La tassazione delle attività di mining

27 Dicembre 2022

L'Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 508 del 12 ottobre 2022, ha chiarito i profili di tassazione delle attività di mining.
Inquadramento

Tenuto conto delle modalità con le quali il miner viene ricompensato, la relativa remunerazione non è corrisposta nell'ambito di un rapporto di scambio di servizi, essendo peraltro assente un soggetto che possa essere considerato quale committente.

L'assenza di un servizio direttamente prestato dal miner a favore di un committente, determinato o determinabile, consente di ritenere l'attività di mining non rilevante ai fini IVA, con conseguente preclusione del diritto a detrazione dell'imposta assolta a monte. Ai fini delle imposte dirette, qualora l'attività sia remunerata mediante dei corrispettivi definiti in termini di cd. «monete virtuali», trovano applicazione le disposizioni del TUIR che disciplinano le operazioni in valuta estera.

La relativa remunerazione concorre quindi alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d'imposta in cui gli stessi possono considerarsi ultimati. Qualora l'attività del miner non risulti retribuita, poiché il "blocco" è stato risolto da un attore differente, in considerazione della circostanza per cui il servizio è stato prestato, si realizza invece una perdita su crediti, la cui deducibilità sarà consentita sussistendone gli elementi certi e precisi di cui all'art. 101, comma 5 del TUIR.

Il caso

Nel caso di specie, era stato esposto il seguente quesito. ALFA intendeva svolgere l'attività di "mining elettronico".

La Società evidenziava che:

  • il mining non è la creazione di monete digitali, ma una procedura di verifica, generata sfruttando la potenza di calcolo di un computer. Il processo di estrazione delle criptomonete si basa infatti sulla ricerca di soluzioni che il miner cerca di trovare. In particolare, quest'ultimo cerca di trovare un algoritmo di risoluzione, inteso come un procedimento che prevede la creazione delle eventuali soluzioni che condurranno alla stringa hash corretta. Tecnicamente, in sostanza, il computer riceve un'informazione numerica da un altro sistema o dalla rete, e attraverso milioni di calcoli, elabora la probabile soluzione che riconduce all'hash che verifica l'operazione. Nel momento in cui questa viene trovata, il server confermerà l'approvazione. In questo caso non solo il blocco sarà definitivamente chiuso, ma al miner verrà dato in pagamento un certo numero di criptomonete come contributo al funzionamento del sistema;
  • il "mining" comporta il sostenimento di rilevanti costi per spazi idonei, quali hardware, software, collegamenti internet, manutenzioni e energia elettrica. Pertanto la disciplina IVA applicabile, con conseguente possibilità o meno di detrazione dell'imposta sugli acquisti, è determinante ai fini della scelta in merito all'esercizio dell'attività;
  • tale attività è quasi totalmente automatizzata, nel senso che l'intervento di addetti è richiesto solo in fase di avviamento per l'installazione delle attrezzature informatiche e del relativo software, oppure per provvedere alla manutenzione e agli aggiornamenti;
  • il miner può peraltro decidere di operare in autonomia, oppure di aderire a un pool. Se opera in autonomia, il miner si collega direttamente alla blockchain di riferimento dell'algoritmo che esso intende minare. Se invece decide di associarsi ad un pool, aderisce a un'aggregazione di miners che si uniscono per aumentare la capacità di calcolo e la probabilità di risoluzione dell'algoritmo. In ogni caso, l'assenza di contratti con la blockchain e con il pool, rende oggettivamente impossibile identificare il committente. Se decide quindi di aderire a un pool, il miner non deve fornire alcun dato personale (tantomeno codice fiscale e/o partita Iva), ma soltanto avere un wallet digitale (portafoglio), sul quale il "sistema" o il pool accrediterà poi il compenso da lui maturato. L'identità fisica degli altri miners partecipanti al pool rimane del resto ignota a tutti (si può vedere solo il nickname);
  • in ogni caso, il compenso del miner è basato sul contributo che fornisce alla risoluzione degli algoritmi ed è calcolato a sua volta da un apposito algoritmo. In caso di adesione a un pool, il miner riceve il compenso da quest'ultimo fintanto che gli fornirà la sua potenza di elaborazione e fintanto che il pool riceverà a sua volta compensi dal "sistema" in base ai blocchi che valida/mina. C'è peraltro anche la possibilità che il pool non riesca a minare un blocco e che il miner non riceva alcun compenso. Il blocco infatti può essere risolto da un attore differente e in questo caso il lavoro svolto dal pool non verrà retribuito.

