Operazioni penalmente rilevanti anche per aggravamento del dissesto preesistente, ma a certe condizioni

31 Gennaio 2023

La Cassazione Penale si pronuncia su una fattispecie di c.d. bancarotta da dissesto, analizzando in particolare la rilevanza del nesso causale tra le operazioni dolose, poste in essere dagli amministratori della società, e il preesistente dissesto dell'ente.
Massima

In tema di bancarotta da dissesto conseguente ad operazioni dolose, se una condotta dell'amministratore che aggravi un dissesto economico dell'azienda già esistente può dirsi penalmente rilevante, al contempo in tali circostanze occorre verificare la portata causale di tali comportamenti, oltre che l'incidenza rispetto al complessivo dissesto, dovendosi indagare in concreto la sussistenza del nesso eziologico.

Il caso

In sede di merito veniva dichiarata la responsabilità penale dell'amministratore di una società fallita per il reato – per quanto di interesse in questa sede – di bancarotta societaria per effetto di operazioni dolose (consistite nel mancato continuo e ripetuto pagamento di quanto dovuto a titolo di imposte e contributo previdenziali) ai sensi dell'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., avendo così cagionato il fallimento della società da lui gestita.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa evidenziava come l'imputato era stato nominato amministratore di diritto quando la società era già inattiva e che il fallimento si sarebbe comunque verificato, anche senza l'omissione nei pagamenti dei tributi pregressi addebitabile all'imputato. Per altro la Corte territoriale non avrebbe accertato, secondo la difesa, quale sarebbe stato il contributo dell'imputato al dissesto che procurò il fallimento. In terzo luogo, si sosteneva che il mancato pagamento delle somme dovute all'erario, stante la circostanza che era finalizzata a consentire la prosecuzione dell'attività, sulla scorta della ritenuta opinione che la stessa potesse superare la crisi economica in cui versava, potesse essere qualificata come ipotesi di bancarotta semplice per grave imprudenza, per operazioni manifestamente imprudenti, ovvero per aver aggravato il dissesto non avendo richiesto la dichiarazione di fallimento.

Le questioni

Dopo che per lungo tempo, la norma di cui all'art. 223, comma 2 n. 2, l.fall., che richiama la fattispecie cd. di bancarotta da dissesto, è stata sostanzialmente disapplicata dalla giurisprudenza (PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, Commentario Scialoja – Branca. Legge fallimentare, a cura di GALGANO, Bologna – Roma 1995, 326; MANGANO, La causazione del fallimento, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 1991, 463), si assiste ad un costante ricorso a tale previsione incriminatrice sostenendo che le operazioni dolose di cui al citato art. 223 possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (Cass. Pen., sez. V, 19 febbraio 2018, n. 24752; Cass. Pen., 18 febbraio 2021, n. 22765) e ciò anche in caso tali condotte abbiano determinato in un primo breve periodo un arricchimento del patrimonio sociale - come per l'appunto nel caso di commissione di illeciti a vantaggio della società, come nell'ipotesi di omesso versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell'esposizione debitoria della società (Cass. pen., sez. V, 20/07/2022, n. 28673) - in quanto è astrattamente prevedibile da parte degli amministratori per effetto della loro concreta previsione dell'accertamento delle pregresse attività illecite da parte del soggetto immediatamente danneggiato da tali attività (Cass. pen., sez. V, 20/07/2022, n. 28673).

La dottrina è assai critica nei confronti di questa conclusione (CAVALLINI, La bancarotta patrimoniale fra legge fallimentare e codice dell'insolvenza, Padova 2012, 79; DESTITO, Diritto penale fallimentare, in SANTORIELLO (a cura di), La disciplina penale dell'economia, vol. I, Torino 2008, 251; CHIARAVIGLIO, La rilevanza dell'omesso versamento di contributi nel diritto penale del fallimento, in Soc., 2015, 893; MICHELETTI, La bancarotta societaria preterintenzionale. Una rilettura del delitto di operazioni dolose con effetto il fallimento, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2014, 65) sia in ragione del fatto che l'omissione (intesa quale mancato versamento delle imposte), in quanto tale, esula dal campo semantico del significante “operazione”, sia – sempre con riferimento ai diversi illeciti tributari – in quanto il sacrificio di soci o creditori uti singuli considerati “può assumere rilievo nel contesto tipico solo se conseguenziale al pregiudizio della società”, profilandosi altrimenti una “disomogeneità lesiva tra condotte in evento (in questo caso, fra la violazione di un obbligo verso un solo creditore – il fisco – ed i potenziali effetti benefici da ciò derivanti per i residui creditori in termini di incremento patrimoniale, da un lato, ed il dissesto, dall'altro)”.

