Cessazione della materia del contendere

Laura Mancini
01 Aprile 2016

La cessazione della materia del contendere è un istituto di creazione giurisprudenziale che non trova nel sistema processuale civile uno specifico fondamento positivo e ricomprende una serie eterogenea di fattispecie.
Inquadramento

La cessazione della materia del contendere è un istituto di creazione giurisprudenziale che, diversamente dall'ordinamento amministrativo e tributario in cui è espressamente prevista, non trova nel sistema processuale civile uno specifico fondamento positivo e ricomprende una serie eterogenea di fattispecie caratterizzate dal sopraggiungere, nel corso del processo, di un evento di indole fattuale o processuale che elimina la posizione di contrasto tra le parti facendo venir meno la necessità di una pronuncia giudiziale sull'oggetto originario del processo, la quale diventa, in ragione di tale sopravvenienza, inutile o inattuale.

In evidenza

Secondo la ricostruzione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, la sentenza di cessazione della materia del contendere è una pronuncia in rito, avente natura dichiarativa, con la quale viene decretata l'improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire ex

art. 100 c.p.c.

.

La statuizione è idonea ad acquisire efficacia di giudicato sull'accertamento del venir meno di tale condizione dell'azione, ma non sulla pretesa fatta valere (

Cass.

civ., sez. U

.,

28 settembre 2000

n. 1048

;

Cass. civ.,

sez. I, 3 marzo 2006

n. 4714

;

Cass. civ.,

sez. III, 31 agosto 2015

n.

17312

).

Si tratta, dunque, di una pronuncia che fuoriesce dalle tipologie di definizione del giudizio normativamente previste e, in particolare, dalle forme di estinzione del processo determinate dalla superfluità della sua prosecuzione, quali sono la rinuncia agli atti del processo e la conciliazione giudiziale.

Presupposti

Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso, posto che, ove sorga dissenso sull'esistenza e sulla rilevanza dei fatti nuovi, deve ritenersi che la controversia non sia venuta meno.

Tale principio opera nell'ipotesi in cui la circostanza si sia verificata al di fuori del processo e, quindi, non abbia potuto formare oggetto di percezione diretta da parte del giudice, ma sia rimessa all'apprezzamento – concorde o discorde – dei contendenti.

Non rileva, per contro, il dissenso manifestato dalle parti quando il fatto sia venuto in essere nel processo (si pensi all'accordo transattivo perfezionatosi dinanzi al giudice ed inserito nel verbale di udienza, ma non tradottosi in una conciliazione giudiziale o alla morte della parte nei giudizi aventi ad oggetto diritti intrasmissibili), posto che in tal caso è devoluto al solo giudice l'apprezzamento della relativa portata.

Ad eccezione di tali ultime ipotesi, il dissenso manifestato nelle opposte conclusioni attesta necessariamente che la contestazione non è venuta meno e che, in mancanza di accordo, l'allegazione di un fatto sopravvenuto, sia pure assunto come idoneo a determinare il venir meno dell'interesse ad agire, non può giustificare la declaratoria di cessazione della materia del contendere, ma impone una pronuncia sul merito della domanda ed una statuizione sulle spese secondo le regole generali (

Cass. civ.,

sez. III, 8 luglio 2010

n. 16150

;

Cass. civ.,

sez. III, 24 febbraio 2015

n. 3598

).

In evidenza

Con particolare riferimento alla transazione, che costituisce l'archetipo della fattispecie in esame, se vi è controversia tra le parti in merito alla sua rilevanza giuridica ed al suo contenuto, la decisione deve avere ad oggetto l'infondatezza della pretesa indotta dall'effetto novativo (in caso di transazione novativa) o impeditivo (in caso di transazione semplice) dell'accordo transattivo.

La rilevanza della conformità delle conclusioni delle parti è stata, invero, diversamente apprezzata da una parte della giurisprudenza di legittimità. A fronte dell'indirizzo prevalente (

Cass.

civ., sez. lav., 7 settembre 1993

n.

9401

;

Cass. civ.,

sez. lav., 21 gennaio 1994

n.

576

;

Cass. civ.,

sez. III, 11 aprile 1995

n.

4151

;

Cass. civ.,

sez. I, 16 settembre 1995

n.

9781

;

Cass. civ.,

sez. lav., 7 dicembre 1995

n.

12614

;

Cass. civ.,

sez. II, 27 maggio 1996

n.

