1, secondo periodo del TUIR dispone, per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell'utile, che «la perdita è riportabile per l'ammontare che eccede l'utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti», senza distinguere tra le perdite proprie e quelle acquisite in sede di fusione. Pertanto, in applicazione di tale disposizione, e salvo quanto previsto dall'art. 172, comma 7, le perdite acquisite dalla società dante causa per effetto della descritta operazione devono essere sterilizzate, fino a concorrenza dell'utile che non ha concorso alla formazione del reddito della società avente causa negli esercizi precedenti (Risposta ad interpello del 15 dicembre 2021, n. 813).

Dal punto di vista operativo, la norma in commento impone ai soggetti interessati alla fusione di fare preliminarmente un test sull'operatività, mediante il confronto dei ricavi dell'esercizio precedente la fusione con la media degli stessi nei due esercizi precedenti. Lo stesso tipo di confronto deve essere operato con riferimento ai costi del personale.

Solo nel caso in cui i ricavi e i costi del personale dell'esercizio precedente l'operazione di fusione siano superiori rispettivamente al 40% della media dei due esercizi precedenti, la società oggetto di analisi è da considerarsi operativa ai fini del riporto delle perdite fiscali.

Il test di vitalità risponde, quindi, alla chiara ratio di precludere il riporto delle perdite laddove la società abbia subito un depotenziamento rilevante nell'ultimo esercizio chiusosi anteriormente alla delibera di fusione.

Stante il disposto della norma, le perdite fiscali pregresse, gli interessi passivi indeducibili e le eccedenze Ace, conseguiti dalle società partecipanti alla fusione, sono riportabili nel limite del patrimonio netto delle stesse, senza considerare, tuttavia, i versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la data della situazione patrimoniale di riferimento.

Tali norme anti-elusive possono essere non applicate, ad esempio, quando la società incorporante è stata acquisita da un terzo ad un prezzo di mercato di gran lunga superiore alle posizioni fiscali oggetto di riporto della società incorporata (risposta ad interpello del 4 febbraio 2022, n. 76).

La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 dicembre 2020, n. 29501, si espressa in merito al riporto delle perdite in caso di un'operazione di incorporazione, secondo la quale, nel caso in cui i requisiti richiesti non siano rispettati, è possibile per il contribuente dimostrare che l'operazione si è basata su valide ragioni economiche, (quali, ad esempio, il possesso della controllata di particolari autorizzazioni o iscrizioni ad albi difficilmente conseguibili) e non solo per potere utilizzare le perdite.

Ciò sarebbe stato confermato anche da altra pronuncia della Suprema Corte secondo la quale la mancanza del requisito relativo alle spese per prestazioni di lavoro subordinato, dovuto all'assenza assoluta di dipendenti, impedirebbe alla società incorporante o risultante dalla fusione di avvalersi della specifica disposizione normativa e comporta l'inutilizzabilità delle perdite. Ma tale conclusione è stata fornita in quanto le relative circostanze non sono state dimostrate nell'ambito del giudizio di merito dalla contribuente (sentenza del 28 giugno 2022, n. 20616).

Infatti, la stessa Agenzia delle Entrate ritiene che la mancanza del costo del personale nel bilancio non comprometta la possibilità di riportare, nel caso specifico, l'eccedenza ACE, purchè vengano giustificate i motivi dell'assenza di dipendenti (risposta ad interpello del 13 febbraio 2019, n. 52).

La posizione dell'Agenzia delle Entrate

Come si è visto precedentemente, la ratio delle limitazioni poste dall'art. 172, comma 7, del TUIR è quella di contrastare il c.d. commercio di “bare fiscali”, mediante la realizzazione di operazioni di ristrutturazione aziendale con società prive di capacità produttiva, poste in essere al fine di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali, degli interessi passivi riportabili e delle eccedenze ACE di una delle suddette società, partecipante all'operazione, con i redditi di altra società coinvolta, introducendo un divieto al riporto delle predette posizioni soggettive qualora non sussistano le condizioni di vitalità economica richieste dalle disposizioni normative (Circolare del primo agosto 2022, n. 31).

Con risposta ad interpello n. 828 del 17 dicembre 2021, l'Agenzia delle Entrate si è occupata del riporto delle perdite, degli interessi passivi indeducibili e delle eccedenze ACE, in caso di fusione.

Le conclusioni a cui si arriva con tale documento sono simili a quelle indicate nella risposta ad interpello 101 del 3 aprile 2020.

