Criticità delle misure protettive e cautelari nel CCII tra sostituzione degli amministratori e semi-automatic stay

Monica Selvini
09 Gennaio 2023

La novità più rilevante introdotta dal CCII in materia di misure protettive è l'abolizione del meccanismo della loro concessione automatica alla presentazione della domanda introduttiva della procedura concorsuale (c.d. “automatic stay”): il CCII prevede al massimo un meccanismo semi-automatico, soggetto a conferma da parte del giudice. La disciplina delle misure protettive e cautelari non ha subito altre grandi innovazioni, ma le novità introdotte sollevano alcuni aspetti di criticità che sollecitano una risposta in attesa delle interpretazioni che fornirà la giurisprudenza.
Premessa

La legge fallimentare non fornisce alcuna definizione di misure protettive e cautelari, che tuttavia emergono indirettamente dalle norme che le disciplinano.

Le misure protettive risultano tese a proteggere il complesso dei beni dell'imprenditore dall'aggressione dei creditori, al fine di evitarne la disgregazione e assicurarne la destinazione alla soluzione concordata della crisi o alla liquidazione; mentre le misure cautelari, ricomprendenti anche la tutela atipica riconducibile all'art. 700 c.p.c., sono strumentali ad evitare che durante il periodo necessario per arrivare al provvedimento di omologazione dell'accordo di ristrutturazione o del concordato preventivo oppure alla sentenza di fallimento il diritto fatto valere possa essere minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile.

Campo di applicazione prevalente di tali misure sono per lo più il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione: essendo questi strumenti di soluzione della crisi finalizzati – in molte ipotesi - alla continuità aziendale, necessitano - più della liquidazione giudiziale - di misure temporanee ed immediate di conservazione del patrimonio aziendale.

La disciplina delle misure protettive nella legge fallimentare si rintraccia, quindi, con riferimento al concordato preventivo, all'art. 168 l.fall., che vieta inter alia ai creditori per titolo o causa anteriore di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore e di acquisire titoli di prelazione dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso fino al momento in cui il decreto di omologa diviene definitivo, realizzando quell'automatic stay che blocca ogni azione dei creditori, fin dalla presentazione della domanda di concordato in bianco.

Anche nel caso degli accordi di ristrutturazione dei debiti la legge fallimentare, all'art. 182-bis, prevede l'automatic stay, dalla data di pubblicazione della domanda di omologa nel registro delle imprese e per i 60 giorni successivi.

Divieto che può essere anticipato al momento delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo qualora vi sia istanza dell'imprenditore corredata dalla documentazione di cui all'art. 182-bis, comma 6, l.fall.: in tal caso il meccanismo di protezione non scatta automaticamente, ma all'esito della verifica della sussistenza dei presupposti da parte del tribunale in apposita udienza.

La legge fallimentare esclude dal meccanismo protettivo suddetto (automatico o con conferma in udienza) i piani attestati di risanamento, in quanto non aventi copertura giurisdizionale e natura concorsuale: non essendo presente un limite alla libera disponibilità del patrimonio, non vi è necessità di alcuna protezione dello stesso dalle aggressioni dei creditori.

Nel caso di procedimento per la declaratoria di fallimento, l'art. 51 l.fall. vieta dal giorno della dichiarazione di fallimento qualsiasi azione esecutiva o cautelare su beni compresi nel fallimento anche per i crediti maturati durante il fallimento. A ciò si aggiunge la tutela anticipata di cui all'art. 15, comma 8, l.fall. per la fase pre-fallimentare, ovvero la possibilità che il Tribunale, su istanza di parte, emetta i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa, con efficacia limitata alla durata del procedimento, da confermare o revocare con la sentenza che dichiara il fallimento. La giurisprudenza ha tentato di interpretare estensivamente l'art. 15 l.fall. consentendo perfino misure quali la revoca o la sospensione degli amministratori, aspetto problematico che, come si analizzerà, non viene risolto dalla “riforma” operata dal CCII.

