Estinzione del processo di impugnazione

Sergio Matteini Chiari
09 Marzo 2020

L'estinzione del processo è il fenomeno per cui la conclusione del medesimo avviene prima della scadenza naturale, in ragione del sopravvenire di condotte delle parti. Nelle fasi di impugnazione, il fenomeno assume particolari caratteri.

Inquadramento

L'estinzione del processo è il fenomeno per cui la conclusione del medesimo avviene prima della scadenza naturale, in ragione del sopravvenire di condotte delle parti.

Nelle fasi di impugnazione, il fenomeno assume particolari caratteri.

L'estinzione può avvenire sia per rinuncia agli atti ad opera della parte che ha promosso il gravame oppure per l'inerzia (mancata comparizione alle udienze o mancata riassunzione della causa) delle parti in causa.

Rinvio

Sul tema dell'estinzione del processo in genere, si fa rinvio alla R. Giordano, Estinzione del processo, in www.ilProcessocivile.it.

Rinuncia all'appello. Legittimazione, forme ed effetti. Disciplina del codice di rito

L'ordinamento processuale vigente non prevede un'espressa disciplina della rinuncia agli atti nel giudizio di impugnazione.

L'art. 338 c.p.c. si limita a disporre che l'estinzione del procedimento di appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con «provvedimenti» pronunciati nel procedimento estinto.

Ciò stante, anche con riguardo al giudizio di appello, deve farsi ricorso all'art. 306, sulla base del generale rinvio di cui all'art. 359 c.p.c. (v., in motivazione, Cass. civ., sez. VI, ord. 9 ottobre 2017, n. 23520).

Peraltro, nel giudizio di appello, la rinuncia all'impugnazione da parte dell'appellante equivale a rinuncia all'azione e pertanto non necessita, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, di forme particolari né di accettazione da parte dell'appellato (Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2004, n. 18255; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2011, n. 23749; Cass. civ., sez. VI, ord. 6 marzo 2018, n. 5250).

La rinuncia deve provenire dal soggetto che ha proposto il gravame.

Nei casi di litisconsorzio necessario, attesa l'unitarietà del diritto sostanziale oggetto del giudizio, la rinuncia, per sortire effetti, deve essere manifestata da tutti i litisconsorti costituiti.

Viceversa, nei casi in cui ricorra l'ipotesi del litisconsorzio facoltativo (è incontroverso che i litisconsorti possano appellare con un unico atto di gravame la sentenza di primo grado), la rinuncia dichiarata da uno soltanto dei litisconsorti esplica l'effetto estintivo unicamente per la causa (scindibile dalle altre connesse e riunite) di cui è parte.

È consolidato, in giurisprudenza, il pensiero secondo cui la previsione che l'estinzione del procedimento di appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con «provvedimenti» pronunciati nel procedimento estinto, deve essere letta siccome facente riferimento esclusivo ad atti - le sentenze non definitive, processuali o di merito, pronunciate in appello - di carattere non meramente ordinatorio che abbiano inciso sulle statuizioni della sentenza di primo grado, operandone una sostituzione oppure una parziale modificazione (Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 2006, n. 24027; Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2016, n. 9611).

Incidentalmente, va rammentato che è stato ripetutamente statuito che l'efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito, preclusiva del potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia, va riconosciuta soltanto ad un atto che possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto estesa alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2017, n. 6845, ove, in un caso in cui era intervenuta una transazione in appello, con la quale una curatela fallimentare si era impegnata a non avvalersi degli effetti di una sentenza di primo grado che aveva accertato la simulazione di un contratto di compravendita di un appartamento che si assumeva essere di proprietà del fallito, è stato ritenuto che quest'ultimo, tornato in bonis, non potesse giovarsi del giudicato formatosi sulla sentenza perché ciò gli era precluso dalla rinuncia formulata dalla curatela; v., nello stesso senso, per una diversa fattispecie, Cass. civ., sez. V, 2 aprile 2003, n. 5025).

È, del pari, incontroverso che il termine di prescrizione dell'actio iudicati decorre non già dal momento in cui è intervenuto l'evento estintivo, ma dalla declaratoria di estinzione del processo, vale a dire da quando si dà luogo all'effetto estintivo, in quanto il combinato disposto degli artt. 2945 c.c. e 338 c.p.c., letto alla luce del principio di ragionevolezza nonché del principio del contraddittorio, impone che il dies a quo debba coincidere con la pronuncia che ha reso le parti partecipi dello stesso evento (Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 2005, n. 19639; Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 2013, n. 23156).

