Interesse ad agire

Lorenzo Balestra
07 Aprile 2016

L'art. 100 c.p.c. prevede che per proporre una domanda giudiziale o per contraddire alla stessa è necessario avervi un interesse (principio desumibile anche dall'art. 24 della Cost.). Così l'interesse ad agire reca, come conseguenza, il corrispettivo interesse a contraddire.
Inquadramento

L'art. 100 c.p.c. prevede che per proporre una domanda giudiziale o per contraddire alla stessa è necessario avervi un interesse (principio desumibile anche dall'art. 24 Cost.).

Così l'interesse ad agire reca, come conseguenza, il corrispettivo interesse a contraddire.

Quest'ultimo, tuttavia, è una mera conseguenza dell'interesse ad agire e non opera sullo stesso piano di quello, in quanto esso sussiste, in capo al chiamato in giudizio, per il semplice fatto della presentazione di una domanda giudiziale nei suoi confronti (Cass. civ., Sez. lavoro, 2 agosto 2003, n. 11796); infatti il convenuto, per il solo fatto che nei suoi confronti è stata proposta una domanda, ha sempre interesse a difendersi in giudizio (alcuna dottrina propende, invece, per un'autonomia dell'interesse a contraddire).

L'interesse ad agire è, assieme alla legittimazione ad agire, una delle due condizioni dell'azione, sussistendo le quali sorge, per il giudice, l'obbligo di provvedere sulla domanda.

Il requisito dell'interesse ad agire ha la funzione, quindi, di evitare che si proceda all'esame del merito quando l'accoglimento (o il rigetto) della domanda non importerebbe alcun mutamento (appunto, alcun “interesse”): siamo in presenza, pertanto, di un principio di economia processuale.

A tal proposito la giurisprudenza sostiene che l'interesse ad agire è una condizione dell'azione consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice (Cass. civ., Sez. lavoro, 4 maggio 2012, n. 6749).

L'interesse ad agire quale condizione dell'azione

L'interesse processuale ad agire presuppone una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio, nonché l'idoneità del provvedimento giudiziale a soddisfare il medesimo interesse sostanziale che l'istante si è prefigurato e non un qualsiasi vantaggio anche non considerato dall'attore medesimo (Cass. civ., Sez. III, 24 maggio 2003, n. 8236): tale affermazione deriva anche dal noto principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, diversamente si avrebbe l'ammissibilità di una domanda generica come tale non prospettabile nel nostro sistema giudiziario.

I requisiti devono sussistere entrambi ed in loro mancanza l'azione è inammissibile (Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 2012, n. 16).

Quale condizione dell'azione, l'interesse ad agire va valutato dal giudice in via preliminare, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e sull'ammissibilità della domanda sotto altri profili (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2002, n. 3060).

Altro corollario della funzione dell'interesse ad agire è che la sua assenza è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, pertanto, può essere accertata dal giudice anche quando sul punto non vi sia contrasto tra le parti (Cass. civ., Sez. II, 30 giugno 2006, n. 15084). Ancora, dovendosi indagare l'esistenza dell'interesse ad agire in via preliminare ed a prescindere dal merito delle richieste, il suo accertamento non potrà che compiersi in astratto con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunciata, indipendentemente dalla fondatezza delle allegazioni e delle argomentazioni portate (Trib. Bologna, 1 ottobre 2003).

Altra fondamentale considerazione riguarda l'eventuale sopravvenienza di un fatto suscettibile di determinare la cessazione della materia del contendere, eventualmente eccepito da una delle parti.

Tale situazione non deve confondersi con una mancanza sopravvenuta di interesse ad agire, sebbene, al contrario, quale soddisfacimento, di fatto, del diritto azionato o della definitiva impossibilità del soddisfacimento della domanda proposta. Ne consegue che il suo rilievo non determinerà una pronuncia dichiarativa nel merito del diritto azionato o di sopravvenuto difetto di interesse ad agire dell'attore.