In ogni caso, si ritiene che le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2 n. 2, l. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l'impresa, posto che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall'art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (Cass., sez. V, 15.12.2022, n. 47376; Cass., sez. V, 27 ottobre 2022, n. 40791).

Quanto alla distinzione rispetto alle ipotesi delittuose di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma 1, e 216, comma 1, n. 1), legge fall.. si ritiene che in queste ultime circostanze le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono direttamente caratterizzate, secondo una valutazione ex ante, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata (Cass., sez. V, 25 febbraio 2020, n. 12945).

Ci si chiede se quei fatti che sono esclusi dal penalmente rilevante dalle previsioni di reato societario elencate dal n. 1 del comma 2 dell'art. 223 possano considerarsi, invece, rilevanti quanto alla consumazione del reato di bancarotta societaria ai sensi del n. 2: si pensi, quale caso più rilevante, ad una condotta di falso contabile analoga a quella descritta nell'art. 2622 c.c., ma che non superi le soglie di punibilità previste da tale disposizione. Secondo la dottrina, la formulazione della norma che prevede il reato societario, in casi come questo, non ha solo la funzione di prevedere la punibilità di alcuni fatti, ma anche di escluderla per fatti attigui, ma che difettano per un qualcosa previsto dalla fattispecie; quindi, una volta che dalla legge se ne ricava la non illiceità di tali fatti sotto il profilo del diritto penale societario, parrebbe fuorviante - anche a proposito di un eventuale “affidamento” del soggetto agente - ritenerne la rilevanza penale per il reato di bancarotta (DESTITO, Diritto penale fallimentare, cit.,251). Questa impostazione è stata tuttavia rigettata dalla Cassazione, la quale ha ritenuto che le operazioni dolose di cui fa menzione la disposizione in discorso possono essere anche rappresentate da mendaci esposizioni in bilancio che non superino le soglie di punibilità in precedenza previste dagli artt. 2621 e 2622 c.c. (Cass. pen., sez. V, 23/08/2016, n. 35365).

Da tempo la giurisprudenza ribadisce che non interrompe il nesso di causalità tra l'operazione dolosa e l'evento fallimentare la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all'art. 41 c.p. (Cass. pen., sez. V, 21/10/2021, n. 37885; Cass. pen., sez. V, 01/06/2018, n. 24752). In sostanza, ai fini del reato di bancarotta impropria in discorso, il nesso di causalità fra l'operazione dolosa l'evento, costituito dal fallimento della società non è escluso dal fatto che l'operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l'aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che dichiara, e me distinta da quello di dissesto, nozione che ha natura economica (Cass. pen., sez. V, 12/01/2022, n. 680); tuttavia, in questi casi, se anche il solo aggravamento del dissesto rileva penalmente, occorre però verificarne l'esistenza e la portata quanto al profilo causale, oltre che l'incidenza rispetto al complessivo dissesto, dovendosi indagare in concreto la sussistenza del nesso eziologico

