Sentenza di accertamento
07 Luglio 2020
Inquadramento
La tutela di mero accertamento è una subspecies della tutela di cognizione. La tutela di cognizione, la quale si affianca alla tutela esecutiva e alla tutela cautelare, ha come funzione primaria l'accertamento dei diritti dedotti in giudizio. Oltre alla tutela di accertamento, nell'ambito della tutela di cognizione rientrano anche la tutela di condanna e quella costitutiva. Il rapporto che sussiste tra i tre sottotipi di tutela di cognizione mette bene in luce come la funzione primaria di quest'ultima sia l'accertamento dei diritti dedotti in giudizio. La tutela di condanna e quella costitutiva hanno come prius logico l'accertamento del diritto controverso, al quale, però, si aggiunge un quid pluris. Per la tutela di condanna, questo quid pluris rispetto all'accertamento, è dato dall'ordine del giudice rivolto al convenuto di adempire. Per la tutela costitutiva, invece, è dato dalla modificazione giuridica della realtà preesistente, la quale avviene per l'accertamento della sussistenza del diritto potestativo dedotto in giudizio. La tutela di accertamento non è, però, limitata solamente all'accertamento del diritto dedotto in giudizio dall'attore nei confronti del convenuto. Rientra, infatti, nella stessa anche la posizione giuridica di colui che voglia far accertare come insussistente una pretesa fatta valere nei suoi confronti. Nell'ambito della tutela di mero accertamento è, quindi, possibile esperire due tipi di azioni: l'azione di accertamento positivo e l'azione di accertamento negativo. L'azione di accertamento positivo è quella con la quale si chiede, con efficacia di giudicato, l'accertamento di un diritto dedotto in giudizio e del quale l'attore afferma la propria titolarità nei confronti del convenuto. L'azione di accertamento negativo, al contrario, è quella con il quale l'attore chiede una pronuncia che attesti l'infondatezza delle pretese avanzate nei suoi confronti. Oltre all'accertamento della sussistenza o meno di un diritto o di un vanto, è possibile, nell'ambito della tutela di mero accertamento, chiedere una pronuncia che statuisca in ordine all'attuale validità o meno di un contratto e sia, perciò, volta a superare l'incertezza in ordine alla sussistenza dei diritti da esso derivanti. Alla prima categoria, quella relativa all'accertamento della sussistenza o meno del diritto dedotto in giudizio o della fondatezza di un vanto nei propri confronti, appartiene, ad esempio, la domanda di accertamento della proprietà, sia in positivo che in negativo. Alla seconda categoria, quella relativa all'attuale validità o meno di un vincolo negoziale, appartiene la domanda di accertamento della nullità di un contratto. Questa, diversamente dall'azione di annullamento, la quale mira a far dichiarare inefficace un contratto che sorgeva come invalido ma efficace, è volta ad accertare l'originaria inefficacia ed invalidità del contratto. Il contratto, accertato come nullo, solo apparentemente ha prodotto degli effetti giuridici, i quali, in verità, a causa della nullità non sono mai sorti. Hanno natura di sentenza di accertamento anche i provvedimenti di rigetto delle domande di condanna o costitutive. Le pronunce da ultimo accennate, infatti, non arrivano a una statuizione con cui si condanni il convenuto a un determinato facere o non facere o che, comunque, produca una modificazione della realtà giuridica preesistente. Queste si fermano all'accertamento dell'insussistenza del diritto o della violazione dello stesso affermati dall'attore. Si è posto il dubbio, soprattutto in passato, sulla tipicità o meno della tutela di mero accertamento. La determinazione del carattere atipico o tipico delle azioni di accertamento rileva nella possibilità o meno di esperire in giudizio azioni anche non sono espressamente previste dalla legge. Il dubbio si pone in quanto - come avviene, invece, ad esempio ex art. 2908 c.c., il quale dispone espressamente la tipicità delle azioni costitutive - non esiste alcuna norma che determini come tipiche o atipiche le ipotesi di azione di accertamento. È stata, quindi, svolta un'opera interpretativa dottrinale per tentare di rispondere al