4884

;

Cass. civ.,

n.

622/

19

97

;

Cass. civ.,

n. 8607/2000

;

Cass. civ.,

n. 5515/2001

;

Cass. civ.,

sez. II, 22 marzo 2002

n. 4127

; Cass. civ., n. 12090/2002;

Cass. civ.,

sez. lav.,

22 dicembre 2006

n. 27460

;

Cass. civ.,

sez. lav.,

28 maggio 2013

n. 8478

;

Cass. civ.,

sez. III, 8 novembre 2007

n. 23289

;

Cass. civ.,

sez. lav., 17 agosto 2015

n. 16886

), che considera presupposto indefettibile l'uniformità di vedute delle parti sul punto, si registrano alcune pronunce (

Cass. n. 46/1990

;

Cass. civ.,

n.

4017/

19

94

;

Cass. civ.,

n.

3265/

1995

;

Cass. civ.,

n.

4919/

19

98

;

Cass. civ.,

n. 14775/2004

;

Cass. civ.,

n. 271/2006

) che negano rilevanza a tale condivisione, non reputandola necessaria laddove consti obiettivamente il fatto sopravvenuto idoneo a determinare la sopravvenuta assenza di contrasto tra le parti.

In dottrina si è osservato che l'apparente contrasto delle richiamate prospettive giurisprudenziali si spiega rilevando che rispetto ad alcuni degli eventi considerati idonei a determinare la cessazione della materia del contendere (quali la morte della parte nei giudizi aventi ad oggetto diritti intrasmissibili o la distruzione della res oggetto di prestazioni infungibili) la sopravvenuta carenza di interesse deriva dalla natura stessa delle cose e si collega ad un effetto preclusivo necessario dell'evento, mentre per altri la declaratoria di cessazione della materia del contendere risponde esclusivamente ad esigenze di economia processuale e richiede il quid pluris dell'adesione dei litiganti, la quale costituisce, in definitiva, un coelemento della fattispecie di cessazione della materia del contendere.

Ad esempio

, viene in rilievo il pagamento avvenuto nel corso del giudizio, il quale potrebbe non far venire meno l'utilità dell'apprezzamento dei fatti costitutivi del diritto azionato perché, per esempio, l'attore ha interesse ad un accertamento dell'effettiva sussistenza del credito al fine di precludere una successiva azione di ripetizione dell'indebito, oppure, al contrario, il debitore ha interesse all'accertamento della nullità del titolo del credito.

Secondo una massima consolidata, ove non vi sia dissenso delle parti circa la sussistenza e la portata dell'evento sopravvenuto incidente sul diritto in contesa, la pronuncia di cessata materia del contendere deve avvenire d'ufficio (

Cass. civ.,

sez. lav., 27 aprile 2000

n. 5390

;

Cass. civ.,

sez. lav., 25 febbraio 2000

n. 2180

). Con particolare riferimento alla transazione novativa intervenuta nelle more del giudizio, la Suprema Corte ha stabilito che l'allegazione della relativa conclusione non costituisce un'eccezione in senso stretto, perché introduce una questione processuale idonea a chiudere la lite attraverso la declaratoria della cessazione della materia del contendere sulla base di un fatto che non attiene al merito della controversia, e, dunque, non soggiace alle regole ed alle preclusioni che governano, nei vari gradi di giudizio, l'allegazione delle circostanze che ad esso si riferiscono (

Cass. civ.,

sez. I, 24 ottobre 2012

n. 18195

).

I fatti determinanti la cessazione della materia del contendere: casistica

I fatti che determinano la cessazione della materia del contendere sono assai eterogenei, ma possono essere ricondotti entro due generali categorie, rappresentate dagli eventi di indole processuale e dagli eventi di natura sostanziale.

I primi sono accomunati dalla situazione per la quale viene emanato in altro procedimento un provvedimento giudiziale che rende inutile la pronuncia richiesta.

Si allude, in primo luogo, al concorso di mezzi di impugnazione e, segnatamente, alle seguenti ipotesi: a) proposti nei confronti della stessa pronuncia sia l'appello che il regolamento di competenza, l'accoglimento di quest'ultimo comporta l'inutilità della definizione dell'appello (Cass. civ., n. 617/1979); b) proposti cumulativamente ricorso per cassazione e revocazione il primo giudizio diviene inutile ove la sentenza venga revocata all'esito del secondo (Cass. civ., n. 1975/1978;

Cass. civ.,

sez. II, 25 settembre 2013

n. 21951

).