In ogni caso, l'aggravamento del dissesto deve essere considerato globalmente e non già con riferimento a singole situazioni debitorie, sicché quando l'entità complessiva del medesimo sia comunque rimasta invariata o sia stata persino ridotta, la circostanza che la condotta abusiva abbia incrementato determinate voci di passivo non giustifica, di per sé, un'affermazione di responsabilità ai sensi della disposizione in questione, salvo che non si accerti che la diminuzione del passivo, con riguardo ad altre voci, sia stata causata da fattori autonomi ed indipendenti. Solo in questo caso, infatti, è possibile affermare che, essendo per tali fattori migliorata la situazione, la condotta del soggetto, in sé considerata, ha comunque comportato un peggioramento (Cass. pen., sez. I, 20/05/2022, n. 19874). E' per questa ragione che si ritiene che in caso di omissione consistente nell'inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali, tale circostanza, per essere rilevante ai sensi dell'art. 223, comma 2 n. 2, l.fall. deve avere carattere sistematico, esteso, e consistenza tale da causare il dissesto o determinarne l'aggravamento: il termine "operazione" è infatti termine semanticamente più ampio dell' "azione", intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l'insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

La decisione ribadisce i principi generali sopra riassunti in tema di bancarotta da dissesto per operazioni dolose, riconoscendo che tale fattispecie delittuosa può essere integrata dalla violazione - deliberata, sistematica e protratta nel tempo - dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell'esposizione debitoria della società, sempre che, per l'appunto, l'omissione consistente nell'inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali abbia carattere sistematico, esteso, e consistenza tale da causare il dissesto o determinarne l'aggravamento, così come si ripete che anche il solo aggravamento di un dissesto aziendale – già riscontrabile in azienda – può essere penalmente rilevante.

Posto ciò, la decisione della Cassazione evidenzia come l'imputato fosse stato nominato amministratore unico della società fallita quando l'esposizione debitoria della stessa era già imponente e non vi era alcuna possibilità di risanamento. Questa circostanza, come detto, non precludeva di ritenere anche l'imputato responsabile (non della causazione, ma) dell'aggravamento del dissesto in ragione di suoi eventuali censurabili comportamenti ma una tale conclusione avrebbe richiesto che si precisasse quale fosse stato il debito maturato nel periodo di amministrazione da lui gestito a fronte del complessivo debito preesistente perché già maturato, tanto più che la società aveva cessato l'attività da «qualche tempo» rispetto alla nomina del nuovo amministratore, cosicché l'inattività potrebbe aver escluso o ridotto il sorgere di ulteriori doveri previdenziali e tributari.

In sostanza, secondo la Cassazione, se anche il solo aggravamento del dissesto rileva penalmente, occorre però verificarne l'esistenza e la portata quanto al profilo causale, oltre che l'incidenza rispetto al complessivo dissesto, dovendosi indagare in concreto la sussistenza del nesso eziologico, anche per dare risposta — non intervenuta con la sentenza impugnata — alla censura proposta con il secondo motivo di appello in ordine alla assenza di incidenza, sull'entità del debito tributario, delle condotte dell'imputato.

Questa valutazione, secondo la decisione, è necessaria anche in considerazione della circostanza che dalla entità dell'aggravamento potranno trarsi elementi anche in ordine al dolo della condotta contestata, valutando cioè se la stessa integra il delitto di bancarotta da dissesto o un'ipotesi di bancarotta semplice per ritardata istanza di fallimento.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione pare decisamente condivisibile in quanto precisa le condizioni in presenza delle quali assume rilievo ai sensi dell'art. 223, comma 2 n. 2, R.D. n. 267 del 1942 la violazione di altre norme penali da parte dei vertici aziendali. Come si precisa nella pronuncia in commento, le “operazioni dolose” rilevano solo in quanto cagionanti il fallimento della società, per cui le diverse fattispecie di reato devono risultare effettivamente incidenti sul patrimonio della persona giuridica, determinandone un reale depauperamento e la rilevanza del reato commesso sulla capienza del patrimonio societario va verificata in concreto, specie per quei crimini che non presentino un'immediata incidenza sulle attività aziendali. Di conseguenza, sempre in quest'ottica di accorta delimitazione dei comportamenti effettivamente rilevanti in sede fallimentare, non può mai essere data per presupposta la consapevolezza e la volontà (sia pure generica) di provocare il fallimento, attraverso il mancato assolvimento degli obblighi previdenziali e tributari o la violazione di altre prescrizioni normative: al giudice quindi va richiesta una puntuale indagine sulle cause e le circostanze dell'omissione, anche in ragione del fatto che i debiti erariali e previdenziali gravano sul debitore alla stessa maniera degli altri debiti privilegiati e chirografari, sicché non può essere il loro mancato pagamento comportare - sic et simpliciter - responsabilità ex art. 223, comma 2, legge fall..