Tali chiarimenti sono stati successivamente confermati anche da altre risposte che hanno precisato, ad esempio, che una società holding appena costituita e, quindi, priva degli specifici requisiti previsti dalla normativa, ha la possibilità di effettuare il riporto se e qualora non si verifica un depotenziamento gestionale dal quale evincere la natura di "bara fiscale" della società (Risposta ad interpello dell' Agenzia delle Entrate del 22 aprile 2022, n. 211).

Per le holding, si ricorda che è stato chiarito che le stesse potranno considerare ai fini del calcolo del test di vitalità, oltre ai ricavi e proventi di cui alle voci di conto economico A1 e A5, anche i proventi finanziari iscritti nelle voci C15 e C16 (Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 10 aprile 2008, n. 143).

Relativamente, invece, alla rilevanza o meno, ai fini della verifica del test di operatività, dell'assenza di costi per il personale dipendente negli ultimi bilanci delle società di cui si vogliono riportare le perdite, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che l'assenza di detti costi in bilancio può non costituire di per sé sintomo di scarsa vitalità aziendale, in particolar modo per le società holding di partecipazioni (Risoluzione dell' Agenzia delle Entrate del 29 ottobre 2002, n. 337).

Quindi, viene ribadita la possibilità di disapplicare il limite di riporto delle perdite ex art. 172 co. 7 del TUIR in un'operazione di fusione, pur in presenza del mancato superamento del test del patrimonio netto da parte della società incorporata, qualora venga provata, da un lato, l'assenza di una finalità elusiva, dall'altro, risulti integrato il possesso da parte della società della c.d. "redditività prospettica" per continuare a svolgere la propria attività anche in assenza della fusione (Risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate del 21 marzo 2022, n. 124).

Pertanto, è possibile il riporto delle perdite eccedenti il limite del patrimonio netto se le stesse effettivamente sono state prodotte per fattori contingenti e congiunturali, se è data dimostrazione di “riassorbire” stand alone le perdite fiscali pregresse, e se si continua a svolgere la propria attività economica, realizzando nuovi investimenti, possedendo ricavi in possedendo ricavi in crescita ed un elevato numero di lavoratori impiegati (Risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate del 10 maggio 2022, n. 253).

Si citano, inoltre, le risposte n. 101/2020 e n. 828/2021 dell'Agenzia delle Entrate che hanno confermato che il contribuente ha sempre la possibilità di dimostrare le motivazioni per le quali non vengano superati i test di vitalità.

Ciò sarebbe coerente con altra risposta ad interpello (quella del 6 marzo 2020, n. 88), con la quale l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in una operazione di fusione per incorporazione, il riporto delle perdite fiscali e degli interessi passivi è ammesso anche se la società incorporata, avendo affittato l'unica azienda, non supera il test di vitalità economica relativo ai costi da lavoro dipendente.

Tale risposta sembra confermare il recente orientamento della Suprema Corte (con ordinanza n. 19222 del 17 luglio 2019) , secondo il quale, per la suddetta verifica, vi è l'obbligo di esaminare i singoli casi, senza applicare automaticamente la norma antielusiva.

Tale principio sembra essere condiviso anche dall'Agenzia delle entrate, la quale ha stabilito che, nel caso in cui, nei 24 mesi precedenti, sono stati effettuati versamenti, determinati dagli obblighi civilistici di ripianare le perdite superiori al terzo del capitale sociale e dalla necessità di onorare i debiti pregressi, la norma antielusiva sul patrimonio netto non si applica (Risposta interpello Agenzia Entrate 17.12.2018 n. 109).

Del resto, la ricapitalizzazione può non essere considerata per riduzione dell'importo del patrimonio netto, se non appare finalizzata a un elusivo tentativo di integrare il requisito del c.d. limite patrimoniale per consentire il riporto delle perdite fiscali. E ciò si verifica se viene dimostrata l'esistenza di una struttura organizzativa, dotata di un'autonoma capacità di produrre redditi imponibili, anche nel caso in cui si è proceduto a concedere in affitto il ramo d'azienda dell'incorata all'incorporante, non costituendo questo contratto un negozio tale da depotenziare l'incorporata stessa in vista dalla fusione poiché sarà la stessa affittuaria (incorporante) a succedere in tutti i rapporti attivi e passivi di quest'ultima (Risposta interpello Agenzia Entrate del 10 maggio 2022, n. 255).

