La tassazione delle attività di mining
27 Dicembre 2022
Inquadramento
Tenuto conto delle modalità con le quali il miner viene ricompensato, la relativa remunerazione non è corrisposta nell'ambito di un rapporto di scambio di servizi, essendo peraltro assente un soggetto che possa essere considerato quale committente. L'assenza di un servizio direttamente prestato dal miner a favore di un committente, determinato o determinabile, consente di ritenere l'attività di mining non rilevante ai fini IVA, con conseguente preclusione del diritto a detrazione dell'imposta assolta a monte. Ai fini delle imposte dirette, qualora l'attività sia remunerata mediante dei corrispettivi definiti in termini di cd. «monete virtuali», trovano applicazione le disposizioni del TUIR che disciplinano le operazioni in valuta estera.
La relativa remunerazione concorre quindi alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d'imposta in cui gli stessi possono considerarsi ultimati. Qualora l'attività del miner non risulti retribuita, poiché il "blocco" è stato risolto da un attore differente, in considerazione della circostanza per cui il servizio è stato prestato, si realizza invece una perdita su crediti, la cui deducibilità sarà consentita sussistendone gli elementi certi e precisi di cui all'art. 101, comma 5 del TUIR. Il caso
Nel caso di specie, era stato esposto il seguente quesito. ALFA intendeva svolgere l'attività di "mining elettronico". La Società evidenziava che:
Tanto premesso, e sostenendo di non avere ancora concretamente dato avvio all'attività in esame, la Società chiedeva quindi di conoscere il corretto trattamento ai fini IVA dell'attività di mining svolta, come anche la determinazione della base imponibile a cui applicare IRES e IRAP. Regima IVA
In merito al regime IVA applicabile, l'Istante riteneva che l'attività di mining rientrasse tra le prestazioni di servizi, territorialmente rilevanti ai sensi dell'articolo 7-ter del d.P.R. n. 633/1972 nel Paese del committente. Conseguentemente, poiché il servizio - a suo dire - veniva svolto a favore di organismi internazionali anonimi aventi con ogni probabilità sede al di fuori del territorio dell'UE e, in particolare, in Cina, considerava il compenso ricevuto "non soggetto ad IVA" con il mantenimento del diritto a detrazione per l'IVA assolta sugli acquisti e dell'eventuale rimborso dell'eccedenza a credito dell'imposta.
In merito invece alla tassazione ai fini IRES e IRAP, dato per scontato che il compenso costituiva un ricavo tipico e ordinario per la società, si riteneva che questo andasse iscritto fra i ricavi al valore di conversione della "criptovaluta" ricevuta alla data di incasso al "cambio" risultante dai principali operatori del settore (comma 2 dell'art. 2425-bis del c.c. e OIC 26), mentre si riteneva che le disponibilità a titolo di proprietà della Società espresse in "criptovalute" alla data di chiusura del bilancio, in conformità alla Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 72/E del 02/09/2016, dovessero essere valutate secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell'esercizio, assumendo tale valutazione rilievo ai fini IRES ai sensi dell'articolo 9 del Tuir ed occorrendo, quindi, fare riferimento al valore normale, intendendosi per tale il valore corrispondente alla quotazione della stessa criptovaluta al termine dell'esercizio.
A tal fine, secondo l'istante, poteva farsi riferimento alla media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle principali piattaforme on line in cui avvengono le transazioni di criptovalute.
L'eventuale utile/perdita generato dalla suddetta operazione di "cambio" a fine esercizio non avrebbe invece avuto effetti ai fini IRAP, rappresentando un risultato da iscrivere alla voce di conto economico C17-bis «utile e perdite su cambi», voce esclusa dalla determinazione del valore della produzione e, quindi, della base imponibile IRAP.
Rileva l'Agenzia delle Entrate che, pur in mancanza di una specifica , sia a livello interno che unionale, come osservato dall'OCSE in "Taxing Virtual Currencies: An Overview of Tax Treatments and Emerging Tax Policy Issues" del 12 ottobre 2020, "il termine cripto-attività è comunemente usato per riferirsi a tipi di attività finanziarie digitali che si basano sulla distributed ledger technology (DLT) e sulla crittografia (...).
Il Gruppo della Banca mondiale definisce dunque la DLT come "un approccio innovativo e in rapida evoluzione per la registrazione e la condivisione di dati attraverso più archivi (ledger, registri), che hanno ciascuno gli stessi identici record di dati e sono collettivamente mantenuti e controllati da una rete distribuita di server informatici, chiamati nodi" (Banca mondiale, 2019).