L'ultima osservazione funge da premessa ad una riflessione su un ulteriore profilo del reato in commento su cui si registra una divaricazione di opinioni, ovvero la definizione dell'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione della fattispecie incriminatrice: ovviamente si è in presenza di un delitto doloso ma è però necessario individuare la tipologia e l'intensità di tale volontà, posto che è proprio il carattere del dolo a segnare il criterio differenziale fra tale illecito rispetto a quello di bancarotta di cui all'art. 216 (Cass., sez. V, 14 febbraio 2017, n., 6904) ed all'ipotesi di causazione dolosa del fallimento richiamata dalla medesima previsione.

Secondo la giurisprudenza, la previsione normativa richiede il mero "dolo generico" rispetto all'operazione (qui si situa la differenza rispetto all'altra fattispecie disegnata dall'art. 223, comma 2 n. 2, l.fall.), mentre non sarebbe necessario che il soggetto preveda o voglia l'esito fallimentare. In proposito, in più occasioni la Cassazione ha affermato che si sarebbe in presenza di un'eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, per cui sarebbe sufficiente la prova della consapevolezza e volontà da parte del soggetto attivo della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nonché dell'astratta prevedibilità dell'evento di dissesto quale effetto dell'azione antidoverosa (Cass., sez. V, 14 febbraio 2017, n. 6904, secondo cui non vi sarebbe significativa differenza fra l'ipotesi in cui il fallimento è cagionato con dolo e l'ipotesi in cui il fallimento è la risultanza di operazioni dolose, posto che "la diversa rilevanza del dolo avrebbe una funzione di superfetazione descrittiva, atteso che qualora per l'integrazione di una fattispecie appaia sufficiente un elemento soggettivo di tipo preterintenzionale - quale quello delineato dalla giurisprudenza in relazione al cagionamento del fallimento per effetto di operazioni dolose - detto elemento soggettivo è già più che sufficiente ai fini dell'integrazione del reato, non comprendendosi la necessità di individuare un diverso elemento soggettivo a fronte di una condotta che, sotto l'aspetto della sua individuazione, non può che concretarsi in operazioni societarie anche nel caso di cagionamento del fallimento con dolo". Nello stesso senso Cass., sez. V, 1 giugno 2018, n. 24752).

Conclusioni

La ricostruzione esaminata supra comporta conseguenze di non poco momento sotto il profilo della definizione dell'onere probatorio dell'accusa, la quale ben può limitarsi a dimostrare la consapevolezza e volontà da parte dell'amministratore di rendersi inosservante ai doveri su di esso gravanti in ragione del ruolo apicale rivestito all'interno dell'ente e delle possibili conseguenze deleterie che possono derivarne, non essendo invece necessaria né la rappresentazione né la volontà dell'evento fallimentare (Cass., sez. V, 1 giugno 2019, n. 1984; Cass., sez. V, 10 gennaio 2018, n. 633. In dottrina, CASAROLI, La causazione dolosa del fallimento di società da parte di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, in Ind. Pen., 1978, 437; CONTI, Diritto penale commerciale, II, 2 ed., Torino 1991, 215).

Questa ricostruzione non incontra però il favore della dottrina che, nel tentativo di rendere la disposizione in commento più aderente al principio costituzionale di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., ritiene che la norma richieda comunque che il soggetto agisca con l'intento di ledere gli interessi dei creditori e della massa fallimentare (MANGANO, La causazione del fallimento, cit., 459; PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova, 2001, 335) o quanto meno che l'evento più grave (il dissesto societario) sia rimproverabile al soggetto agente avendogli egli dato corso per imprudenza, negligenza o imperizia (DESTITO, Diritto penale fallimentare, cit., 118; PUTINATI, La nuova bancarotta "societaria" di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, legge fallimentare. Problemi di imputazione oggettiva e soggettiva, in Dir. Prat. Soc., 2002, n. 11, 17).

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