Inoltre, la limitazione prevista dalla norma ex art. 172 del TUIR, secondo la tesi erariale, può essere disapplicata in tutti i casi in cui i versamenti possono considerarsi fisiologici, come può avvenire nel contesto di un'operazione di MLBO, oppure quando la riduzione del patrimonio è stata causata dall'applicazione dei principi contabili internazionali (Risposta interpello Agenzia Entrate 24.12.2018 n. 127); o ancora quando le ragioni di tali ricapitalizzazioni evidenziano la volontà di ripianare le perdite di periodo delle società del gruppo al fine di rilanciare il gruppo in vista dell'integrazione del loro business (risposta ad interpello del 4 febbraio 2022, n. 73).

Tale principio è stato confermato anche con riferimento ad un'operazione effettuata tramite una SPAC Special Purpose Acquisition Company, ovvero veicoli di investimento contenenti esclusivamente cassa (c.d. blank check companies) e costituiti specificatamente per raccogliere capitale al fine di effettuare operazioni di fusione e/o acquisizione di aziende (c.d. business combination) (risposta del 4 febbraio 2022, n.75).

Tali principi sono stati fatti propri anche da altre risposte ad interpello diffuse recentemente (Risposte n. 234 e n. 235 del 28 aprile 2022).

Si ricorda che, come precisato dalla risposta ad interpello del 4 febbraio 2022, n. 77, nel caso di fusione con effetti fiscali e contabili retrodatati al 1° gennaio n, realizzata in assenza di una situazione patrimoniale redatta ai sensi dell'articolo 2501-quater, comma 1, del codice civile, si dovrà prendere a riferimento, ai fini della determinazione del quantum di perdite fiscali riportabili, il patrimonio netto risultante dal bilancio dell'incorporata relativo all'ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione, vale a dire quello relativo all'esercizio chiuso il 31 dicembre n-1.

In conclusione

Unica nota negativa, che si rinviene da alcune risposte dell'Agenzia delle Entrate (ad esempio, nella risposta 101/2020) si riferisce al fatto che si continua a sostenere che i requisiti minimi di vitalità economica dovrebbero sussistere, non solo nel periodo precedente alla fusione, ma continuare a permanere fino al momento in cui la fusione è stata deliberata.

Il suddetto principio è stato recentemente confermato anche dalla risposta ad interpello n. 316 del 10 maggio 2021, con cui l'Agenzia delle Entrate si è occupata di un'operazione di scissione, rispetto alla quale si applicano, se compatibili, le norme sulla fusione.

Tale tesi, però, non è condivisa da una parte della giurisprudenza (sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, primo dicembre 2016, n. 6353) e della dottrina (la norma di comportamento n. 176 dell' l'Associazione Italiana dei dottori commercialisti), secondo la quale una simile tesi interpreterebbe in maniera errata la disposizione del comma 7 dell'art. 172 del TUIR.

Come si evince dal tenore letterale della norma, i predetti indicatori economici devono essere ricavati dal conto economico relativo all'esercizio precedente a quello in cui l'operazione di fusione è stata deliberata, a prescindere o meno dalla retrodatazione degli effetti fiscali dell'operazione.

Infatti, il comma 7, prevede esplicitamente che, per i fini in esame, si deve fare riferimento all'esercizio precedente e non menziona altri periodi successivi.

In caso contrario, il legislatore avrebbe utilizzato una terminologia simile a quella scritta nell'art. 84, comma 3, del TUIR, laddove si fa riferimento al biennio precedente a quello di efficacia dell'atto di trasferimento.

Poiché nelle risoluzioni citate viene utilizzato più volte il termine "bara fiscale" sembrerebbe che l'Agenzia delle Entrate abbia applicato estensivamente la disposizione antielusiva dell'art. 84 al caso della fusione.

Non sarebbero a sostegno della tesi dell'Amministrazione finanziaria neppure le modifiche arrecate dall'art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (Convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) all'art. 172 del TUIR, laddove viene previsto che, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali delle fusioni, il diritto al riporto delle perdite del periodo è subordinato alla verifica della sussistenza sia degli indici di vitalità sia del limite quantitativo del patrimonio netto, sempre, però, riferiti all'esercizio precedente.

Infatti, l'attuale penultimo periodo dell'art. 172, comma 7, fa riferimento al periodo che intercorre tra l'inizio del periodo e la data antecedente a quella di efficacia giuridica solamente relativamente alla determinazione del risultato negativo delle società partecipanti alla fusione, senza disporre nulla circa gli esercizi da considerare per verificare la vitalità delle società coinvolte nella fusione.

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