La rinuncia al gravame estingue l'azione e determina la cessazione della materia del contendere. La norma (art. 338) costituisce un'applicazione del principio di consumazione dell'impugnazione.

L'estinzione del giudizio deve essere dichiarata con ordinanza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 306, comma 3, e 308 c.p.c.

Segue. Rinuncia all'appello. Effetti. Spese

La rinuncia all'appello, avendo l'efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante.

La liquidazione delle spese processuali nel procedimento di appello deve essere effettuata tenendo conto dell'esito complessivo del giudizio, e non già separando l'esito del giudizio di impugnazione dai risultati totali della lite.

È stata, ad es., cassata la sentenza impugnata che aveva condannato il rinunciante a pagare le spese del secondo grado, dichiarando invece compensate tra le parti le spese del primo grado (Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2004, n. 18255).

Più in genere, è stato affermato che nei casi di rinuncia all'appello deve ritenersi applicabile la regola di cui all'art. 306, 4° comma, secondo cui il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, con esclusione di qualunque potere del giudice di totale o parziale compensazione (Cass. civ., sez. VI, ord. 6 marzo 2018, n. 5250).

È stato, peraltro, precisato che nessuna statuizione in ordine alle spese è possibile emettere nei casi in cui la rinuncia all'impugnazione sia intervenuta prima della costituzione in giudizio delle altre parti (Cass. civ., sez. VI, ord. 9 ottobre 2017, n. 23520).

Segue. Rinuncia alla revocazione

Il disposto dell'art. 338 c.p.c. è applicabile sia al caso dell'appello, sia ai casi della revocazione di cui all'art. 395, n. 4 c.p.c. (ipotesi di sentenza effetto di un errore di fatto) e n. 5 (ipotesi di sentenza contraria ad altra precedente avente autorità di giudicato tra le parti).

Anche in tali casi, pertanto, la rinuncia all'impugnazione fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti nel procedimento estinto.

È stato affermato che la disposizione dell'art. 338, laddove il procedimento di revocazione si estingua, esplica i propri effetti soltanto se non sia stato proposto avverso la stessa sentenza ricorso per cassazione, atteso che, in presenza di una duplicità di impugnazioni, come prevista dall'art. 398, comma 4, c.p.c. il giudizio di legittimità sarà suscettibile di essere condizionato solo da una decisione di merito, passata in giudicato, presa nel contemporaneo procedimento di revocazione. Ne consegue che la mera dichiarazione di estinzione del processo di revocazione, essendo priva di effetti decisori del merito ed esaurendosi in una consumazione della facultas impugnandi, non può produrre lo stabilizzarsi della sentenza d'appello ancora soggetta al sindacato di legittimità (Cass. civ., sez. II, 19 luglio 2012, n. 12495).

Segue. Impugnazione dell'ordinanza che dichiara l'estinzione

Avverso l'ordinanza che dichiara l'estinzione del processo è ammesso il reclamo al collegio, se emessa dal giudice istruttore, e l'appello, se pronunciata dal collegio; in nessun caso tali provvedimenti sono soggetti a ricorso per cassazione, che, se proposto, deve essere dichiarato inammissibile, né vi è soggetta l'ordinanza, qualificata non impugnabile, emessa dal collegio in caso di accoglimento del reclamo (Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2015, n. 17522; Cass. civ., sez. lav., 12 febbraio 2016, n. 2837; Cass. civ., sez. VI, ord. 9 aprile 2019, n. 9930).

Del pari, deve essere proposto appello avverso la sentenza pronunciata ex art. 308, 2° comma, reiettiva di reclamo proposto avverso declaratoria di estinzione del processo pronunciata dal giudice istruttore.

La relativa procedura è retta dal rito camerale dal momento della proposizione dell'impugnazione, che deve essere, quindi, introdotta con ricorso, restando, tuttavia, suscettibile di sanatoria anche quando proposta con citazione a condizione che, nel termine previsto dalla legge, l'atto sia stato, non solo notificato alla controparte, ma anche depositato nella cancelleria del giudice (Cass. civ., sez. un., 8 ottobre 2013, n. 22848).

Qualora il provvedimento di estinzione del giudizio venga adottato dal tribunale in composizione monocratica in sede di appello, lo stesso ha il contenuto sostanziale di sentenza anche quando abbia assunto la forma di ordinanza e, pertanto, non essendo soggetto a reclamo, è impugnabile con ricorso per cassazione (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 8002; Cass. civ., sez. VI, ord. 23 marzo 2017, n. 7614).