Ancora diversa è la situazione nella quale l'attore riconosca l'infondatezza del diritto da lui stesso vantato; in tal caso si potrà avere una pronuncia da parte del giudice sul merito dell'azione nel senso della declaratoria della sua infondatezza, con il relativo potere di statuizione sulle spese secondo le normali regole (Cass. civ., Sez. II, 18 giugno 2014, n. 13885).

L'interesse ad agire e i diversi tipi di azione

a) Azione costitutiva

La dottrina ha avuto modo di osservare che tali azioni possono considerarsi tipiche, di conseguenza l'interesse ad agire sarebbe presente in sé, come tipizzato dallo stesso legislatore, di conseguenza non ci sarebbe spazio per una sua verifica in senso positivo o negativo.

Se ciò è vero, una dottrina più attenta, sul presupposto che l'art. 100 c.p.c. abbia valore sostanziale e precettivo, ha osservato che la tesi dell'irrilevanza dell'interesse nelle azioni costitutive non sarebbe un dato assoluto, ma andrebbe indagato caso per caso per valutare la sussistenza, nel caso specifico, dell'utilità finale della pronuncia giudiziale, elemento sostanziale dell'interesse ad agire.

b) Azione di condanna

Anche per l'azione di condanna si argomenta allo stesso modo e cioè si propende per la intrinsecità della stessa. Anche qui, però, è consigliabile una valutazione concreta dell'utilità della pronuncia giudiziale di condanna.

Un esempio è certamente utile per cogliere la problematica; la giurisprudenza, infatti, ha dichiarato improponibile, per difetto di interesse ad agire, la domanda di condanna all'adempimento del credito derivante dall'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione consensuale, dato che il relativo decreto di omologazione costituisce già un titolo esecutivo, in forza del quale è anche possibile iscrivere ipoteca giudiziale (Cass. civ., Sez. I, 10 settembre 2004, n. 18248). In questo caso, infatti, proprio l'utilità della pronuncia sarebbe carente e come tale priverebbe l'azione di un reale e concreto interesse al risultato finale.

Al contrario potrebbe sussistere l'interesse ad agire con azione di condanna nel caso in cui si sia ottenuto un provvedimento di liquidazione degli onorari del c.t.u. perché questo, benché titolo esecutivo, non è idoneo ad ottenere l'iscrizione di ipoteca giudiziale (Cass. civ., Sez. I, 21 luglio 2004, n. 13518; Cass. civ., Sez. lavoro, 17 aprile 2004, n. 7354).

c) Azione di accertamento

Dove l'interesse ad agire assume il massimo rilievo pratico è proprio l'azione di (mero) accertamento.

Qui infatti, in assenza di una qualche tipizzazione del legislatore, il provvedimento giudiziale richiesto deve importare utilità pratica concretamente tangibile e giuridicamente rilevante.

Per meglio chiarire questo aspetto bisogna affermare che le azioni di accertamento non sono proponibili ove abbiano come scopo il semplice accertamento o la contestazione di un fatto. Saranno proponibili, invece, quando mirano all'accertamento della sussistenza di un diritto o di un'altra posizione soggettiva, no all'accertamento di uno status (Cass. civ., Sez. lavoro, 26 marzo 2003, n. 4516).

Non è necessario, quindi, il verificarsi di una lesione attuale ad un diritto, ma sarà sufficiente che sussista uno stato di incertezza attuale ed oggettiva sull'esistenza o meno d'un rapporto giuridico e sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso derivanti, costituendo la rimozione della detta incidenza un risultato utile e giuridicamente rilevante e non conseguibile senza l'intervento del giudice (Cass. civ., Sez. lavoro, 9 maggio 2012, n. 7096).

