10 Aprile 2018

La rinuncia agli atti del giudizio, nelle forme e secondo le modalità disciplinate dall'art. 306 c.p.c., comporta il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul merito della domanda, con conseguente dichiarazione dell'estinzione del processo.
Inquadramento

La rinuncia agli atti del giudizio, nelle forme e secondo le modalità disciplinate dall'art. 306 c.p.c., comporta il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunciarsi sul merito della domanda, con conseguente dichiarazione dell'estinzione del processo.

Tuttavia, la rinuncia agli atti ha il limitato effetto di porre fine per iniziativa dello stesso attore ad un processo già in corso, come espressamente previsto dall'art. 310 c.p.c., senza rinuncia, peraltro, anche all'azione ovvero, a maggior ragione, al diritto, del quale, pertanto, potrà nuovamente richiedere tutela in sede giurisdizionale, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (i.e. prescrizione e decadenza).

Proprio in ragione degli evidenziati, limitati effetti, della rinuncia agli atti del giudizio quanto alla possibilità per il rinunciante di riproporre nuovamente la domanda, il primo comma dell'art. 306 c.p.c. prevede che la rinuncia debba essere accettata dalle altre parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del processo.

Se, invece, l'attore rinuncia all'azione (e non, quindi, al solo procedimento in corso), poiché questa ha effetti del tutto analoghi al rigetto della pretesa nel merito non è necessaria alcuna accettazione da parte del convenuto per la produzione dell'effetto estintivo del processo (v., tra le tante, Cass. civ., 10 settembre 2004, n. 18255).

Legittimazione attiva

La rinuncia agli atti del giudizio deve provenire dal soggetto che riveste la qualità di attore nella fase processuale alla quale la stessa si riferisce.

Nell'ipotesi di litisconsorzio necessario l'unitarietà del diritto sostanziale oggetto del giudizio comporta, tuttavia, che la rinuncia debba provenire da parte di tutti i litisconsorti costituiti.

Diversamente, nell'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, sia proprio che improprio, la natura meramente connessa dei giudizi di ciascuno dei litisconsorti che restano in astratto separabili comporta che la rinuncia possa essere compiuta soltanto da uno o più dei litisconsorti con conseguente estinzione del procedimento limitatamente a taluno dei rapporti in contestazione per il caso di accettazione (sul punto cfr. Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24546, in Foro it., 2010, I, 1838).

Accettazione della rinuncia

Come già evidenziato, in virtù dei limitati effetti sul processo in corso, con salvezza dell'azione, dell'estinzione del processo per rinuncia agli atti, la stessa deve essere accettata dalle «parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione» del giudizio, ossia, in sostanza, di quelle parti che, in base alla natura delle difese dedotte in causa, abbiano un interesse giuridicamente rilevante alla definizione del processo nel merito, nell'obiettivo di una decisione di rigetto della domanda dell'attore, idonea al giudicato sostanziale.

Sulla scorta della formulazione letterale del primo comma dell'art. 306 c.p.c. che fa riferimento alle “parti costituite” può in primo luogo escludersi la necessità di accettazione del convenuto rimasto contumace dell'avversa rinuncia agli atti del giudizio.

Inoltre, con riferimento alle parti costituite, la richiamata disposizione normativa chiarisce che la rinuncia agli atti del giudizio deve essere accettata esclusivamente da quelle che potrebbero avere interesse alla prosecuzione dello stesso.

Tale interesse, in particolare, deve essere valutato avendo riguardo al disposto dell'art. 100 c.p.c. secondo cui, per agire o resistere in giudizio è necessario avervi interesse, inteso, per il convenuto, quale interesse a contraddire che si sostanzia nell'utilità concreta che lo stesso potrebbe ottenere da una pronuncia sul merito della controversia.

Pertanto, non sussiste ad esempio interesse alla prosecuzione del giudizio in capo alla parte che si sia costituita nello stesso al solo fine di ottenere il rimborso delle spese processuali (Cass. civ., 11 ottobre 1999, n. 11384), né la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. (Cass. civ., 10 aprile 2003, n. 5676).