Tanto premesso, e sostenendo di non avere ancora concretamente dato avvio all'attività in esame, la Società chiedeva quindi di conoscere il corretto trattamento ai fini IVA dell'attività di mining svolta, come anche la determinazione della base imponibile a cui applicare IRES e IRAP.

Regima IVA

In merito al regime IVA applicabile, l'Istante riteneva che l'attività di mining rientrasse tra le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti ai sensi dell'articolo 7-ter del d.P.R. n. 633/1972 nel Paese del committente. Conseguentemente, poiché il servizio - a suo dire - veniva svolto a favore di organismi internazionali anonimi aventi con ogni probabilità sede al di fuori del territorio dell'UE e, in particolare, in Cina, considerava il compenso ricevuto "non soggetto ad IVA" con il mantenimento del diritto a detrazione per l'IVA assolta sugli acquisti e dell'eventuale rimborso dell'eccedenza a credito dell'imposta.

In merito invece alla tassazione ai fini IRES e IRAP, dato per scontato che il compenso costituiva un ricavo tipico e ordinario per la società, si riteneva che questo andasse iscritto fra i ricavi al valore di conversione della "criptovaluta" ricevuta alla data di incasso al "cambio" risultante dai principali operatori del settore (comma 2 dell'art. 2425-bis del c.c. e OIC 26), mentre si riteneva che le disponibilità a titolo di proprietà della Società espresse in "criptovalute" alla data di chiusura del bilancio, in conformità alla Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 72/E del 02/09/2016, dovessero essere valutate secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio, assumendo tale valutazione rilievo ai fini IRES ai sensi dell'articolo 9 del Tuir ed occorrendo, quindi, fare riferimento al valore normale, intendendosi per tale il valore corrispondente alla quotazione della stessa criptovaluta al termine dell'esercizio.

A tal fine, secondo l'istante, poteva farsi riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle principali piattaforme on line in cui avvengono le transazioni di criptovalute.

L'eventuale utile/perdita generato dalla suddetta operazione di "cambio" a fine esercizio non avrebbe invece avuto effetti ai fini IRAP, rappresentando un risultato da iscrivere alla voce di conto economico C17-bis «utile e perdite su cambi», voce esclusa dalla determinazione del valore della produzione e, quindi, della base imponibile IRAP.

Esiste una disciplina fiscale in tema di mining?

Rileva l'Agenzia delle Entrate che, pur in mancanza di una specifica , sia a livello interno che unionale, come osservato dall'OCSE in "Taxing Virtual Currencies: An Overview of Tax Treatments and Emerging Tax Policy Issues" del 12 ottobre 2020, "il termine cripto-attività è comunemente usato per riferirsi a tipi di attività finanziarie digitali che si basano sulla distributed ledger technology (DLT) e sulla crittografia (...).

Il Gruppo della Banca mondiale definisce dunque la DLT come "un approccio innovativo e in rapida evoluzione per la registrazione e la condivisione di dati attraverso più archivi (ledger, registri), che hanno ciascuno gli stessi identici record di dati e sono collettivamente mantenuti e controllati da una rete distribuita di server informatici, chiamati nodi" (Banca mondiale, 2019).

La tecnologia permette quindi ai partecipanti della rete di registrare e condividere transazioni e dati in modo sincronizzato e decentralizzato, laddove il vantaggio principale è che le transazioni tra i partecipanti della rete non necessitano obbligatoriamente di un intermediario o di una parte centrale per essere elaborate.

In un tale contesto, la blockchain è un tipo specifico di DLT, che sta alla base di molte applicazioni, tra cui molte delle valute virtuali, come il Bitcoin.

Una blockchain è, in sostanza, un particolare tipo di struttura di dati utilizzata in alcuni registri distribuiti, che memorizza e trasmette i dati in pacchetti chiamati 'blocchi', collegati tra loro in una 'catena' digitale.

Le blockchain utilizzano metodi crittografici e algoritmici per registrare e sincronizzare i dati attraverso una rete in modo immutabile.