quesito in esame. Per compiere una corretta analisi del fenomeno è necessario partire dall'art. 100 c.p.c., il quale dispone che: «Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse». L'interesse ad agire è, assieme alla possibilità giuridica della tutela e alla legittimazione ad agire, una delle condizioni dell'azione. La condizione in esame è integrata quando colui che propone l'azione di accertamento alleghi i fatti costitutivi del suo diritto unitamente alle contestazioni, nel caso in cui l'azione sia di accertamento positivo, o ai vanti, nel caso di azione di accertamento negativo, che verso di lui vengano proposti. La norma in esame va letta in maniera combinata all'art. 24 Cost., il quale prevede che: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». Dalla lettura dei due articoli emerge, allora, che un soggetto può ricorrere alla tutela giurisdizionale dei diritti purché abbia un interesse, e quindi necessità di ottenere il provvedimento giurisdizionale di merito che statuisca, con efficacia di giudicato, sul diritto dedotto in giudizio. La base normativa indicata è utilizzata dai sostenitori dell'atipicità dell'azione di accertamento a fondamento della loro tesi. L'accertamento del diritto, difatti, si pone come base logica dell'intera tutela di cognizione. Non sembra coerente con l'art. 24 comma 1 Cost. e l'art. 101 c.p.c. riconoscere il diritto di agire per l'accertamento solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come ad esempio avviene ex artt. 949 c.c., 1079 c.c. e 1421 c.c.
L'interesse ad agire in mero accertamento ha dei profili di complessità. La tutela di accertamento è richiesta quando c'è un'obiettiva incertezza sull'esistenza del diritto soggettivo dedotto in giudizio. Perciò, per dimostrare l'interesse ad agire è necessario che l'attore alleghi una contestazione mossa dal convenuto relativa alla sua titolarità del diritto, la quale deve caratterizzarsi come sussistente e seria. Nel caso in cui, invece, si tratti di domanda di accertamento negativo, deve essere dedotto dall'attore un vanto di un diritto da parte del convenuto che deve essere parimenti sussistente e serio.
Onere della prova nella tutela di mero accertamento negativo
Il problema della ripartizione dell'onere della prova si pone per la domanda di accertamento negativo poiché l'attore non fa valere un diritto nei confronti del convenuto, ma chiede l'accertamento dell'infondatezza della pretesa che il convenuto afferma nei suoi confronti. Nella pratica, quindi, la posizione dell'attore in accertamento negativo risulta speculare, più che alla posizione dell'attore nell'azione di mero accertamento, alla posizione del convenuto nella domanda di mero accertamento. Le alternative che si aprono sulla ripartizione dell'onere della prova, nel caso in cui sia proposta domanda di accertamento negativo, sono: a) la ripartizione in senso formale. L'attore in accertamento negativo, secondo quanto disposto ai sensi dell'art. 163 c.p.c., dovrà allegare, sostenendone il rischio della mancata prova, i fatti costitutivi del diritto, formulati, però, in senso negativo. L'attore in accertamento negativo dovrà, quindi, provare l'inesistenza dei fatti costitutivi. In maniera speculare, il convenuto in accertamento negativo dovrà provare l'inesistenza dei fatti impeditivi, modificativo o estintivi del diritto dedotto in giudizio. b) la ripartizione in senso sostanziale. L'attore in accertamento negativo, più che secondo l'art. 163 c.p.c., dovrà compiere l'allegazione dei fatti come indicata ai sensi dell'art. 167 c.p.c. Egli, allora, sosterrà il rischio della mancata prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto dedotto in giudizio. Questa soluzione rispecchia la posizione dell'attore in ambito sostanziale, dove egli rimane il soggetto passivo del rapporto giuridico dedotto in giudizio. La dottrina maggioritaria predilige la seconda ricostruzione, non solo in ragione del mantenimento della simmetria delle posizioni giuridiche rivestite dall'attore e dal convenuto in ambito sostanziale, ma anche perché la posizione dell'attore in accertamento negativo è coincidente con quella del convenuto nel giudizio di accertamento positivo.