Altro evento di carattere processuale idoneo a fare venir meno l'interesse ad una pronuncia giurisdizionale è costituito dal conseguimento dell'utilità avuta di mira con l'azione esperita in altra sede processuale. È il caso della revoca da parte del giudice dell'esecuzione del provvedimento oggetto di opposizione agli atti esecutivi (

Cass. civ.,

sez. III, 30 maggio 2000

n. 7182

).

Viene, poi, in rilievo l'ipotesi di estinzione del giudizio pregiudicato, di quello pregiudicante o di entrambi, la quale comporta il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio sull'istanza di regolamento di competenza proposta ai sensi dell'

art. 295 c.p.c.

(

Cass. civ.,

sez. lav., 6 febbraio 2015

n. 2269

).

Ricorre, ancora, un evento processuale idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere allorquando vengano introdotti dalla parte due giudizi tra i cui oggetti sussiste un collegamento per cui la decisione dell'uno rende inutile la prosecuzione dell'altro. Si pensi all'ipotesi in cui viene impugnato un primo licenziamento e nelle more del giudizio di impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado che ha respinto la domanda accertando l'illegittimità dello stesso, sopraggiunga altro licenziamento avverso il quale pure venga proposta impugnazione. Nel caso in cui la legittimità del primo licenziamento venga accertata con efficacia di giudicato, il giudizio intrapreso al fine di contrastare il secondo licenziamento diviene inutile (

Cass. civ.,

sez. lav., 8 luglio 1998 n.

6623

).

Va, infine, richiamata l'ipotesi dell'incidenza della chiusura del processo condizionante sul processo condizionato, come il caso di chiusura del fallimento rispetto al giudizio di revocatoria fallimentare (Cass. civ., n. 6440/1996).

Gli eventi di natura sostanziale coincidono con ogni atto od attività delle parti che, incidendo sull'oggetto del processo, crea, attraverso la modificazione o estinzione della situazione sostanziale ivi originariamente dedotta, un nuovo assetto di interessi e, di conseguenza, rispettivamente, l'inattualità o l'inutilità di una pronuncia giudiziale su di un rapporto non più in atto perché estinto o modificato in forza di un atto dell'autonomia negoziale.

Gli atti di natura sostanziale idonei a definire fondare la cessazione della materia del contendere possono essere classificati in:

  1. fattispecie in cui la parte ottiene il soddisfacimento della sua pretesa prima e indipendentemente dall'accoglimento della domanda;

  2. fattispecie in cui il fatto sopravvenuto determina la modificazione del rapporto controverso;

  3. fattispecie in cui l'evento sopravvenuto rende impossibile il riconoscimento giudiziale delle utilità richieste.

  4. fattispecie caratterizzate dall'abbandono della posizione difensiva originariamente assunta.

Con riguardo alla prima delle categorie indicate, viene in rilievo l'ipotesi dell'adempimento in corso di causa, mentre l'esempio più importante di atto modificativo sopravvenuto del rapporto dedotto in giudizio è costituito dalla transazione.

Autorevole dottrina, andando di contrario avviso alla ricostruzione giurisprudenziale, ravvisa in tali ipotesi non un difetto sopravvenuto di interesse ad agire, ma una pronuncia sostitutiva della sentenza di rigetto della domanda.

La transazione sostituisce, infatti, la fonte di regolamentazione del rapporto dedotto in giudizio (sostituzione che, nel caso di transazione novativa, è integrale), mentre l'adempimento estingue la pretesa posta a base della domanda, con la conseguenza che la pronuncia che non tenesse conto di tali fatti modificativi ed estintivi del diritto sarebbe non tanto inutile, quanto contra ius, ovvero in contrasto con una norma di diritto sostanziale. Di conseguenza, secondo tale prospettiva, nei casi in questione la pronuncia non può che essere di rigetto nel merito, per sopravvenuta infondatezza della domanda.

Diverso è il caso degli eventi riconducibili nella categoria indicata sub b).