Rinuncia al ricorso per cassazione

Ai sensi dell'art. 390, la parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale. La manifestazione della volontà abdicativa può effettuarsi sino a che non sia cominciata la relazione all'udienza, quindi anche direttamente in udienza, oppure sino alla data dell'adunanza camerale, oppure fino a che non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all'articolo 380-ter.

Quanto alla forma, la rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche soltanto da quest'ultimo laddove sia di mandato speciale a tale effetto.

Per il perfezionamento della rinuncia, occorre che la stessa sia notificata alla controparte o comunicata all'avvocato della medesima. Il perfezionamento può, peraltro, avvenire anche nel caso in cui la controparte ne abbia comunque avuto conoscenza (Cass. civ. sez. I, ord. 29 luglio 2014, n. 17187).

Segue. Provvedimenti sulla rinuncia nel giudizio di cassazione

La materia è regolata dall'art. 391, ove si dispone che la Corte, sia sulla rinuncia sia sui casi di estinzione del processo disposta per legge provvede con ordinanza in camera di consiglio, salvo che debba decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento fissati per la pubblica udienza.

Qualora non sia stata ancora fissata la data della decisione, provvede il presidente, con decreto.

Il decreto, l'ordinanza (che è la forma ordinaria da adottare ove la S.C. non debba decidere su altri ricorsi contro lo stesso provvedimento – v. Cass. civ., Sez. Un., ord. 2 agosto 2017, n. 19169) o la sentenza che dichiara l'estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese.

La condanna non è pronunciata se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale.

Va ricordato che, ai sensi del 3° comma della disposizione citata, il decreto ha efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione dell'udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.

Ad avviso del giudice di legittimità, tale decreto, non può formare oggetto di revocazione o di correzione di errore materiale, essendo detti rimedi previsti per le sentenze e le ordinanze pronunciate dalla S.C., ai sensi dell'art. 375, comma 1 nn. 4) e 5), c.p.c. come previsto dall'art. 319-bis c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2013, n. 14858; Cass. civ., sez. VI, ord. 6 aprile 2016, n. 6607).

Avverso il decreto è prevista unicamente un'istanza di fissazione di udienza collegiale per la trattazione del ricorso, da depositarsi nel termine - da ritenersi perentorio, salva la generale possibilità di rimessione in termini - di dieci giorni dalla sua comunicazione, indipendentemente dal fatto che esso rechi o meno una pronuncia sulle spese (Cass. civ., sez. V, 7 agosto 2015, n. 16625).

Segue. Estinzione del processo disposta per legge

L'art. 391, comma 1, c.p.c. alludendo ai «casi di estinzione del processo disposta per legge», si riferisce sia alle ipotesi in cui l'estinzione del processo è disposta direttamente dalla legge, senza necessità di comportamenti diretti ad integrare la fattispecie estintiva, sia a quelle in cui tali comportamenti siano necessari poiché l'effetto estintivo è previsto dalla norma in ragione del verificarsi all'esterno del processo di cassazione di determinati fatti che poi devono essere rappresentati e fatti constare, mediante deposito di documenti idonei a dimostrarne l'esistenza, preceduto dalla notificazione del relativo elenco alle parti costituite ex art. 372, 2° comma (Cass. civ., Sez. Un., 23 settembre 2014, n. 19980, riferita ad una vicenda di condono fiscale).

Ne consegue che, ricorrendone i presupposti di legge e salvo che si debba necessariamente pronunciare sentenza ovvero ordinanza camerale ai sensi degli artt. 375, n. 3, e 380-bisc.p.c., in entrambi i casi è possibile procedere alla dichiarazione di estinzione con decreto (Cass. civ., Sez. Un., 23 settembre 2014, n. 19980).