Di incerta natura sono alcune condanne speciali, le quali presentano alcuni punti di contatto con la sentenza di mero accertamento. La prima delle pronunce che va comparata con quella di accertamento è la sentenza di condanna generica. In questo caso vi è solo una pronuncia sull'an dell'intervenuta lesione e la determinazione del quantum della stessa è lasciata a un nuovo giudizio o a una fase successiva dello stesso giudizio. La scissione tra la pronuncia tra an e quantum pone dubbi sulla natura della condanna generica: ci si chiede se sia una vera condanna oppure una sentenza di mero accertamento. Se si riconosce natura di accertamento alla sentenza di condanna generica, la pronuncia sull'an della lesione potrebbe essere seguita da un provvedimento che riconosca il quantum della stessa come pari a zero. Qualora, invece, si riconosca natura di condanna alla sentenza di condanna generica, la pronuncia sul quantum non può essere pari a zero, perché con la condanna generica è stato accertato un danno materiale superiore allo zero, seppur indefinito. In considerazione della rubrica dell'art. 278 c.p.c. (“Condanna generica. Provvisionale”), la quale suggerisce l'inquadramento legislativo del provvedimento in esame come avente natura condannatoria, sembra più corretta la seconda tesi. Questa conclusione è avvalorata dalla considerazione che l'utilità pratica della pronuncia cui trattasi è data essenzialmente dalla possibilità di iscrivere ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c., pure se la condanna generica non è accompagnata dalla disposizione di una provvisionale. Altra sentenza di dubbia natura è la condanna in futuro. La pronuncia di condanna in futuro è in verità un titolo esecutivo che può essere utilizzato solo nel successivo momento in cui il convenuto sarà inadempiente. La condanna in futuro è un provvedimento con il quale il giudice accerta l'esistenza di un diritto come non leso, ma che consente di agire in futuro in caso di lesione. In materia può citarsi, ad esempio, l'art. 657 c.p.c., il quale permette all'attore di richiedere un provvedimento di intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione nei confronti del convenuto. Con la pronuncia in esame, allora, sarà permesso agire in via esecutiva per il rilascio dell'immobile al momento della scadenza del contratto di locazione. Le perplessità in ordine alla qualificazione della condanna in futuro come “condanna” sono dovute all'osservazione per cui secondo le categorie generali la pronuncia che accerta l'esistenza del diritto dedotto in giudizio, senza l'accertamento di un'affermata lezione è una pronuncia di mero accertamento. Nel caso di specie, però, a questa sentenza, che accerta il diritto come esistente e ancora non leso, si riconosce l'idoneità a costituire in futuro titolo esecutivo, possibilità tipica dei provvedimenti aventi natura di condanna. I casi in cui si può pronunciare sentenza di condanna in futuro sono ipotesi eccezionali in cui il legislatore ha riconosciuto l'interesse ad agire quando la lesione non è ancora avvenuta, ma è solo ipotetica. L'esigenza predominante di fornire immediatamente un titolo esecutivo fa ritenere più corretta l'ipotesi della natura condannatoria della condanna in futuro. La terza pronuncia che suggerisce la comparazione con la sentenza di accertamento è la condanna condizionale. Il provvedimento in esame, che presenta due subspecies, è frutto dell'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza. Si parla di sentenza condizionale cd. impropria quando il diritto dedotto in giudizio è accertato come sottoposto a una condizione. Si parla, invece, di sentenza condizionata cd. propria quando ad essere condizionato è un capo condannatorio, il quale subisce tale condizione poiché ricollegato al mancato adempimento del capo condannatorio principale. Anche in questo caso, in ragione del mancato avveramento della condizione e quindi della mancanza dell'evento lesivo o della carenza di esecutività del capo condannatorio, si pongono dubbi in ordine alla corretta determinazione della natura del provvedimento in esame. In questo caso sembra doversi riconoscere natura mutevole ed alternativa alla pronuncia: la sentenza avrà natura di accertamento fino al mancato avveramento della condizione potendo, nell'eventualità che ciò avvenga, acquistare successivamente quella di condanna. Riferimenti
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