In concreto, deve ritenersi invece necessaria l'accettazione della rinuncia da parte del convenuto costituito il quale non si sia limitato a proporre mere difese o eccezioni di carattere processuale ma abbia anche proposto eccezioni di merito idonee a paralizzare l'avversa pretesa ovvero domande riconvenzionali (cfr. Cass. civ., 1° febbraio 1995, n. 1168).

Nell'ipotesi di processo soggettivamente cumulato occorre distinguere, ai fini della necessità dell'accettazione della rinuncia, la posizione dell'interventore volontario, autonomo o litisconsortile, da quella dell'interventore adesivo dipendente, essendo in particolare tale accettazione necessaria soltanto nella prima ipotesi nella quale l'interventore fa valere una posizione di vero e proprio diritto soggettivo. Invero, come è stato osservato, l'intervento adesivo dipendente, previsto dall'art. 105, comma 2, c.p.c., da luogo ad un giudizio unico con pluralità di parti nel quale la pronuncia che lo definisce non può che essere la stessa rispetto alla parte principale e all'interveniente, i poteri del quale sono limitati all'espletamento di un'attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni unicamente nell'ambito delle domande ed eccezioni proposte da detta parte; conseguentemente, se le parti del giudizio principale pongono termine al rapporto processuale, ovvero, per rinuncia od acquiescenza delle stesse, la lite cessa di esistere, l'interveniente non ha il potere di far proseguire il processo, né, per il caso di rinuncia, è necessaria la sua accettazione, non essendo configurabile un suo interesse alla prosecuzione del giudizio alla stregua della previsione dell'art. 306, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., 4 luglio 1994, n. 6309).

IN EVIDENZA

Ai fini della declaratoria di estinzione del processo monitorio per rinuncia agli atti del giudizio, ai sensi dell'articolo 306 c.p.c., l'accettazione da parte dell'ingiunto si rende necessaria solo quando questi abbia assunto la veste di parte costituita mediante opposizione, e non anche quando, pur essendo già pendente il rapporto processuale per l'intervenuta notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo, il contraddittorio sia soltanto eventuale, non essendo stata ancora esercitata la facoltà di proporre opposizione (Cass. civ., 7 gennaio 2016, n. 110).

Forma della rinuncia e dell'accettazione

Il secondocomma dell'art. 306 c.p.c. stabilisce che le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o dai loro procuratori speciali (non rientrando invero la rinuncia agli atti del giudizio tra i poteri ordinari del procuratore: Cass. civ., 5 luglio 1991, n. 7513), verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti (sulla questione v., di recente, Trib. Roma, sez. III, 5 giugno 2017, n. 11322).

La Corte di cassazione ha chiarito che affinché sia valida la rinuncia agli atti del giudizio, non è necessario che la sottoscrizione del rinunciante sia autenticata dal difensore, in quanto l'autentica non è imposta dall'art. 306 c.p.c., né può desumersene la necessità in via di interpretazione sistematica, posto che, per un verso, il difensore è sprovvisto di un potere certificatorio generale (potendo esercitare quello conferitogli dalla legge nelle sole ipotesi espressamente previste - artt. 83 e 390 c.p.c.) e, per altro verso, la certezza della riferibilità della dichiarazione di rinuncia al titolare della posizione sostanziale controversa può essere diversamente acquisita anche con atto scritto extraprocessuale (Cass. civ., 23 aprile 2002, n. 5905).

La notificazione della rinuncia alle altre parti può essere, in accordo con i principi generali, anche sostituita da forme equipollenti, come, ad esempio, l'accettazione apposta dalle controparti alla dichiarazione di rinuncia (Cass. civ., 17 agosto 1973, n. 2346).