Definizioni di misure cautelari e protettive nel CCII: aspetti di criticità

Il CCII introduce per la prima volta una definizione di misure protettive e di misure cautelari, disciplinando poi dettagliatamente il procedimento per la loro concessione agli artt. 54 e 55 nell'ambito del procedimento unitario per l'accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e all'art. 19 per quanto riguarda la nuova procedura di composizione negoziata.

Tali previsioni sono poi integrate dalle disposizioni in materia di concordato preventivo e liquidazione giudiziale, segnatamente con riferimento ai rapporti contrattuali pendenti. Si tratta, in termini generali, di misure provvisorie e funzionali ad evitare la dispersione dei valori dell'impresa soltanto nel tempo necessario ad “aprire” la procedura concorsuale. La ratio che ispira, infatti, il CCII è assicurare forme di protezione del patrimonio il più possibile anticipate, già a partire dalle trattative con i creditori, al fine di agevolare il successo della procedura di composizione della crisi scelta.

L'art. 2, comma 1, lett. p), CCII definisce le misure protettive genericamente come «le misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza, anche prima dell'accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza» e l'art. 54, comma 2, CCII le specifica nelle seguenti:

1.divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore o sui suoi beni e sui diritti con cui viene esercitata l'attività di impresa;

2.sospensione delle prescrizioni e non verificarsi delle decadenze;

3.impossibilità di pronunciare sentenza di apertura della liquidazione giudiziale;

4.ulteriori misure temporanee chieste dal debitore al fine di evitare che determinate azioni di uno o più creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Si tratta, per lo più, di misure tipiche, operanti in incertam personam e pertanto con riferimento alle iniziative di tutti coloro che compongono il ceto creditorio (sebbene sia prevista la possibilità per il giudice di selezionare singoli creditori o categorie di essi), concedibili su richiesta del debitore e che, come vedremo nel paragrafo successivo, vengono concesse con un meccanismo semi-automatico, a differenza di quanto previsto dalla legge fallimentare.

La prima differenza che si coglie nell'ambito oggettivo delle misure protettive rispetto alla legge fallimentare è l'espressa previsione della inibitoria dell'apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza (per le grandi imprese soggette ad amministrazione straordinaria) e la previsione di una ipotesi residuale aperta (vedi sopra sub lett. d.), che al suo interno può accogliere qualunque misura idonea ad impedire che azioni dei creditori pregiudichino il buon esito delle trattative.

Il tutto ovviamente nel solco della ratio complessiva del codice della crisi, finalizzato a favorire soluzioni che possano portare alla continuità aziendale (diretta o indiretta) evitando, se possibile, l'alternativa liquidatoria e, conseguentemente, a concedere al debitore per il tempo necessario a definire gli accordi con i creditori un ombrello protettivo sul patrimonio aziendale nel rispetto della par condicio creditorum.

Passando, invece, all'esame della definizione di misure cautelari contenuta nel CCII, l'art. 2, comma 1, lett. q), dispone che il giudice possa emettere i provvedimenti cautelari «a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e delle procedure di insolvenza», disposizione poi ripresa pedissequamente dall'art. 54, comma 1.

In tal caso la finalità è per lo più quella di adottare misure al servizio dei creditori a tutela dell'integrità della garanzia patrimoniale nelle more dell'apertura della procedura di regolazione della crisi. Solo un caso tipico viene declinato dal legislatore del CCII, il quale include nelle misure cautelari, all'art. 54, comma 1, «la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio».

A differenza delle misure protettive, i provvedimenti cautelari hanno destinatari specifici ed individuati e non sono mai ad applicazione automatica nemmeno temporanea, ma vengono concessi dal Tribunale a seguito di apposita istanza, eventualmente anche dei creditori se sono parte del procedimento. Resterà pur sempre necessario dimostrare, come per tutti i provvedimenti cautelari, il fumus boni iuris ovvero la fondatezza della domanda di accesso alla procedura di regolazione della crisi e quindi le chances di risanamento e il periculum in mora, ovvero il pericolo che si vuole evitare in relazione al patrimonio del debitore (che dovrebbe essere in re ipsa, in quanto il debitore risulta in stato di crisi).