La tecnologia permette quindi ai partecipanti della rete di registrare e condividere transazioni e dati in modo sincronizzato e decentralizzato, laddove il vantaggio principale è che le transazioni tra i partecipanti della rete non necessitano obbligatoriamente di un intermediario o di una parte centrale per essere elaborate.
In un tale contesto, la blockchain è un tipo specifico di DLT, che sta alla base di molte applicazioni, tra cui molte delle valute virtuali, come il Bitcoin.
Una blockchain è, in sostanza, un particolare tipo di struttura di dati utilizzata in alcuni registri distribuiti, che memorizza e trasmette i dati in pacchetti chiamati 'blocchi', collegati tra loro in una 'catena' digitale. Le blockchain utilizzano metodi crittografici e algoritmici per registrare e sincronizzare i dati attraverso una rete in modo immutabile.
Le DLT hanno peraltro a disposizione diversi meccanismi di consenso per convalidare qualsiasi nuova operazione o transazione che si verifichi sulla rete, laddove i meccanismi di consenso più comunemente utilizzati sono:
Nel citato documento, l'OCSE definisce quindi il mining come il "processo (...) tramite il quale le transazioni di valute virtuali sono verificate e aggiunte al registro (ledger) basato sulla blockchain (registrazione delle transazioni). [n.d.r. Pertanto] Il "miner"(...) può avere diritto a (i) una ricompensa di mining, pagata attraverso nuovi token, e/o (ii) una commissione di transazione di protocollo, ovvero una percentuale del valore della transazione in corso di elaborazione e che viene pagata a partire da quella transazione (...)". Tanto premesso in ordine al contesto tecnologico ed operativo, con riferimento all'imposta sul valore aggiunto, secondo l'Agenzia, dal medesimo documento Ocse emerge un comportamento coerente degli Stati, laddove quasi tutti trattano le transazioni legate alle valute virtuali come esenti, oppure escluse dal campo di applicazione dell'IVA.
Alla luce di queste considerazioni e di quelle - sullo stesso tema - sviluppate dalle amministrazioni fiscali di altri Stati (quali Francia, Germania e Regno Unito), il "mining" può essere definito come un'attività che mette in sicurezza - registrandole e condividendo i risultati con la rete - le transazioni nell'ambito della tecnologia cd "blockchain" e su cui si basa la creazione della cripto-attività, ivi inclusele criptovalute. Il miner, dunque, è un soggetto che mette la sua potenza di calcolo a disposizione del cosiddetto mining pool per lo "scavo" (i.e. estrazione) di una criptovaluta o altro e registra le transazioni in un "blocco" per poi trasferirlo nella " blockchain", che è una sorta di registro pubblico, accessibile dagli utenti del network/sistema/rete. I miner sono in genere ricompensati - direttamente o per il tramite del pool cui aderiscono - dal sistema/network/rete, che si autogestisce, tramite l'assegnazione di criptovalute, e solo quando per primi ottengono la convalida di un blocco, fattispecie quest'ultima che non sempre si verifica. In altri termini, lo svolgimento dell'attività di validazione non è sufficiente a conferire al miner il diritto a un compenso, dato che, come detto, questo compenso gli spetta solo se detta attività "va per prima" a buon fine.
Tenuto conto delle modalità con le quali il miner viene ricompensato, l'Agenzia delle Entrate ritiene pertanto che la remunerazione pagata dal network non sia corrisposta nell'ambito di un rapporto di scambio di servizi, trattandosi infatti di una tecnologia distribuita, connotata dall'assenza di un soggetto che possa essere considerato quale committente di prestazioni di servizio. L'assenza di un servizio direttamente prestato dal miner a favore di un committente, determinato o determinabile, consente quindi di ritenere il mining non rilevante ai fini IVA, in quanto caratterizzato dall'assenza di un legame sinallagmatico con conseguente preclusione del diritto a detrazione. In sostanza, l'attività sopra indicata è fuori dal campo di applicazione dell'IVA, con conseguente preclusione del relativo diritto alla detrazione dell'imposta assolta "a monte" e la Società non è ovviamente tenuta agli obblighi documentali, dichiarativi e di versamento richiesti dalla disciplina IVA su tali operazioni. Ai fini delle imposte dirette, invece, qualora i servizi summenzionati risultino remunerati mediante dei corrispettivi definiti in termini di cd. «monete virtuali», anche tenuto conto del principio già espresso nella Risposta ad interpello n. 788/E del 2021, per cui «alle operazioni in valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali», secondo l'Amministrazione finanziaria, trovano applicazione le disposizioni del TUIR che disciplinano le operazioni in valuta estera. Al riguardo, l'Agenzia rammenta che il comma 2 dell'articolo 110 dispone che «Per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell'articolo 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data...».