L'ipotesi più frequente è quella del venir meno della parte nei giudizi aventi per oggetto diritti intrasmissibili. Paradigmatici sono i procedimenti di opposizione ad ordinanza ingiunzione, in cui l'

art. 7 della l. 689/1981

sancisce espressamente che «l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi», così che la morte dell'opponente determina necessariamente l'impossibilità di rendere una pronuncia nel merito. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, stabilito che la morte di colui che nel provvedimento sanzionatorio adottato dall'amministrazione è individuato come autore della violazione comporta l'estinzione dell'obbligazione di pagare la relativa sanzione pecuniaria - giacché essa, ai sensi dell'

art. 7 l. 24 novembre 1981, n. 689

, non si trasmette agli eredi - nonché, in ipotesi di pendenza del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione, la cessazione della materia del contendere sia in ordine alla sussistenza della responsabilità, che all'entità della sanzione applicata (

Cass. civ.,

sez. II, 29 ottobre 2010

n. 22199

;

Cass. civ.,

sez. II, 13 marzo 2007

n. 5880

).

Vanno menzionati anche i procedimenti di separazione e divorzio, in relazione ai quali la Suprema Corte ha enunciato il principio di diritto per il quale la morte di uno dei coniugi, sopravvenuta in pendenza del giudizio di separazione personale o di divorzio, anche nella fase di legittimità, comporta la declaratoria di cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio e a tutti i profili economici; né il figlio maggiorenne non autosufficiente potrebbe coltivare una domanda di assegno nei confronti dell'obbligato ormai deceduto o, trattandosi di rapporto personale, procedere nei confronti di eventuali altri eredi (

Cass. civ.,

sez. I, 4 aprile 1997

n. 2944

;

Cass. civ.,

sez. I, 27 aprile 2006

n.

9689

;

Cass. civ.,

sez. I, 20 novembre 2008

n.

27556

;

Cass. civ.,

sez. I, 26 luglio 2013

n. 18130

); nonché quelli di interdizione (

Cass. civ.,

sez. II, 17 febbraio 2006

n. 3570

), inabilitazione (

Cass. civ.,

n. 7831/1986

) ed amministrazione di sostegno, in relazione alle quali costituisce massima ricorrente quella per la quale la morte dell'interdicendo o dell'inabilitando o dell'amministrando determina la cessazione della materia del contendere, venendo meno la necessità della pronuncia, con declaratoria d'inammissibilità del ricorso per sopraggiunta carenza di interesse (

Cass. civ.,

sez. I, 10 giugno 2011

n. 12737

). Va ricondotta in tale categoria anche la morte o la cessazione dal servizio per collocamento a riposo del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenute prima del passaggio in giudicato della pronunzia che applica la sanzione disciplinare (ex multis,

Cass. civ., sez. U.

,

12 febbraio 2010

n. 3245

).

Costituisce, inoltre, un fatto idoneo a determinare l'oggettiva inutilità della sentenza il sopravvenuto perimento della res nei giudizi aventi ad oggetto la sola proprietà sulla stessa e non anche la domanda di risarcimento del danno (

Cass. civ.,

n. 4834/1988

).

Analoga portata viene attribuita alla confusione soggettiva tra attore e convenuto in corso di causa (

Cass. civ.,

n. 2986/1987

).

Paradigmatica, al riguardo, è la situazione che viene a crearsi nel caso in cui nel corso del processo il diritto controverso ovvero una quota del bene che ne è oggetto viene trasferito da una parte all'altra per atto tra vivi a titolo particolare. In tal caso non opera il principio

ex

art. 111 c.p.c.

per il quale il processo prosegue tra le parti, venendo lo stesso a cessare, per confusione soggettiva tra attore e convenuto, la materia del contendere (anche solo relativamente alla quota ceduta) (

Cass. civ.,

sez. VI, 15 maggio 2015

n. 10057

).

Di particolare interesse sistematico ed applicativo sono i fatti riconducibili entro la fattispecie dell'abbandono della posizione difensiva originariamente assunta dalla parte, tra cui vanno ricordati la rinuncia all'azione e il sopravvenuto riconoscimento del diritto azionato.

Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la rinuncia all'azione, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l'accettazione della controparte, estingue l'azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l'efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante (Cass. n. 1112/1982;

Cass. civ.,

sez. lav., 25 gennaio 1993

n.

808

;

Cass. civ.,

n.

5286

/

1993

;

Cass. civ.,

n.

2268

/

1999

;

Cass. civ.,

n. 8387/1999

;

Cass. civ.,

n. 5390/

2000

;

Cass. civ.,

sez. I, 10 settembre 2004

n. 18255

;

Cass. civ.,

sez. III, 14 novembre 2011

n. 23749

;

Cass. civ.,

sez.