L'aspetto di maggiore criticità che emerge riguarda i provvedimenti cautelari e, in particolare, l'interpretazione della previsione riguardante la possibilità di nominare un custode dell'azienda o del patrimonio (si veda al riguardo F. Guerrera, Le misure cautelari in fase di accesso della società alle procedure di crisi o di insolvenza: profili critici di diritto societario e processuale, in La crisi d'impresa e del consumatore dopo il D.L. n. 118/2021, liber amicorum per A. Jorio, Torino, 2021, 498).

Come accennato in premessa, la giurisprudenza, a fronte delle richieste dei creditori di un intervento sul governo societario di sostituzione dell'imprenditore con un terzo al fine di gestire meglio l'azienda ed evitare la dispersione del patrimonio aziendale, è stata spesso propensa ad ampliare la portata dei provvedimenti cautelari fino a concedere, nella fase che precede l'apertura delle procedure di risoluzione della crisi e dell'insolvenza, la sospensione dell'organo amministrativo e la sua sostituzione con un amministratore giudiziario, paralizzando e destabilizzando in tal modo l'assetto organizzativo (cfr. in tal senso Trib. Vicenza, 15 gennaio 2018; Trib. Trieste, 17 ottobre 2014; Trib. Torre Annunziata, 18 marzo 2013; Trib. Napoli, 30 marzo 2012, cit. da F. Guerrera, op. cit.).

Ci si domanda se tale interpretazione estensiva sia ancora possibile alla luce, da un lato, della definizione di misure cautelari di cui all'art. 2, comma 1, lett. q), CCII che rimette al giudice ogni più opportuna valutazione e scelta caso per caso in base alle esigenze concrete, e, dall'altro, del tenore letterale dell'art. 54, comma 1, che considera espressamente soltanto il caso di nomina del custode di azienda, lasciando il dubbio se il legislatore abbia inteso escludere qualunque diversa ipotesi tra cui la nomina di un amministratore giudiziario in sostituzione degli amministratori (ipotesi tuttavia ovviamente ancora possibile nel caso di mala gestio degli amministratori ai sensi dell'art. 2409 c.c.).

Il tema risulta di particolare rilevanza soprattutto nel caso della domanda di accesso al concordato preventivo: in tale ipotesi gli effetti che la misura cautelare intende anticipare alla proposizione della domanda sono concessi con largo anticipo rispetto al provvedimento di omologazione, in un momento in cui il piano non è ancora definito e quindi con difficoltà a verificare la strumentalità della misura rispetto al provvedimento di omologa e alle conseguenze sulla organizzazione e gestione dell'attività di impresa (come ricordato da F. Guerrera, op. cit., in questa fase possono essere compiuti, se pur sotto la vigilanza del commissario ed eventualmente con l'intervento autorizzativo del giudice, atti idonei a modificare la struttura dell'impresa, ad esempio la cessione di partecipazioni societarie di controllo o le relazioni con i creditori mediante lo scioglimento di contratti in corso).

L'art. 118 consente la sostituzione dell'imprenditore nella gestione dell'impresa, ma nella fase di esecuzione forzata del concordato, ipotesi del tutto differente da quella delle misure cautelari sia nei tempi, in quanto siamo nella fase di avvenuta definizione del piano, sia nei presupposti, in quanto l'inadempimento al piano da parte del debitore legittima tali provvedimenti incisivi.

Si osserva, inoltre, che custodire l'azienda come espressamente concesso dall'art. 54, comma 1, CCII è cosa del tutto diversa da amministrarla a seguito di revoca dell'amministratore: si potrebbe forse, conformemente a quanto ritenuto da parte della dottrina (cfr. M. Fabiani, Tutela cautelare e rapporti fra l'imprenditore e l'amministratore giudiziario dell'impresa, in ilcaso.it, 9 settembre 2011, il quale ritiene possibile la nomina di un amministratore giudiziario nell'ambito di una portata non sanzionatoria ovvero non contro l'impresa come soggetto, ma come misura concessa a favore dell'impresa considerata come attività in una ottica conservativa), ammettere la possibilità della nomina di un amministratore giudiziario al quale vengano concessi solo i poteri necessari al fine della conservazione del valore dell'impresa e l'interesse dei creditori, restando l'impresa pur sempre “governata” dai suoi amministratori. Tuttavia, anche tale limitata ipotesi presenta criticità, soprattutto nei casi di ristrutturazione con continuità aziendale: sarebbe irragionevole sottrarre all'imprenditore la piena gestione della sua impresa, quando il piano che sta predisponendo implica la gestione dell'azienda da parte sua e senza interferenza esterna alcuna.

Forse la soluzione che il legislatore dovrebbe adottare al fine di circoscrivere il potere di decisione dei giudici circa l'emissione di misure cautelari così invasive, al momento improntato a criteri vaghi e indeterminati, è di consentire sanzioni così gravi come la sottrazione della amministrazione dell'impresa a casi circostanziati, al ricorrere di condizioni particolari che legittimano l'emissione di tali incisive misure.

Che poi al giudice, nella valutazione della strumentalità della protezione richiesta rispetto al percorso di regolazione della crisi o dell'insolvenza intrapreso, si richiedano conoscenze aziendalistiche che gli consentano di leggere adeguatamente i dati economici forniti dal debitore, è un ulteriore elemento di criticità (in tal senso L. Baccaglini e L. Calcagno, Le misure protettive e cautelari nel CCII, in DC, 11 ottobre 2022) che di fatto caratterizza molti aspetti del CCII.

Ulteriore aspetto di criticità afferente alle misure cautelari riguarda la possibilità che esse abbiano ad oggetto la sospensione dei pagamenti o dei contratti. Taluni (Trib. Ivrea 10 febbraio 2022) escludono tale possibilità nell'ambito della composizione negoziata, in quanto per ottenerne l'effetto si deve ricorrere alla fattispecie della rinegoziazione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all'art. 17, comma 5.

A tale riguardo si osserva (in tal senso cfr. G. Limitone, Misure protettive e cautelari nel codice della crisi (alla prova della bolletta di luce e gas), in ristrutturazioniaziendali.it, 4 ottobre 2022), che lo strumento della rinegoziazione è sicuramente meno veloce della concessione della misura cautelare ed implica la ricerca di un nuovo equilibrio contrattuale, non richiesto in sede cautelare. A conferma della possibilità della presenza di uno squilibrio contrattuale si consideri che l'art. 18, comma 5, con riferimento alla composizione negoziata, e l'art. 94-bis per il concordato preventivo in continuità aziendale, vietano ai creditori di rifiutare l'adempimento dei contratti o di provocarne la risoluzione per il mancato pagamento dei crediti. Recenti pronunce (Trib. Parma 10 luglio 2022), ritenendo possibile lo squilibrio contrattuale in sede di concessione di misure cautelari, hanno consentito la sospensione delle linee bancarie autoliquidanti e delle relative compensazioni, pur non presupponendo esse la sospensione delle reciproche prestazioni.

Non resta che attendere al riguardo le prime pronunce giurisprudenziali conseguenti al caro bollette, tema attuale in questo momento storico, risultando del resto ragionevole che, a fronte della concessione della misura cautelare della sospensione dell'obbligo di pagamento, la controparte non possa sospendere l'adempimento della propria prestazione di fornitura di energia elettrica o di gas, essenziale per la prosecuzione della attività aziendale.

Misure protettive e cautelari nell'accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza: durata e procedimento

- Durata

Come noto, le misure cautelari esauriscono la loro funzione con l'emanazione dei provvedimenti cui sono strumentalmente collegate e, pertanto, restano valide fino alla sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale ovvero fino all'omologa del concordato o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.

Le misure protettive hanno invece una durata stabilita dal giudice che le emette, entro il limite massimo di 12 mesi di cui all'art. 8 CCII e cessano automaticamente alla loro scadenza. Ai sensi dell'art. 55, comma 4, CCII, tuttavia, la durata di tali misure può essere prorogata, su istanza del debitore o del creditore, entro il termine massimo di un anno qualora ricorrano due presupposti: a) siano stati compiuti significativi progressi nelle trattative sul piano della ristrutturazione e b) la proroga non rechi ingiusto pregiudizio ai diritti e agli interessi delle parti interessate. Recentemente la giurisprudenza (Trib. Padova, 12 ottobre 2022) ha concesso la proroga delle misure protettive nonostante l'esperto avesse evidenziato un disequilibrio nelle condizioni economico-finanziarie dell'impresa cagionato dai rincari delle bollette dell'energia elettrica e del gas e dalla pandemia da COVID19: l'esperto, infatti, aveva altresì ritenuto che tali difficoltà fossero superabili durante il periodo di proroga e che il piano predisposto per il periodo successivo avrebbe portato ad un ritorno dell'equilibrio economico finanziario.

Si pone quindi il tema, con riferimento alle misure protettive, di cosa accada se giungono a scadenza mentre le procedure di accesso alla regolazione della crisi o dell'insolvenza sono ancora in corso.

Una volta cessata la loro efficacia, infatti, i creditori riprendono la facoltà di promuovere o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore. .

Nel caso della liquidazione giudiziale la questione viene risolta agevolmente mediante l'art. 150 CCII, che prevede il divieto di azioni individuali esecutive e cautelari dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale: da tale momento tutte le azioni attive passano in capo al curatore fallimentare e i diritti di credito devono essere fatti valere nel concorso mediante specifica istanza di insinuazione al passivo. La durata delle misure protettive dovrebbe quindi essere sufficiente a coprire, eventualmente anche mediante proroga, il periodo dell'istruttoria prefallimentare.

Per quanto riguarda gli accordi di ristrutturazione dei debiti, nessun problema si pone per i creditori che aderiscono all'accordo in quanto restano vincolati all'accordo con la conseguenza di non poter intraprendere azioni esecutive o cautelari sui beni dell'impresa. Con riferimento ai creditori estranei all'accordo, si deve considerare che l'imprenditore è obbligato, ai sensi dell'art. 57, comma 3, CCII, al loro pagamento integrale entro centoventi giorni dall'omologa o dalla data di scadenza del credito se successiva: il caso in cui i creditori anche estranei procedano ad azioni esecutive, scaduta la durata delle misure protettive, sembrerebbe di scuola, in quanto il piano proposto dall'imprenditore e omologato è stato attestato dall'esperto, che ha adeguatamente considerato la concreta possibilità di onorare per l'intero tali debiti entro il termine dovuto.

Il tema si pone invero con maggiore forza nel concordato preventivo, soprattutto nel caso di proposizione della domanda in bianco: in tale ipotesi, infatti, considerato che centoventi giorni potrebbero essere trascorsi ai fini del deposito della domanda piena ai sensi dell'art. 44 CCII, l'omologa deve intervenire entro i successivi 8 mesi al fine di non avere un periodo scoperto dalla tutela delle misure protettive che al massimo possono avere durata di 12 mesi.

Tuttavia, il problema si ripropone anche successivamente all'omologa: non sussiste, infatti, una norma espressa che vieti gli atti esecutivi e cautelari sui beni compresi nella procedura dopo che l'omologa diviene definitiva, analogamente a quanto invece accade nella liquidazione giudiziale: i creditori dovrebbero però rispettare il piano che hanno votato e pertanto non dovrebbero poter procedere ad atti esecutivi. Certamente una norma che vieti tali atti con certezza sarebbe auspicabile.

- Procedimento

Il procedimento per la concessione delle misure protettive e cautelari è disciplinato nell'ambito del procedimento unitario, agli artt. 54-55 CCII, e si differenzia a seconda della tipologia di misura richiesta.

Senza addentrarci nella disciplina del procedimento, che esula dall'oggetto della presente trattazione (per una disamina chiara cfr. A. Carratta, Le misure cautelari e protettive nel CCII dopo il D.lgs. n. 83/2022, in Riv. Dir. fall., 2022, 859 ss.), si osserva soltanto che la disciplina contempla due macrocategorie: (i) misure protettive per le quali l'intervento giudiziale è in funzione di conferma o revoca della protezione automatica (si tratta delle misure di cui all'art. 54 comma 2, primo e secondo periodo, disciplinate dall'art. 55 comma 3); (ii) misure cautelari e protettive per le quali l'intervento giudiziale è in funzione dell'attivazione della protezione (sono le misure di cui all'art. 54, comma 1 e art. 54, comma 2, terzo periodo, e art. 5, comma 3, disciplinate dall' art. 55 comma 2).

Con riferimento alla prima categoria si osserva che il giudice deve confermare o revocare le misure protettive entro 30 giorni dall'iscrizione della domanda nel registro delle imprese , con la conseguenza che se il Tribunale non si pronuncia in merito, le misure decadono automaticamente con evidenti aspetti di criticità.

A differenza del meccanismo di automatic stay di cui alla legge fallimentare qui l'impresa si potrebbe infatti trovare priva della tutela protettiva solo a causa dei tempi lunghi della giustizia.

D'altronde se è pur vero che il nuovo Codice premia l'imprenditore che tenta di ristrutturare la sua impresa e salva altresì posti di lavoro, proteggendolo dalle azioni esecutive e cautelari dei creditori fin dal momento delle trattative e anche nel caso di proposta di una domanda di accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva diversa da quella indicata originariamente, è altrettanto vero che, poiché tali misure risultano particolarmente incisive per i creditori che potrebbero avere bisogno di recuperare il loro credito in tempi brevi e pertanto le loro difficoltà potrebbero comportare una cascata di imprese di filiera in crisi, risulta necessario che esse vengano concesse non in via automatica ma a seguito di un controllo operato dal Tribunale.

Altro aspetto di criticità è l'assenza di garanzia del contradditorio per quanto riguarda la concessione delle misure protettive di cui alla prima categoria: il giudice deve confermarle o revocarle sulla base delle prove documentali di cui alla domanda. Risulta però singolare che nemmeno il debitore venga sentito: egli subisce l'eventuale revoca delle misure senza poter opporre alcunché, residuando soltanto la possibilità di reclamo. Nel frattempo, però, la via resta libera per le azioni esecutive e cautelari sui beni del debitore, con buona pace del principio di favore per la conservazione dell'impresa. Si auspica che il vuoto normativo venga colmato.

Nella composizione negoziata

Ai sensi dell'art. 18 CCII le misure protettive possono essere concesse anche nell'ambito della nuova procedura di composizione negoziata. Si tratta per lo più delle stesse misure già esaminate.

L'art. 19 CCII prevede altresì la possibilità di adozione di misure cautelari necessarie per condurre a termine il risanamento dell'impresa. Tuttavia, proprio per tale finalità si differenziano dalle misure cautelari di cui all'art. 54 CCII, funzionali invece ad assicurare il conseguimento degli effetti delle procedure liquidatorie o concordatarie. Ma si tratta di una differenza connaturata alla natura e alle caratteristiche della composizione negoziata, che, sotto la guida dell'esperto, risulta finalizzata a portare l'imprenditore e i suoi creditori a trovare una soluzione che possa consentire all'impresa di uscire dal momento di difficoltà temporanea.

Le misure protettive richieste scattano automaticamente dal momento della pubblicazione della istanza nel registro delle imprese, ma devono poi essere confermate dal Tribunale. Anche in tal caso vale la considerazione sopra espressa con riferimento al mancato automatismo.

Altro aspetto di criticità che è emerso dalle prime pronunce giurisprudenziali riguarda la necessità di una formulazione specifica delle misure protettive e cautelari richieste con l'istanza. Il Tribunale di Milano pare orientato a concedere misure cautelari senza contenuto e destinatari (provvedimento del 24 febbraio 2022), e misure protettive con effetto generalizzato verso tutti i creditori (provvedimento del 27 febbraio 2022; conforme Trib. Padova 25 febbraio 2022; contra, Trib. Bergamo 24 febbraio 2022).

Anche con riguardo a tale aspetto un intervento chiarificatore del legislatore sarebbe auspicabile.

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