La Corte ha richiamato la decisione delle Sezioni Unite per la quale qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare e, conseguentemente, è inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta "ad abundantiam" nella sentenza gravata. Il principio così affermato ha per presupposto la considerazione per cui la pronuncia di inammissibilità qualifica come superflue e irrilevanti le argomentazioni sul merito che siano state aggiunte nella motivazione. Ne deriva la loro qualifica meramente accessoria e trascurabile rispetto all'unica rilevante pronuncia riguardante, prima ancora, la stessa ammissibilità della domanda.
La questione decisa su questo presupposto aveva incontrato soluzioni divergenti. In senso contrario Cass. civ. n. 7995/2022 aveva infatti affermato che, ove il giudice d'appello rilevi in motivazione l'inammissibilità dell'impugnazione e comunque esamini il merito del gravame, pronunciando su di esso, la statuizione di inammissibilità si deve considerare effettuata ad abundantiam e alla stregua di un obiter dictum che non influisce sul dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi è in realtà rappresentata dalla decisione sull'oggetto della domanda.
Nel caso risolto dalla sentenza richiamata la corte di appello si era espressa nel senso del rigetto delle istanze dell'appellante e non con una dichiarazione di inammissibilità. Verosimilmente questa circostanza aveva poi fornito occasione al giudice di legittimità per le affermazioni che avevano privilegiato l'esame del ricorso e la cognizione del merito. Di questa contraria pronuncia la Corte nel caso in esame ha tenuto conto e ad essa ha opposto l'assunto secondo cui l'interpretazione del giudicato, sia esso interno o esterno, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza ma anche della sua motivazione (come dichiarato, tra l'altro, da Cass. civ. n. 19252/2018). Pertanto, nessuna importanza poteva avere il fatto che nel caso della pronuncia richiamata il dispositivo d'appello fosse stato formulato in termini di rigetto anziché di inammissibilità, come invece avrebbe dovuto desumersi dal contenuto motivazionale di quella pronuncia. L'elemento testuale non poteva pertanto giustificare da solo una decisione divergente dalle regole del processo.
Se deve aggiungersi un commento, questo è necessariamente tutto a favore della decisione esaminata. Non sembra davvero di poter affermare che la dichiarazione di inammissibilità dell'appello possa essere superata da motivi di ricorso riferiti a questioni di merito della vicenda anche in assenza di un gravame che impugni quella dichiarazione. Non può attribuirsi rilievo al fatto che in concomitanza alle ragioni di inammissibilità i precedenti giudici abbiano dato spazio a dissertazioni sul merito e neppure può fare una qualche differenza la circostanza per cui queste dissertazioni abbiano assunto carattere di mera aggiunta, per inutile completezza, o abbiano invece assunto centralità nel giustificare l'esame dell'impugnazione. L'avvenuta dichiarazione di inammissibilità dell'appello, non esplicitamente impugnata, chiude definitivamente il percorso processuale per la sua stessa natura pregiudizialmente logica, impeditiva dell'ulteriore sviluppo del giudizio.
In una scala di valori e di effetti, la chiusura del procedimento prevale necessariamente su ogni altra iniziativa e impedisce ogni altra pronuncia, in quanto strettamente pregiudiziale e preclusiva. Né muta la situazione il fatto che la decisione (di inammissibilità, sulla giurisdizione o sulla competenza) sia unicamente sul rito piuttosto che sulla sostanza della domanda, posto che anche una siffatta decisione limitata alle forme e ai presupposti del processo è idonea a produrre il giudicato, sia pure soltanto formale, con effetti comunque preclusivi interni al procedimento in cui si è prodotto (Cass. civ., sez. un., n. 35110/2021). In proposito è sufficiente che essa risolva una questione controversa avente una propria autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente (Cass. civ., sez. lav., n. 24358/2018; Cass. civ., sez. I, n. 4732/2012; Cass. civ., sez. III, n. 23747/2008).