VI,

17 febbraio 2016

n. 3148

).

Ad analoghe conseguenze conduce la dichiarazione di rinuncia alla domanda non sottoscritta dalla parte di persona, ma dal solo difensore, senza tuttavia che questi risulti munito di mandato speciale a rinunziare, la quale non produce l'effetto dell'estinzione del processo, ma, rivelando il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente a proseguire il giudizio, in specie quando la controparte non si sia neppure costituita, è idonea a determinare la declaratoria di cessazione della materia del contendere (

Cass. civ.,

sez. lav., 15 gennaio 2014

n. 693

;

Cass. civ.,

sez. II, 11 ottobre 2013

n. 23161

).

La rilevanza attribuita dalla stessa giurisprudenza di legittimità al sopravvenuto riconoscimento del diritto è, invece, diversa a seconda che a tale atto dispositivo consegua o meno l'integrale soddisfacimento dell'interesse della parte (

Cass. civ.,

sez. lav., 26 marzo 1998

n. 3217

; Cass. civ., sez. trib., 01 febbraio 2005 n. 1962;

Cass. civ.,

sez. II, 28 maggio 2013

n. 13217

).

Le conseguenze: la sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere

Sulla natura della sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere si sono registrate soluzioni contrastanti sia in giurisprudenza, che in dottrina.

Secondo un risalente e minoritario orientamento, la pronuncia in esame va nettamente distinta dalla dichiarazione di estinzione per rinuncia agli atti del giudizio e costituisce una sentenza di merito idonea a fondare un'exceptio rei iudicatae (Cass. civ., sez. lav., n. 2161/1997; Cass. civ., sez. lav., n. 5242/1998; Cass.,sez. lav., n. 5254/1998; v. anche

Cass. civ., sez. U.

,

25 luglio 1994

n. 6938

).

L'indirizzo affermatosi in seguito alla pronuncia a

Sezioni Unite

della Suprema Corte (Cass. civ., sez. U., 28 settembre 2000 n.

1048

, che ha aderito alla ricostruzione proposta da

Cass. civ., n. 1614/

19

94

; Cass. civ., sez. I, 18 luglio 1997 n. 6626;

Cass. civ.,

sez. lav.,

n.

4583/

19

98

) si fonda, invece, sull'assunto per il quale la sentenza dichiarativa di cessazione della materia del contendere prende atto della sopravvenuta carenza di interesse ad agire per l'intervento di un fatto nuovo e incontroverso tra le parti, che fa venir meno la necessità di una decisione sul merito e richiede, pertanto, una pronuncia in rito. La natura processuale si deduce dal fatto che essa attiene unicamente alle vicende dell'interesse ad agire e, quindi, ai presupposti processuali che condizionano la possibilità della deliberazione di merito sulla fondatezza dell'azione.

Tale impostazione è costantemente affermata dalla Suprema Corte (

Cass. civ.,

sez. III, 31 agosto 2015

n. 17312

;

Cass. civ.,

sez. III, 24 febbraio 2015

n. 3598

;

Cass. civ.,

sez. Lav, 25 marzo 2010

n. 7185

; Cass. civ., sez. III, 26 maggio n. 10960;

Cass. civ.,

sez. Lav., 25 marzo 2010

n. 7185

;

Cass. civ.,

sez. III, 4 giugno 2009

n. 12887

).

Vanno, infine, segnalate alcune sentenze che istituiscono un'equiparazione tra le pronunce in questione e quelle di estinzione del giudizio per rinuncia agli atti, ai fini della cancellazione della trascrizione della domanda (Cass. civ., ord., n. 304/1997), o parlano di estinzione del processo come conseguenza della cessazione della materia del contendere (

Cass. civ.,

n. 1001/

19

89

; Cass. n. 674/1984) o ritengono la questione relativa alla cessazione della materia del contendere pregiudiziale rispetto a quella dell'estinzione del procedimento per rinuncia al ricorso per cassazione, anche se, invece, assorbita dalla inammissibilità del ricorso per difetto o tardività della sua notificazione (Cass. civ., n. 5137/1983).

In evidenza

Secondo l'orientamento ermeneutico prevalente anche la sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere passa in giudicato, ma il giudicato si forma solo in ordine alla stessa sopravvenuta mancanza di interesse, con la conseguenza che la parte attrice non può nuovamente adire il giudice allegando viceversa la sussistenza di tale interesse. Si verifica, cioè, una preclusione del tutto analoga a quella che si determina nel caso di accertamento dell'insussistenza originaria dell'interesse ad agire, e in entrambi i casi l'originario attore può dedurre un fatto nuovo, modificativo della situazione giuridica dedotta, che abbia fatto insorgere (o risorgere) l'interesse ad agire.