Segue. Effetti dell'atto di rinuncia al ricorso per cassazione

i) L'atto di rinuncia al ricorso per cassazione, non essendo disciplinato dall'art. 306 c.p.c., non richiedendo cioè l'accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali, determina l'estinzione del giudizio anche in assenza di accettazione (che rileva soltanto ai fini delle spese – v. Cass. civ. sez. I, ord. 29 luglio 2014, n. 17187).

ii) L'atto in questione non è, peraltro, idoneo, trattandosi di atto unilaterale ricettizio, a produrre l'effetto tipico dell'estinzione del processo qualora non rispetti i requisiti di cui all'art. 390, ult. comma, c.p.c. vale a dire non venga notificato alle controparti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse per l'apposizione del visto; tuttavia, denotando il definitivo venir meno di ogni interesse alla decisione, comporta l'inammissibilità del ricorso ed il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (Cass. civ., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876; Cass. civ., sez. VI, ord. 7 giugno 2018, n. 14782; Cass. civ., sez. V, 19 aprile 2019, n. 11033; Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13923), salvo che la controparte manifesti la volontà di ottenere, comunque, la pronuncia sull'oggetto del contendere (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 2259). Si veda anche Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2016, n. 12743, secondo cui, una volta intervenuta la rinuncia, ed essendosi determinata l'inammissibilità sopravvenuta del ricorso, deve escludersene la reviviscenza ove la parte, con successiva memoria ex art. 378, sia tornata ad insistere per l'accoglimento dell'impugnazione.

iii) È stato anche precisato che, in tema di procedimento in camera di consiglio ex art. 380-bisc.p.c., ove la parte che ha proposto ricorso per cassazione vi rinunci, nel rispetto dei termini e delle modalità previste dall'art. 390, a tale manifestazione di volontà deve sempre seguire la declaratoria di estinzione del giudizio, quand'anche consti una causa di inammissibilità dell'impugnazione; ciò in considerazione del fatto che qualunque valutazione sul ricorso presuppone che esso sia in atto e che ciò è escluso dalla rinuncia ad esso. In altri termini, la pronuncia di estinzione del giudizio è pregiudiziale rispetto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso (Cass. civ., sez. VI, ord. 12 dicembre 2018, n. 32068; Cass. civ., sez. VI, 13 dicembre 2018, n. 32368; si veda anche Cass. civ., sez. VI, ord. 30 marzo 2015, n. 6418, secondo cui, qualora sussista una causa di inammissibilità dell'impugnazione che sia stata evidenziata dal relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., il termine utile per rinunciare al ricorso va individuato nel momento in cui è precluso alle parti l'esercizio di un'ulteriore attività processuale e non in quello, antecedente, della notifica agli avvocati della relazione depositata dal consigliere relatore nominato ai sensi dell'art. 377 c.p.c.).

iv) È stato, altresì, precisato che la dichiarazione di rinuncia al ricorso per cassazione, non sottoscritta dalla parte di persona ma dal solo difensore, senza tuttavia che questi risulti munito di mandato speciale a rinunziare, mancando dei requisiti previsti dall'art. 390, comma 2, c.p.c. non produce l'effetto dell'estinzione del processo, ma, rivelando il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente a proseguire il giudizio, in specie quando la controparte non si sia neppure costituita, è idonea a determinare la declaratoria di cessazione della materia del contendere (Cass. civ., sez. VI, ord. 27 luglio 2018, n. 19907).

v) La rinuncia al ricorso per cassazione, determinando l'estinzione del processo analogamente a quanto previsto dall'art. 338 c.p.c. per l'appello e la revocazione ai sensi dell'art. 395 nn. 4) e 5) c.p.c., comporta, normalmente, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, salvo il caso in cui la stessa sia stata modificata nei suoi effetti nel corso del procedimento di impugnazione, attraverso atti adottati e con provvedimenti intervenuti al suo interno, da identificarsi esclusivamente nelle sentenze non definitive, di rito o di merito (Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2016, n. 9611).

Segue. Pronuncia sulle spese di lite

Quanto alle spese ordinarie, il decreto, l'ordinanza o la sentenza che dichiara l'estinzione può contenere condanna della parte che vi ha dato causa alle spese.

E' stato affermato che alla dichiarazione di estinzione del giudizio di legittimità, pronunciata a seguito di rituale rinuncia della parte ricorrente, non può conseguire la condanna ex art. 96, tenuto conto che la responsabilità aggravata, in tutte le sue ipotesi, involge una peculiare ed approfondita valutazione della complessiva condotta della parte a cui carico è richiesta, prevalendo l'immediatezza del rilievo estintivo della rinuncia anche sulle altre valutazioni pregiudiziali e preliminari in rito, quali l'inammissibilità o l'improcedibilità (Cass. civ., sez. VI, ord. 17 dicembre 2018, n. 32584).