Qualche esempio varrà meglio a chiarire la portata delle affermazioni sopra esposte; così, è stata esclusa la sussistenza dello stato di oggettiva incertezza allorquando l'accertamento richiesto al giudice riguardi un fatto incontestato, ovvero solo una componente della fattispecie costitutiva del diritto, ma non il diritto stesso (Cass. civ., Sez. lavoro, 9 settembre 2003, n. 13186; Cass. civ., Sez. lavoro, 17 marzo 2003, n. 3905).

Ancora, in giurisprudenza, si è sostenuto che l'incertezza, di cui si sta trattando, possiede sicuramente i requisiti dell'oggettività e dell'attualità quando risulta da concrete molestie, da atti o da fatti esteriori (Cass. civ., Sez. lavoro, 17 novembre 1989, n. 4933; Cass. civ., 22 gennaio 1988, n. 498, in Riv. Infort. e Mal. Profess., 1988, II, 98 ).

d) Azioni cc.dd. atipiche e cautelari

Il ruolo dell'interesse ad agire torna, invece, ad essere rilevante nelle azioni cc.dd. atipiche. Qui, infatti, non c'è alcuna valutazione del legislatore circa la meritevolezza dell'interesse.

Stesso discorso per le azioni cautelari, dove il requisito in esame è ravvisabile, oltre che nel fumus boni juris, soprattutto nel c.d. periculum in mora.

L'interesse ad impugnare

Si discute se il requisito dell'interesse ad agire debba essere valutato anche in sede di impugnazione.

Infatti, una volta valutata la sussistenza di tale requisito nella fase introduttiva del giudizio di primo grado, non potrebbe disconoscersene la presenza nei successivi gradi di impugnazione.

A tal proposito, infatti, si sostiene che l'interesse ad impugnare sarebbe assorbito dall'elemento oggettivo della soccombenza.

Altra dottrina, al contrario, sostiene che l'interesse in esame abbia una suo ruolo autonomo anche in sede di impugnazione. Infatti, la soccombenza formale costituirebbe solo una componente dell'interesse ad impugnare, dovendosi valutare anche l'effettivo e pratico vantaggio che la parte possa conseguire dalla riforma della sentenza o di un capo di essa.

Su tale seconda posizione sembra attestarsi anche la giurisprudenza laddove ritiene che l'interesse ad agire debba sussistere anche nella fase di impugnazione e vada desunto dall'utilità giuridica che l'impugnante consegue con l'accoglimento dell'impugnazione (Cass. civ., Sez. lavoro, 11 marzo 2014, n. 5581).

Proprio per il suo atteggiarsi concreto, l'interesse ad agire non potrà sussistere, ad esempio, qualora la parte appellante, vittoriosa sul capo di sentenza impugnata, voglia conseguire in via esclusiva la modificazione della motivazione della pronuncia impugnata e l'impugnazione stessa tenda non alla rimozione di un danno effettivo, ma a soddisfare esigenze teoriche di correttezza formale (Cass. civ., Sez. III Sent., 4 giugno 2007, n. 12952; Cass. civ., Sez. III, 20 maggio 2002, n. 7342).

L'interesse ad agire nel processo amministrativo e nel processo tributario

a) Il processo amministrativo

Il requisito dell'interesse ad agire, previsto dall'art. 100 c.p.c., deve sussistere anche al processo amministrativo, attualmente anche in virtù del rinvio operato dall'art. 39, comma 1, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – C.P.A.).

Ecco quindi che, anche nel processo amministrativo, il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo, caratterizzato dalla concretezza ed attualità del danno (Cons. St., 2 aprile 2014, n. 1572; Cons. St., 22 novembre 2013, n. 5547).

In particolare, l'interesse a ricorrere sussiste ogniqualvolta si prospetti una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente, lesione che potrà utilmente essere eliminata dall'eventuale annullamento dell'atto amministrativo impugnato; di conseguenza vi sarà carenza di interesse ad agire e conseguente inammissibilità del ricorso in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente.