L'articolo 9 del medesimo testo unico, inoltre, dispone che «Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti». Alla luce di quanto sopra, a prescindere dalla possibilità di identificare il soggetto che eroga i corrispettivi per i servizi forniti, la relativa remunerazione concorre comunque alla formazione del reddito imponibile, nel periodo d'imposta in cui gli stessi possono considerarsi ultimati, ai sensi del comma 2 dell'articolo 109 del TUIR. Qualora l'attività del "miner" non risulti retribuita, poiché come evidenziato il "blocco" è stato risolto da un attore differente, in considerazione della circostanza per cui il servizio è stato prestato, si realizza invece una perdita su crediti la cui deducibilità sarà consentita sussistendone gli elementi certi e precisi di cui all'articolo 101, comma 5 del TUIR.
Infine, in relazione alla valutazione delle cd. «monete virtuali» detenute al termine di ciascun periodo d'imposta, si considera realizzata la differenza tra il valore fiscale iniziale e quello rilevato alla data di chiusura di ciascun periodo d'imposta, in applicazione di quanto disposto dal menzionato articolo 110 del TUIR. Da ultimo, ai fini IRAP, le remunerazioni del "miner" concorrono alla formazione del valore della produzione netta, rappresentando di per sé ricavi per prestazioni di servizi ascrivibili all'attività caratteristica dell'istante. Le oscillazioni di valore, invece, non sono incluse nella base imponibile del tributo regionale, solo nella misura in cui non transitano da voci rilevanti ai fini IRAP, ovvero in assenza dei presupposti per l'applicazione del principio di correlazione. In conclusione
Le argomentazioni espresse nella Risposta ad interpello sono condivisibili.
Si pone semmai solo il problema di capire quando il servizio può dirsi effettivamente ultimato con dunque imputazione dei ricavi. La prima, più logica conclusione, per cui questo dovrebbe avvenire quando il miner ha avuto conoscenza del buon esito dell'operazione e della conseguente assegnazione delle criptovalute, sembra a ben vedere smentita dalle conclusioni espresse nella Risposta in commento, laddove l'Agenzia delle Entrate afferma che, qualora l'attività del miner non risulti retribuita, come accade quando il "blocco" sia stato risolto da un operatore differente, dato che il servizio è, comunque, stato prestato si realizza una perdita su crediti, deducibile ai sensi dell'articolo 101, comma 5 del TUIR. Ma allora se ne dovrebbe dedurre che il ricavo deve essere sempre rilevato, per competenza, a prescindere dall'esito positivo o negativo. Si evidenzia infine che, sulla medesima tematica, l'Agenzia delle Entrate si era anche già espressa, seppur sotto differenti profili, con la Risposta ad interpello n. 433 del 24.08.2022. L'Agenzia delle Entrate aveva in quell'occasione affermato che le remunerazioni in criptovaluta percepite dalle persone fisiche, al di fuori dell'attività d'impresa, per l'attività di staking, devono essere soggette ad imposizione come redditi di capitale, con la conseguenza che, se accreditate nel wallet da una Società italiana, quest'ultima sarebbe stata tenuta ad applicare la ritenuta nella misura del 26 per cento. Tali remunerazioni, sempre in base alla citata Risposta, non sarebbero dovute essere indicate nel Modello Redditi della persona fisica, essendo la ritenuta applicata a titolo d'imposta. Tuttavia, a distanza di due giorni, a parziale rettifica della detta Risposta, l'Agenzia ha poi affermato che tali remunerazioni devono essere assoggettate a ritenuta a titolo d'acconto da parte della Società e indicate dal contribuente nella Sezione I-A "Redditi di capitale" del Quadro RL del Modello Redditi. Al di là dell'aspetto meramente fiscale si evidenzia comunque che lo staking svolge, in sostanza, una funzione simile a quella del mining, cioè è un processo in cui un partecipante della rete viene selezionato per aggiungere l'ultimo gruppo di transazioni alla blockchain e riceve in cambio criptovaluta.
I token che gli utenti impegnano nello staking fungono quindi da garanzia della legittimità di ogni nuova transazione che aggiungono alla blockchain.
La rete sceglie gli utenti, chiamati validatori, in base a quante risorse hanno in staking e da quanto tempo.
Di conseguenza, di solito, sono i partecipanti che hanno investito di più a venire ricompensati. Molti utenti che detengono criptovaluta da lungo tempo considerano del resto lo staking un modo di far fruttare le risorse di cui dispongono invece di tenerle ferme nei propri wallet. Lo staking spesso richiede però un periodo di blocco o "maturazione", durante il quale la criptovaluta non è trasferibile e questo può essere uno svantaggio, poiché durante questo periodo non è possibile scambiare i token dello staking anche se i prezzi cambiano. |