Le DLT hanno peraltro a disposizione diversi meccanismi di consenso per convalidare qualsiasi nuova operazione o transazione che si verifichi sulla rete, laddove i meccanismi di consenso più comunemente utilizzati sono:

  • il sistema "proof-of-work", che si basa su equazioni matematiche. La soluzione del problema matematico comporta sforzi di calcolo - che si traducono in un elevato consumo di energia, per cui ogni validatore (chiamato appunto 'miner') effettua calcoli per verificare la transazione e condividere i propri risultati con la rete, lavorando su base competitiva, nel senso che una ricompensa viene accreditata solo al miner che trova per primo la soluzione. Il sistema proof-of-work viene utilizzato ad esempio con la blockchain Bitcoin, e attualmente con la maggior parte delle DLT.
  • il sistema proof-of-stake, che assegna agli utenti quote di diritti di convalida in base alla partecipazione che hanno nella blockchain. In un sistema di questo tipo, i validatori non sono chiamati miner, ma 'forger' o 'staker'.

Nel citato documento, l'OCSE definisce quindi il mining come il "processo (...) tramite il quale le transazioni di valute virtuali sono verificate e aggiunte al registro (ledger) basato sulla blockchain (registrazione delle transazioni). [n.d.r. Pertanto] Il "miner"(...) può avere diritto a (i) una ricompensa di mining, pagata attraverso nuovi token, e/o (ii) una commissione di transazione di protocollo, ovvero una percentuale del valore della transazione in corso di elaborazione e che viene pagata a partire da quella transazione (...)".

Tanto premesso in ordine al contesto tecnologico ed operativo, con riferimento all'imposta sul valore aggiunto, secondo l'Agenzia, dal medesimo documento Ocse emerge un comportamento coerente degli Stati, laddove quasi tutti trattano le transazioni legate alle valute virtuali come esenti, oppure escluse dal campo di applicazione dell'IVA.

Alla luce di queste considerazioni e di quelle - sullo stesso tema - sviluppate dalle amministrazioni fiscali di altri Stati (quali Francia, Germania e Regno Unito), il "mining" può essere definito come un'attività che mette in sicurezza - registrandole e condividendo i risultati con la rete - le transazioni nell'ambito della tecnologia cd "blockchain" e su cui si basa la creazione della cripto-attività, ivi inclusele criptovalute.

Il miner, dunque, è un soggetto che mette la sua potenza di calcolo a disposizione del cosiddetto mining pool per lo "scavo" (i.e. estrazione) di una criptovaluta o altro e registra le transazioni in un "blocco" per poi trasferirlo nella " blockchain", che è una sorta di registro pubblico, accessibile dagli utenti del network/sistema/rete.

I miner sono in genere ricompensati - direttamente o per il tramite del pool cui aderiscono - dal sistema/network/rete, che si autogestisce, tramite l'assegnazione di criptovalute, e solo quando per primi ottengono la convalida di un blocco, fattispecie quest'ultima che non sempre si verifica. In altri termini, lo svolgimento dell'attività di validazione non è sufficiente a conferire al miner il diritto a un compenso, dato che, come detto, questo compenso gli spetta solo se detta attività "va per prima" a buon fine.

Tenuto conto delle modalità con le quali il miner viene ricompensato, l'Agenzia delle Entrate ritiene pertanto che la remunerazione pagata dal network non sia corrisposta nell'ambito di un rapporto di scambio di servizi, trattandosi infatti di una tecnologia distribuita, connotata dall'assenza di un soggetto che possa essere considerato quale committente di prestazioni di servizio.

L'assenza di un servizio direttamente prestato dal miner a favore di un committente, determinato o determinabile, consente quindi di ritenere il mining non rilevante ai fini IVA, in quanto caratterizzato dall'assenza di un legame sinallagmatico con conseguente preclusione del diritto a detrazione. In sostanza, l'attività sopra indicata è fuori dal campo di applicazione dell'IVA, con conseguente preclusione del relativo diritto alla detrazione dell'imposta assolta "a monte" e la Società non è ovviamente tenuta agli obblighi documentali, dichiarativi e di versamento richiesti dalla disciplina IVA su tali operazioni.

Ai fini delle imposte dirette, invece, qualora i servizi summenzionati risultino remunerati mediante dei corrispettivi definiti in termini di cd. «monete virtuali», anche tenuto conto del principio già espresso nella Risposta ad interpello n. 788/E del 2021, per cui «alle operazioni in valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali», secondo l'Amministrazione finanziaria, trovano applicazione le disposizioni del TUIR che disciplinano le operazioni in valuta estera.

Al riguardo, l'Agenzia rammenta che il comma 2 dell'articolo 110 dispone che «Per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell'articolo 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data...».

L'articolo 9 del medesimo testo unico, inoltre, dispone che «Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti».