CASISTICA

La concreta ammissibilità dell'impugnazione del regolamento (e, quindi, anche la necessità di impugnarlo entro il termine decadenziale previsto) non può che presupporre la sussistenza dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), che sorge in presenza di una lesione e/o pregiudizio attuale. (Cons. St., Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1427)

Sussistenza dell'interesse ad agire in presenza di un pregiudizio attuale

La mera titolarità di un interesse protetto (di tipo sia oppositivo che pretensivo) non giustifica l'azione giudiziale, quando tale interesse non sia concretamente leso dall'atto, di cui si chiede la rimozione dal mondo giuridico, a fini di reale perseguimento di un bene della vita (d.lgs. n. 104/2010, C.P.A.)( Cons. St., Sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1095)

Azione giudiziale non giustificata dalla titolarità di un interesse protetto

Avendo, poi, l'amministrazione un obbligo di agire in conformità all'interesse pubblico, l'interesse ad agire sussiste anche allorquando non solo l'annullamento dell'atto lesivo è di per sé idoneo a realizzare l'interesse diretto ed immediato del singolo, ma anche quando detto annullamento comporti per l'amministrazione l'obbligo di riesaminare la situazione e di adottare provvedimenti eventualmente idonei a garantire ad un determinato soggetto un risultato favorevole (Cons. St., 20 dicembre 2002, n. 7255).

In una recente sentenza, il giudice amministrativo di legittimità ha affermato, con una soluzione che pare discutibile, che l'interesse al ricorso, in quanto condizione dell'azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al Giudice Amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (Cons. St., 14 aprile 2014, n. 1825). Tuttavia forse sarebbe più corretto ricorrere al concetto di cessazione della materia del contendere. Infatti un requisito di ammissibilità dell'azione, come l'interesse ad agire, non potrà essere valutato negativamente una volta instaurato il giudizio durante il quale, semmai, potrà cessare l'utilità pratica della pronuncia con ciò concretandosi una cessazione, appunto, della materia del contendere che opererà sul piano sostanziale del processo e non sul piano formale introduttivo.

Anche nel processo amministrativo, l'interesse ad impugnare rappresenta una species dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., come già visto per il processo di cognizione.

Innanzitutto è stato affermato che l'interesse ad impugnare una sentenza, o un capo di essa, deve ricollegarsi ad una soccombenza, anche parziale, nel precedente grado di giudizio (Cons. St., 16 settembre 2013, n. 4551); inoltre, l'interesse all'impugnazione deve essere astrattamente idoneo al ripristino dell'atto annullato e presuppone necessariamente che l'atto stesso sia direttamente riferibile all'amministrazione appellante (Cons. St., 15 dicembre 2003, n. 8228).

b) Il processo tributario

Date le sue peculiarità il profilo dell'interesse ad agire nel processo tributario si atteggia in modo particolare con riferimento alla effettiva deducibilità in giudizio di un atto di accertamento. Così, in riferimento al c.d. estratto di ruolo, si è precisato che questo è atto interno all'Amministrazione che, come tale, non può esser oggetto di autonoma impugnazione davanti al giudice tributario; mancherebbe un interesse concreto e attuale, ex art. 100 c.p.c., a radicare una lite tributaria. Tale estratto di ruolo, quindi, potrà esser impugnato soltanto unitamente alla cartella esattoriale che sia stata notificata (Cass. civ., Sez. V, 20 marzo 2013, n. 6906). Infatti con la notificazione della cartella esattoriale si dà rilevanza esterna al ruolo che, altrimenti, rimarrebbe mero atto interno all'amministrazione finanziaria. Di conseguenza, sino alla notifica, non vi sarebbe alcun concreto interesse ad agire a proporre domanda giudiziale, con la conseguente inammissibilità di un eventuale ricorso (Cass. civ., Sez. V, 15 marzo 2013, n. 6610).

Riferimenti

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