Tuttavia, anche nel caso in cui la rinuncia agli atti del giudizio non sia formulata in udienza, l'atto che la contiene non deve essere notificato al convenuto contumace, ai sensi del comma secondo dell'art. 306 c.p.c., non essendo compresa la rinuncia tra gli atti elencati tassativamente nell'art. 292 c.p.c. (Cass. civ., 3 aprile 1995, n. 3905).

Sia la dichiarazione di rinuncia che l'accettazione alla stessa costituiscono actus legitimi che non tollerano riserve o condizioni. Pertanto la riserva o la condizione apposta alla rinuncia agli atti del giudizio rende inefficace la rinuncia medesima, dovendosi estendere a tale ipotesi il principio espressamente dettato dall'art. 306 c.p.c. per il caso di riserva o condizione all'accettazione della rinuncia (Cass. civ., 25 settembre 1998, n. 9636, in Giust. Civ., 1999, I, 2754).

Sotto altro profilo, va evidenziato che essendo la rinuncia agli atti del giudizio e l'accettazione della medesima atti processuali e non di negozi giuridici, gli stessi non possono essere annullati per vizi della volontà.

Statuizione sulle spese

L'art. 306, comma 4, c.p.c., stabilisce che «il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro» e che «la liquidazione delle spese è effettuata dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile».

Sulla scorta del dettato normativo in questione si è osservato, in sede di merito, che il quarto comma dell'art. 306 c.p.c. attribuisce al giudice non il potere – di carattere discrezionale - di “provvedere” sulle spese del giudizio (compensandole o ponendole a carico di una delle parti), ma solo quello di “liquidare” le spese, le quali, in mancanza di diverso accordo tra le parti, per legge gravano sul rinunciante (Trib. Bari, sez. I, 24 aprile 2008, n. 1040). La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306 c.p.c., a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, ha vocazione generale ed è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629 c.p.c., anche nel processo esecutivo (Cass. civ., 16 dicembre 2010, n. 25439).

La Corte di cassazione in ragione della sussistenza di un mero potere del giudice di liquidare, in caso di rinuncia, le spese del giudizio ma ponendo le stesse a carico del rinunciante in applicazione del quarto comma dell'art. 306 c.p.c., ha affermato che l'ordinanza con cui il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio e disponga la compensazione delle spese di lite anziché la mera liquidazione delle medesime, non limitandosi a prendere atto della rinuncia e dell'accettazione ma risolvendo la controversia sull'esistenza stessa dei presupposti dell'estinzione, ha valore di sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari, poiché trattasi di provvedimento assunto nel contrasto delle parti, il quale fuoriesce dal paradigma di cui all'art. 306 c.p.c., che presuppone la concorde accettazione della rinuncia (Cass. civ.,14 dicembre 2009, n. 26210; in senso diverso, in sede di merito, Trib. Torino, sez. III, 14 dicembre 2007, in Giur. Merito, 2008, n. 4, 1043, per la quale, in detta ipotesi, l'ordinanza è invece suscettibile di ricorso straordinario per cassazione).

Si è inoltre precisato che l'ordinanza con la quale il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio, previa esclusione della necessità di un'accettazione delle altre parti, per insussistenza di un loro interesse alla prosecuzione della causa, ha contenuto decisorio quanto alla sussistenza dei presupposti per l'estinzione: ne consegue che essa è impugnabile con l'appello, anche quando l'impugnazione investa soltanto le statuizioni sulle spese, mentre sfugge allo speciale regime di non impugnabilità previsto dall'art. 306, comma 4, c.p.c. per le ordinanze che si limitano a dichiarare l'estinzione del processo in assenza di contestazioni (Cass. civ., 3 luglio 2009, n. 15631).