Le spese

Costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio secondo il quale venuta meno la materia del contendere, ma persistendo tra le parti contrasto in ordine all'onere delle spese processuali, il giudice del merito deve decidere secondo il principio della soccombenza virtuale, previ gli accertamenti necessari (Cass. civ., n. 1710/1971; Cass. civ., n. 653/1982;

Cass. civ.,

n. 46/1990

;

Cass. civ.,

n. 4278/1995

;

Cass. civ.,

n. 2332/1998

;

Cass. civ.,

n. 7687/2000

;

Cass. civ., sez. U.

, n. 368/2000

;

Cass. civ.,

n. 489/2000

;

Cass. civ.,

sez. III, 29 settembre 2006

n.

21244

;

Cass. civ.,

sez. VI, 11 febbraio 2015

n. 2719

;

Cass. civ.,

sez. III, 31 agosto 2015

n. 17312

).

In evidenza

Non è richiesta apposita istruzione della causa essendo, per contro, sufficiente, ai fini della valutazione ai fini dell'apprezzamento delle probabilità normali di accoglimento della domanda, un accertamento basato su considerazioni di verosimiglianza, ovvero su apposita indagine sommaria, volta alla delibazione del merito (Cass. civ., n. 4889/1981).

La teoria della soccombenza virtuale è stata sottoposta a critica dai sostenitori della teoria della causalità, secondo la quale la regolazione delle spese processuali non è condizionata solo alla vittoria della lite, ma al rapporto causale tra il ricorso all'autorità giudiziaria e l'affermazione del diritto, così che le spese vanno poste a carico di chi con il suo comportamento difforme rispetto al diritto sostanziale ha dato causa al processo (

Cass. civ.,

sez. III, 27 novembre 2006

n. 25141

).

Cessazione della materia del contendere e impugnazioni

La sentenza con la quale sia stata erroneamente dichiarata la cessazione della materia del contendere o sia stata erroneamente denegata detta pronuncia, pur ricorrendone i presupposti, può essere impugnata. In tal caso il giudice del gravame dichiara la cessazione della materia del contendere e, stante, la natura sostitutiva della sentenza d'appello, la pronuncia di primo grado che abbia eventualmente statuito nel merito deve ritenersi assorbita in quella di secondo grado dichiarativa della sopravvenuta carenza di interesse ad agire.

Nel processo di appello sussiste, di norma, la possibilità di far valere i fatti generatori della cessazione della materia del contendere, anche laddove questi ultimi si siano verificati nel corso del giudizio di secondo grado, non ostandovi il divieto dei nova in appello di cui all'

art. 345 c.p.c.

. In tal caso le parti possono rinunciare non solo all'impugnazione, ma anche alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze (Cass. civ., n. 130/1971; Cass. civ., sez. trib., 2 aprile 2003 n. 5026).

Nel giudizio di legittimità, nonostante i ristretti margini posti dall'

art. 372 c.p.c.

in materia di produzioni documentali e il carattere tipico degli esiti del giudizio di cassazione, la giurisprudenza di legittimità ammette tanto la possibilità di documentare la sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione, quanto la possibilità di dedurre il fatto sopravvenuto generatore della cessazione della materia del contendere (

Cass. civ., sez. trib., 13 febbraio 2015

n. 2934

;

Cass. civ.,

sez. I, 30 gennaio 2013

n. 2195

;

Cass. civ.,

sez. lav.,

13 luglio 2009

n. 16341

;

Cass. civ.,

sez. III, 18 febbraio 2000

n. 1854

;

Cass. civ.,

sez. lav., 28 dicembre 1999

n. 14634

).

Dal rilievo della sopravvenuta carenza di interesse al ricorso per cassazione consegue la rimozione, pur senza entrare nel merito, delle sentenze già pronunciate nel corso del giudizio, e precisamente la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, che implica la caducazione di tutte le sentenze di merito (

Cass.

civ.

, sez. U.

,

4 agosto 2010

n. 18047

; Cass. civ., sez. trib., 23 settembre 2011 n. 19533; Cass. civ., sez. trib., 25 luglio 2012 n. 13109).