Alla luce di quanto sopra, a prescindere dalla possibilità di identificare il soggetto che eroga i corrispettivi per i servizi forniti, la relativa remunerazione concorre comunque alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d'imposta in cui gli stessi possono considerarsi ultimati, ai sensi del comma 2 dell'articolo 109 del TUIR.

Qualora l'attività del "miner" non risulti retribuita, poiché come evidenziato il "blocco" è stato risolto da un attore differente, in considerazione della circostanza per cui il servizio è stato prestato, si realizza invece una perdita su crediti la cui deducibilità sarà consentita sussistendone gli elementi certi e precisi di cui all'articolo 101, comma 5 del TUIR.

Infine, in relazione alla valutazione delle cd. «monete virtuali» detenute al termine di ciascun periodo d'imposta, si considera realizzata la differenza tra il valore fiscale iniziale e quello rilevato alla data di chiusura di ciascun periodo d'imposta, in applicazione di quanto disposto dal menzionato articolo 110 del TUIR.

Da ultimo, ai fini IRAP, le remunerazioni del "miner" concorrono alla formazione del valore della produzione netta, rappresentando di per sé ricavi per prestazioni di servizi ascrivibili all'attività caratteristica dell'istante.

Le oscillazioni di valore, invece, non sono incluse nella base imponibile del tributo regionale, solo nella misura in cui non transitano da voci rilevanti ai fini IRAP, ovvero in assenza dei presupposti per l'applicazione del principio di correlazione.

In conclusione

Le argomentazioni espresse nella Risposta ad interpello sono condivisibili.

Si pone semmai solo il problema di capire quando il servizio può dirsi effettivamente ultimato con dunque imputazione dei ricavi.

La prima, più logica conclusione, per cui questo dovrebbe avvenire quando il miner ha avuto conoscenza del buon esito dell'operazione e della conseguente assegnazione delle criptovalute, sembra a ben vedere smentita dalle conclusioni espresse nella Risposta in commento, laddove l'Agenzia delle Entrate afferma che, qualora l'attività del miner non risulti retribuita, come accade quando il "blocco" sia stato risolto da un operatore differente, dato che il servizio è, comunque, stato prestato si realizza una perdita su crediti, deducibile ai sensi dell'articolo 101, comma 5 del TUIR.

Ma allora se ne dovrebbe dedurre che il ricavo deve essere sempre rilevato, per competenza, a prescindere dall'esito positivo o negativo.

Si evidenzia infine che, sulla medesima tematica, l'Agenzia delle Entrate si era anche già espressa, seppur sotto differenti profili, con la Risposta ad interpello n. 433 del 24.08.2022.

L'Agenzia delle Entrate aveva in quell'occasione affermato che le remunerazioni in criptovaluta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell'attività d'impresa, per l'attività di staking, devono essere soggette ad imposizione come redditi di capitale, con la conseguenza che, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest'ultima sarebbe stata tenuta ad applicare la ritenuta nella misura del 26 per cento.

Tali remunerazioni, sempre in base alla citata Risposta, non sarebbero dovute essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica, essendo la ritenuta applicata a titolo d'imposta. Tuttavia, a distanza di due giorni, a parziale rettifica della detta Risposta, l'Agenzia ha poi affermato che tali remunerazioni devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d'acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A "Redditi di capitale" del Quadro RL del Modello Redditi.

Al di là dell'aspetto meramente fiscale si evidenzia comunque che lo staking svolge, in sostanza, una funzione simile a quella del mining, cioè è un processo in cui un partecipante della rete viene selezionato per aggiungere l'ultimo gruppo di transazioni alla blockchain e riceve in cambio criptovaluta.

I token che gli utenti impegnano nello staking fungono quindi da garanzia della legittimità di ogni nuova transazione che aggiungono alla blockchain.

La rete sceglie gli utenti, chiamati validatori, in base a quante risorse hanno in staking e da quanto tempo.

Di conseguenza, di solito, sono i partecipanti che hanno investito di più a venire ricompensati. Molti utenti che detengono criptovaluta da lungo tempo considerano del resto lo staking un modo di far fruttare le risorse di cui dispongono invece di tenerle ferme nei propri wallet. Lo staking spesso richiede però un periodo di blocco o "maturazione", durante il quale la criptovaluta non è trasferibile e questo può essere uno svantaggio, poiché durante questo periodo non è possibile scambiare i token dello staking anche se i prezzi cambiano.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario