Le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla natura del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile. Infatti, secondo l'orientamento della Seconda Sezione – ampiamente illustrato nella ordinanza di rimessione dell'8 febbraio 2022 – “l'impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l'utilità diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialità di una fruizione”. La perdita della disponibilità temporanea del bene, e dunque del suo valore d'uso ovvero di scambio, è risarcibile anche nei casi in cui non sia provato in qual modo il proprietario avrebbe usato di tale disponibilità e “la prova del danno conseguenza (l'impedimento al godimento del fondo) si esaurisce in quella del fatto generatore del danno (l'occupazione del fondo), per cui nel caso della perdita del godimento del bene la prova del danno emergente è in re ipsa” mentre è richiesto al proprietario un maggiore sforzo probatorio quando alleghi il danno da mancato guadagno, dovendo offrire la prova specifica delle occasioni di guadagno perdute.
A questo indirizzo si contrappone l'orientamento della Terza Sezione – ben compendiato nella ordinanza interlocutoria del 17 gennaio 2022 n. 1162 – secondo il quale, definendo come danno in re ipsa quello subito dal proprietario il cui immobile sia stato occupato senza valido titolo da terzi, si “configura un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo, perché il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio, laddove invece ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno conseguenza, per cui il danno da occupazione sine titulo può essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma tale alleggerimento dell'onere probatorio non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto”.
Ritengono le Sezioni Unite che, in realtà, il punto di divergenza tra i due orientamenti non stia nella prova del danno da mancato guadagno, dal momento che è pacifico – anche per la tesi del danno in re ipsa – che mai sarà tale il lucro cessante, incombendo sul danneggiato l'onere di allegarlo e di dimostrarlo anche facendo ricorso a presunzioni semplici. Vi è invece insanabile contrasto “in relazione alla facoltà di godere del proprietario quale individuazione dell'esistenza di un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facoltà il proprietario sia stato privato a causa dell'occupazione abusiva dell'oggetto del suo diritto”.
Quindi le Sezioni Unite delimitano il perimetro, escludendo dalla problematica del danno in re ipsa sia il pregiudizio lamentato dal proprietario che – a causa della illegittima occupazione – non abbia potuto vendere l'immobile (graverà su costui l'onere di dimostrare il mancato guadagno allegando e provando di non avere potuto alienare) sia il pregiudizio consistente nel non avere potuto lucrare un canone di locazione superiore a quello di mercato (anche in questo caso chi lamenta il danno dovrà dare prova di avere perduto questa occasione di guadagno non bastando la mera allegazione).
Esula dall'ambito di indagine anche occupazione che sia divenuta illegittima per sopravvenuto venire meno del titolo, che troverà adeguata tutela nell'art. 1591 c.c. e, più in generale, nel regime della responsabilità contrattuale delineato dall'art. 1218 c.c.
Così circoscritto il campo, le Sezioni Unite chiariscono immediatamente che “le due ordinanze interlocutorie esprimono una divergenza che non può essere ricomposta con l'artificio secondo cui il danno in re ipsa significherebbe in realtà prova in re ipsa, per cui non si tratterebbe altro che di una forma di presunzione ricavata dai fatti noti della condotta non iure dell'occupante e della tipologia del bene destinato ad impiego fruttifero”.
Quindi le Sezioni Unite passano ad esaminare le due tesi contrapposte.
Secondo la teoria del danno in re ipsa – cui aderisce la Seconda Sezione Civile – “l'oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato, da cui l'esistenza del pregiudizio per il solo fatto della violazione del diritto medesimo”.
Più esattamente, poiché “i diritti reali, in quanto diritti su cose, hanno la caratteristica della dissociazione fra contenuto del diritto ed oggetto del diritto”, si ha una situazione di antigiuridicità non solo quando è arrecato un danno alla cosa (che sarebbe un danno conseguenza) ma anche quando è leso il contenuto del diritto: in questo caso, essendo impedita la natura fruttifera del bene, il danno è in re ipsa ovvero, secondo una più recente definizione, è un “danno normale” o “danno presunto” che ammette tuttavia la prova contraria, nel senso che il convenuto può dimostrare che nessun pregiudizio ha sofferto il proprietario che si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile.
Secondo la teoria causale del danno – cui invece aderisce la Terza Sezione Civile - l' applicazione dell'art. 1223 c.c. (cui rinvia espressamente l'art. 2056 c.c.) implica (affinché sia dato un danno risarcibile) l' indispensabile sussistenza del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli meritevoli di ristoro: siffatta regola non soffre eccezioni neppure quando il fatto illecito è costituito dalla occupazione senza titolo di un immobile, dovendosi tenere ben distinto il “danno conseguente all'impossessamento sine titulo, in quanto danno conseguenza”, che deve essere allegato e provato anche a mezzo di presunzioni, dall'evento “di danno rappresentato dalla mancata disponibilità dell'immobile a causa dell'abusiva occupazione”.
Ebbene, alla questione posta dal contrasto, e cioè “se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria”, ritengono le Sezioni Unite di rispondere affermativamente “nei termini emersi nella richiamata linea evolutiva della giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, secondo cui la locuzione danno in re ipsa va sostituita con quella di danno presunto o danno normale, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato”.
Evidenziano preliminarmente le Sezioni Unite che alla violazione del contenuto del diritto di proprietà l'ordinamento appronta due distinte forme di tutela, una – di natura reale – orientata al futuro e diretta a rispristinare l'ordine “formale violato mediante l'accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo”; l'altra – avente natura risarcitoria – orientata al passato, costituendo la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita.
Proseguono le Sezioni Unite affermando che “mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l'alterazione dell'ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata”.
Ne discende che il fatto costitutivo dell'azione risarcitoria giammai può “coincidere senza residui con quello dell'azione di rivendicazione” ma deve “contenere l'ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile”.
Tanto significa “tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, tra causalità materiale e causalità giuridica”.
Fatte queste premesse, le Sezioni Unite entrano nel merito della questione facendosi innanzitutto carico di definire “il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà”
A tale fine deve essere operata una “distinzione fra la lesione del bene costituente l'oggetto del diritto di proprietà e la lesione del contenuto stesso del diritto”.
Se l'azione dannosa attinge il bene, “l'evento di danno è rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà” e dunque è indispensabile, per potersi parlare di danno risarcibile, che al profilo dell'ingiustizia (in cui si estrinseca la violazione del diritto) si associ quello del danno conseguenza, gravando sulla parte danneggiata l'onere di dimostrare la perdita subita e/o il mancato guadagno nonché che questi pregiudizi, alla luce del nesso di causalità giuridica, siano una conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso.
E per chiarire il concetto le Sezioni Unite ricorrono all'esempio del danno da c.d. fermo tecnico, per il quale è necessaria la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo.
Se l'azione lesiva invece attinge il contenuto del diritto di proprietà, “l'ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell'ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso”, la quale può eventualmente concorrere con la misura restitutoria del bene: la Corte intende qui fare riferimento agli effetti previsti dall'azione ex art. 1148 c.c., ed in particolare all'obbligo del possessore di restituire i frutti percepiti dopo la domanda giudiziale di rivendica, precisando che “sia la cosa che i frutti appartengono alla disciplina dei beni e perciò restano nell'alveo dell'azione di rivendicazione sotto il profilo degli effetti restitutori”.
Altro è invece il presupposto della eventuale domanda risarcitoria, la quale – affinché possa configurarsi un danno risarcibile – richiede che la lesione “del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell'ordine formale, ma anche come evento di danno”.
In questo secondo caso l'evento di danno non riguarda la cosa, bensì il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa.
Quindi l'evento di danno si identifica nella violazione del diritto di godere della cosa mentre il danno conseguenza (e dunque risarcibile) si identifica con la concreta possibilità di godimento che è andata perduta.
Se si salda il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilità di godimento persa, ovvero – e detto altrimenti – se il danno conseguenza, in nome della regola della causalità giuridica, consiste nella concreta possibilità di godimento persa, “per un verso si rende risarcibile il contenuto del diritto violato, in ossequio alla teoria normativa del danno, per l'altro si riconduce la violazione giuridica a una specifica perdita subita, in ossequio alla teoria causale”.
Concreta possibilità di godimento la cui perdita l'attore dovrà allegare sempre, con la sola eccezione del caso in cui il bene immobile sia stato occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione.
Qui l'art. 42-bis D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, e cioè “la determinazione legislativa in via forfettatia dell'indennizzo, senza esigere dal proprietario l'allegazione della mancata possibilità di godimento nel periodo di occupazione senza titolo, salva la possibilità per entrambe le parti del giudizio di dimostrare la diversa entità del danno in concreto (in melius o in pejus rispetto a quel limite – per il proprietario ad esempio la perdita di occasioni particolari di profitto), costituisce una valutazione legale tipica di pregiudizio e di relativa compensazione” che troverebbe la sua giustificazione nel rapporto istituzionalmente asimmetrico esistente tra il privato e la pubblica amministrazione.
Nella comune fattispecie di occupazione abusiva di immobile, quindi, la parte sarà gravata dall'onere di allegare la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento (diretto o indiretto mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri) che è andata persa, con una serie di conseguenze sul piano probatorio che le Sezioni Unite si fanno carico di esplicitare.
Invero, la suddetta allegazione potrà essere contestata dal convenuto che si sia ritualmente costituito, il quale dovrà eccepire in maniera specifica “che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento”; in tal caso, sorgerà “per l'attore l'onere della prova dello specifico godimento perso”, che potrà essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o mediante presunzioni semplici.
Sicché, “nel caso della presunzione l'attore ha l'onere di allegare, e provare se specificamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa”, fermo restando che – ai fini della sua liquidazione – il danno potrà essere valutato equitativamente attingendo al parametro del canone locativo di mercato.
Viceversa, “se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall'occupazione abusiva, l'onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi”, e dunque non sarà sufficiente allegare di avere perduto in concreto il godimento, benché l'onus probandi possa essere ugualmente assolto facendo ricorso al notorio o alle presunzioni semplici e comunque alla consolidata giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c.
Diventa decisivo, pertanto, l'onere di contestazione tanto nel caso in cui la parte che si assume danneggiata dalla altrui occupazione senza titolo lamenti un danno emergente quanto nel caso in cui lamenti il lucro cessante: se il convenuto omette di contestare in maniera specifica quanto lamentato dall'attore, il fatto si intenderà pacifico e non bisognoso di prova, dovendosi però tenere a mente che l'onere di contestazione (la cui inosservanza libera l'attore dall'onere probatorio) sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta.
Tuttavia, ed alla luce del “criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento”, l'esistenza di eventuali fatti ignoti alla parte convenuta (rispetto ai quali l'onere probatorio a carico dell'attore rimane integro) sarà più ricorrente nelle ipotesi in cui sia allegato il mancato guadagno e non la mera perdita.
Ciò vuol dire, sul piano pratico, “la maggiore ricorrenza per il convenuto dell'onere di contestazione […] nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l'attore dell'onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno”.
Si chiariscono, così, le nozioni di “danno normale” e “danno presunto” di cui le Sezioni Unite hanno dato atto richiamando la più recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile: queste, quando oggetto della domanda risarcitoria è la perdita subita, rinviano “a una maggiore frequenza dell'onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l'attore dell'onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell'occupazione abusiva”.