Resta fermo che, nell'ipotesi di rinuncia agli atti del giudizio effettuata prima della costituzione della controparte, il provvedimento dichiarativo dell'estinzione non deve statuire sulle spese processuali, che, ai sensi dell'art. 306, comma 4, c.p.c., vanno poste a carico del rinunciante solo ove la controparte, già costituita, abbia accettato la rinuncia, senza che, peraltro, assuma rilevanza la costituzione in causa all'esclusivo fine di ottenere il rimborso delle spese, in quanto è necessario l'opponente alla rinuncia vanti un interesse giuridicamente rilevante, ossia che possa ottenere dalla decisione sul merito un'utilità maggiore rispetto a quella derivante dall'estinzione (Cass. civ., 9 ottobre 2017, n. 23620).

Trasferimento dell'azione civile in sede penale

L'art. 75, comma 1, c.p.p. equipara l'ipotesi di esercizio dell'azione civile in sede penale alla rinuncia agli atti del giudizio civile risarcitorio già in corso. In tale ipotesi, quindi, il trasferimento dell'azione civile nel processo penale produce di diritto, a norma dell'art. 75, comma 1, c.p.p., la rinuncia dell'attore al giudizio civile, sicché il giudice civile deve anche d'ufficio dichiarare l'estinzione del processo, senza che sia necessaria l'accettazione della parte, alla sola condizione che dagli atti risulti l'avvenuto trasferimento, una volta accertata l'identità delle due azioni alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni: personale, petitum, causa petendi (Cass. civ., 14 maggio 2003, n. 7396).

Tale peculiare disciplina è stata ritenuta legittima anche dalla Corte Costituzionale la quale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75 comma 1, c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 Cost., nella parte in cui non prevede, analogamente all'art. 306 comma primo c.p.c., che il trasferimento della azione civile nel processo penale avvenga solo se vi è l'accettazione delle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio, evidenziando che l'esigenza di consentire alla parte non rinunciante di ottenere una pronuncia che realizzi le proprie pretese - posta a base della regola sancita dall'art. 306 c.p.c. - viene ad essere necessariamente soddisfatta nell'ipotesi di trasferimento della azione civile della sede propria a quella penale, posto che in tale evenienza è la stessa azione a proseguire in altra sede, addirittura con possibilità difensive maggiori per l'imputato-convenuto (Corte cost., 23 maggio 2002, n. 211, in Cass. pen., 2002, 2741).

Nella recente giurisprudenza di merito, si è osservato che nel caso in cui, dopo aver incardinato una causa civile, l'attore trasferisca in sede penale l'azione civile ex art. 75 c.p.p., si determina l'estinzione del processo civile ipso facto per evidente rinuncia agli atti in quest'ultima sede ex art. 622 c.p.c., di talché è esclusa la reviviscenza del procedimento innanzi al giudice civile, anche nel caso di revoca della costituzione di parte civile in sede penale, atteso che il semplice deposito dinanzi al giudice civile dell'atto di revoca non può in alcun modo produrre la prosecuzione del giudizio civile, che deve inesorabilmente ritenersi già estinto per rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c. (Trib. Livorno, 7 aprile 2016, n. 12).

Riferimenti
  • Bianchi D'espinosa – Baldi, Estinzione del processo, EdD, XV, Milano 1966, 916;
  • Calvosa, Estinzione del processo civile, NNDI, VI, Torino 1960, VI, 980;
  • Fabbrini, Contributo alla dottrina dell'intervento adesivo, Milano 1964;
  • Giussani, Le dichiarazioni di rinuncia nel giudizio di cognizione, Milano 1999;
  • Massari, Rinunzia agli atti del giudizio, NNDI, XV, Torino 1968, 1156;
  • Micheli, La rinuncia agli atti del giudizio, Padova 1937;
  • Saletti, Estinzione del processo, E.G.I., XIII, Roma 1988, 1 ss.;
  • Sassani, Sull'oggetto della rinuncia dell'azione, in Riv. dir. proc., 1977, 531;
  • Satta, L'estinzione del processo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 1005;
  • Vaccarella, Rinuncia agli atti del giudizio, EdD, XL, Milano 1989, 960;
  • Zumpano, Rapporti tra processo civile e processo penale, Torino 2000.

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