Effetti della dichiarazione di estinzione comuni in materia di impugnazioni

È stato affermato che, in materia di impugnazioni, la declaratoria di estinzione del giudizio esclude l'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, relativo all'obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo unificato già versato all'atto della proposizione dell'impugnazione (Cass. civ., sez. VI, ord. 30 settembre 2015, n. 19560; Cass. civ., sez. V, ord. 12 ottobre 2018, n. 25485).

Estinzione del processo per inattività delle parti

Il processo di appello si estingue anche nei casi in cui, dopo la costituzione in giudizio delle parti, il giudice abbia ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.

Ai sensi dell'art. 309 c.p.c., nei casi di mancata comparizione delle parti all'udienza fissata, il giudice, applicando il disposto dell'art. 181 c.p.c., deve provvedere a fissare nuova udienza, di cui deve essere data comunicazione alle parti costituite a cura della cancelleria e, qualora le parti non compaiano anche in tale nuova udienza, deve ordinare che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiarare l'estinzione del processo.

L'estinzione si caratterizza, in tali casi, quale sanzione dell'inattività delle parti.

La disposizione citata non è applicabile in sede di giudizio di cassazione, ove è possibile rinuncia al ricorso ma non un'estinzione per inattività delle parti, giacché il giudizio di legittimità, una volta depositato il ricorso, procede ex officio.

Per quanto inerente all'appello, sono previste, con riguardo a casi di inattività delle parti diversi da quello appena sopra esaminato, differenti sanzioni, quella dell'improcedibilità nei casi descritti dal 1° e dal 2° comma dell'art. 348 c.p.c. (mancata costituzione dell'appellante nei termini; mancata comparizione dell'appellante, costituito, in prima udienza e nella successiva udienza di comparizione fissata dal collegio) oppure quella dell'inammissibilità (mancato adempimento nei termini all'ordine di integrazione del contraddittorio dato ai sensi dell'art. 331 c.p.c.).

La disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di rito, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialità del rito, né i principi cui esso si ispira. Ne consegue che ove l'inattività si verifichi nell'udienza di cui all'art. 437 c.p.c., ai sensi degli artt. 181 (richiamato nel giudizio di secondo grado dall'art. 359) e 348 c.p.c., deve escludersi l'immediata decisione della causa in quanto la mancata comparizione di entrambe la parti (ritualmente convocate) sia all'udienza di discussione, sia alla successiva udienza di rinvio, determina la cancellazione della causa dal ruolo, e all'assenza dell'appellante alla prima udienza, ed a quella successiva di rinvio, ritualmente comunicatagli, consegue la dichiarazione di improcedibilità dell'impugnazione (Cass. civ., sez. lav., 9 marzo 2009, n. 5643; Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2011, n. 5238; Cass. civ., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2816).

Estinzione per mancata o tardiva riassunzione del processo

i) Laddove il processo sia stato interrotto o sospeso e si intenda darvi prosecuzione, deve provvedersi a riassumerlo con le modalità ed entro i termini previsti dal codice di rito, pena la sua estinzione, che opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza successiva alla riassunzione - o comunque anche successivamente in fase di impugnazione - ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, comportando, in sede di legittimità, la cassazione del provvedimento impugnato senza rinvio perché il processo non poteva essere proseguito (Cass. civ., sez. II, 9 maggio 2018, n. 11144).

ii) Con riferimento a tutti i casi di interruzione, l'art. 305 dispone che il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue.

La disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione, anche nei casi regolati dall'art. 301c.p.c. (Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 139), nonché nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell'art. 299 c.p.c. o ai sensi dell'art. 300 c.p.c. decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza (Corte cost. 6 luglio 1971, n. 159).

E' consolidato l'orientamento secondo cui la riassunzione del processo si perfeziona nel momento del tempestivo deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di fissazione dell'udienza (editio actionis), senza che rilevi la successiva notifica del ricorso e dell'unito decreto, atta invece alla realizzazione del contraddittorio, nel rispetto delle regole proprie della vocatio in ius, sicché, ove essa non sia stata correttamente compiuta, il giudice è tenuto ad ordinarne la rinnovazione, con fissazione di nuovo termine (in applicazione analogica dell'art. 291 c.p.c.) entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà, se del caso, l'estinzione del giudizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 291, comma 3, e 307,comma 3 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2016, n. 2174; Cass. civ., sez. III, ord. 20 aprile 2018, n. 9819; Cass. civ., sez. I, 11 marzo 2019, n. 6921).

iii) Con riguardo ai casi di sospensione dispone l'art. 297 c.p.c.: Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 c.p.p. o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all'art. 295c.p.c. (con sentenza 4 marzo 1970, n. 34, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 297c.p.c. nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione anziché dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso).

In tutti i casi indicati, l'istanza di prosecuzione deve essere proposta con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale e il ricorso, unitamente al decreto che fissa l'udienza, deve essere notificato a cura dell'istante alle altre parti nel termine stabilito dal giudice.

Termini diversi da quelli indicati dall'art. 297 c.p.c. sono previsti in alcuni casi particolari di sospensione

Nel caso di sospensione disposta a richiesta delle parti (art. 296 c.p.c.), l'istanza per la prosecuzione va proposta dieci giorni prima della scadenza del termine di sospensione.

Ai sensi dell'art. 50 c.p.c., la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente in esito alla procedura di regolamento di competenza deve avvenire nel termine fissato nell'ordinanza che ha definito tale procedura o, in mancanza, entro tre mesi dalla comunicazione della stessa.

Ai sensi dell'art. 54 c.p.c., la riassunzione della causa in esito alla trattazione del ricorso per la ricusazione del giudice deve essere effettuata entro il termine di sei mesi dalla comunicazione dell'ordinanza decisoria. Non è stata ritenuta equipollente alla riassunzione la proposizione di un ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione, in ragione della diversa finalità di tale strumento impugnatorio rispetto a quella di riattivare il giudizio (Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2017, n. 24007).

iv) In caso di rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado, per l'integrazione del contraddittorio, il termine per la riassunzione del processo decorre, ancorché sia stato diversamente disposto dal giudice, dalla notificazione della sentenza, come disposto dall'art. 353 c.p.c., richiamato dal successivo art. 354 c.p.c., poiché la notificazione è un atto formale che non ammette equipollenti, quali la comunicazione della sentenza stessa, né il giudice può abbreviare i termini perentori fissati dalla legge, in violazione dell'art. 153 c.p.c. In ogni caso la parte onerata della riassunzione deve provvedervi comunque entro il termine generale di cui all'art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza, a pena di estinzione del processo, non essendo ipotizzabile che la riassunzione possa avvenire senza prefissati limiti temporali e dovendo coordinarsi l'onere di riassunzione in modo che il termine per provvedervi non scada prima del termine per il ricorso per cassazione, il quale ha un effetto interruttivo sul predetto onere (Cass. civ., sez. VI, ord. 6 aprile 2016, n. 6622).

Segue. Rito del lavoro. Eccezione di estinzione per tardiva riassunzione

Nel rito del lavoro, l'eccezione di estinzione del processo per tardiva riassunzione davanti al giudice di rinvio va proposta in sede di costituzione prima dell'udienza di discussione ex art. 416 c.p.c., dovendosi interpretare la locuzione «prima di ogni difesa» conformemente alla ratio di garantire il tempestivo e ordinato svolgimento del giudizio, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 2015, n. 4979).

Segue. Giudizio di rinvio

Ai sensi dell'art. 393 c.p.c.,se la riassunzione innanzi al giudice del rinvio non avviene entro il termine di cui all'art. 392 c.p.c., o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, si estingue non soltanto quest'ultimo, ma l'intero processo, con caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, salvo, ovviamente quelle già passate in giudicato perché non impugnate (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2012, n. 1680; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6188; Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21469). La sentenza della Corte Suprema (rectius: il principio di diritto) conserva, peraltro, il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda (Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6188; Cass. civ., sez. I, 19 giugno 2014, n. 13974).

Nel processo instaurato con la riproposizione della domanda, non è precluso alle parti formulare domande ed eccezioni nuove rispetto a quelle del giudizio estinto, giacché non opera la preclusione, stabilita invece dall'art. 394, comma 3, c.p.c. con riguardo al procedimento in sede di rinvio, di prendere conclusioni diverse da quelle prese nel processo in cui fu pronunciata la sentenza cassata (Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2012, n. 14723; Cass. civ., sez. lav., 23 ottobre 2015, n. 22544).

Qualora ricorra ipotesi di litisconsorzio necessario ed il giudizio, dopo la cassazione con rinvio della sentenza di merito, sia stato tempestivamente riassunto nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti, non si verifica l'estinzione del processo, essendo dovere del giudice ordinare l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 102 c.p.c.; l'estinzione potrà essere dichiarata soltanto ove tale ordine non venga tempestivamente eseguito (Cass. civ., sez. III, 19 marzo 2012, n. 4370).

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