Alla Corte è stato in primo luogo chiesto se l'art. 42, lett. a) in combinato con l'art. 197, par. 1, lett. c), della Dir. IVA 2006/112, consenta di ritenere che, nell'ambito di un'operazione triangolare, l'acquirente finale sia validamente designato come debitore dell'IVA nel caso in cui la fattura emessa dall'acquirente intermedio (promotore austriaco) non contenga la dicitura “inversione contabile”.
Le operazioni triangolari intracomunitarie IVA, rappresentano un particolare tipo di operazione a catena, sulle quali in particolare la Corte UE, come ricorda l'Avv. gen. Kokott, “non si è finora quasi mai pronunciata” (v. al p. 2 delle conclusioni dell'Avv. gen. che richiama l'unico precedente C‑580/16).
La triangolare è un'operazione mediante la quale un bene è ceduto da un fornitore (identificato ai fini IVA nello Stato membro A) ad un acquirente intermedio promotore della triangolazione (identificato ai fini IVA nello Stato membro B), il quale a sua volta lo cede ad un acquirente finale (identificato ai fini IVA nello Stato membro C), bene che viene poi trasportato direttamente dal primo Stato membro al terzo Stato membro.
Ai fini di semplificazione, con la Dir. 92/111 CEE (operante modifiche alla Sesta Dir. IVA 77/388), il legislatore unionale aveva previsto che, nella “triangolazione comunitaria”, fosse consentito in capo all'operatore intermedio l'esclusione dall'obbligo di nomina del rappresentante fiscale a condizione che fosse designato, quale debitore d'imposta, il cessionario/destinatario finale, nello Stato della consegna del bene, mediante il meccanismo del reverse charge (inversione contabile) applicato in fattura.
In tal modo, ricorrendo i requisiti normativi (v. l'attuale art. 141 in combinato disposto con gli artt. 42, 197 e 226 n. 11 bis), della Dir. IVA 2006/112), si consente all'acquirente intermedio (società interposta dello Stato B) di evitare l'identificazione ai fini IVA (diretta o a mezzo rappresentante fiscale) nel paese di destinazione (Stato C), prevedendo che l'acquisto intra UE venga sottoposto a condizione sospensiva nello Stato di attribuzione del numero di identificazione IVA utilizzato (Stato B), trasferendo il debito IVA all'ultimo soggetto della catena che assolverà l'imposta (nello Stato C) qualora la fattura faccia espresso riferimento al trasferimento di detto debito.
Come correttamente ricordato (v. la nota n. 15 al p. 38 delle conclusioni dell'Avv. gen. Bot nella causa C-580/16), tale meccanismo semplificativo, oggetto di una norma speciale nella Dir. IVA, non è obbligatorio, dal momento che “gli acquirenti possono scegliere l'assoggettamento al regime generale in cui il soggetto passivo intermediario deve adempiere gli obblighi fiscali ad esso incombenti sia nello Stato membro di partenza del bene, in cui questi effettua una cessione intracomunitaria, sia nello Stato membro di arrivo del bene, in cui questi effettua un acquisto intracomunitario, seguito da una cessione interna per la quale è debitore d'imposta il cliente finale” (v. anche l'excursus storico in argomento nelle concl. dell'Avv. gen. Kokott nella causa C‑409/04, par. da 24 a 29).
Le operazioni triangolari vanno tenute distinte dalle operazioni consecutive a catena, rappresentando le prime “una particolare forma di contratto a catena in cui, tuttavia, la catena delle cessioni è costituita da imprese provenienti da almeno tre Stati membri” (v. le concl. Avv. Kokott, p. 65, causa C-245/04), ed in relazione alle quali l'operazione è compiuta da un acquirente intermediario, anche detto cedente-cessionario, che decide allo stesso momento (unicità dell'operazione) “di acquistare per rivendere e di far trasportare i beni direttamente dal proprio fornitore al proprio cliente. In tal caso, il diritto di disporre del bene in quanto proprietario sarà necessariamente trasferito al primo acquirente dal momento che compie l'acquisto intracomunitario colui che ordina il trasporto (unicità del trasporto)” (v. le concl. dell'Avv. gen. Bot, p. 50, nella causa C-580/16).
Al ricorrere dei requisiti previsti dall'art. 141 della Dir. IVA per applicare la semplificazione delle operazioni triangolari, secondo quanto riportato nelle Note esplicative della Commissione UE del 20.12.2019 (v. p. 3.6.17. “Semplificazione delle operazioni triangolari”), la tassazione dell'operazione seguirà il seguente schema:
- A effettuerà una cessione intra UE nello Stato membro 1 (esente se sono soddisfatte tutte le condizioni dell'art. 138 della Dir. IVA);
- effettuerà un acquisto intra UE nello Stato membro 3 (l'art. 141 della Dir. IVA esclude l'imposizione dell'IVA su tale acquisto);
- B effettuerà una cessione interna a C nello Stato membro 3, e C sarà debitore dell'IVA in base all'art. 197 della Dir IVA
- B pertanto non dovrà registrare e contabilizzare l'IVA né nello Stato membro 1 né nello Stato membro 3. Inoltre, per essere certo di non essere tassato nello Stato membro 2 a seguito di un acquisto intracomunitario, B deve soddisfare le condizioni di cui all'art. 42 della Dir IVA.
Per rispondere al primo quesito, la Corte UE ricorda (v. p. 42 e ss.) che l'operazione triangolare beneficia di una disciplina derogatoria (esposta in precedenza), risultante dalla combinazione tra la regola, prevista all'art. 40, e la deroga che deriva dall'art. 42 della Dir. IVA.
Per garantire la corretta applicazione di tale regola, l'art. 41 della direttiva prevede che, il luogo dell'acquisto intracomunitario di beni “si considera situato nel territorio dello Stato membro che ha attribuito il numero di identificazione IVA con il quale l'acquirente ha effettuato l'acquisto”, a meno che questo provi che l'acquisto è stato assoggettato ad IVA conformemente all'art. 40, che considera tale il luogo in cui i beni si trovano al momento dell'arrivo a destinazione del cessionario.
L'art. 42 della Dir. IVA deroga all'applicazione della regola, nell'ambito delle operazioni triangolari di cui all'art. 141 della direttiva ed al ricorrere dei requisiti sopra esposti, qualora l'acquirente abbia soddisfatto gli obblighi relativi alla presentazione dell'elenco riepilogativo di cui all'art. 265 della direttiva ed il destinatario sia stato designato come debitore dell'IVA conformemente all'art. 197 che richiama, per quanto qui di interesse, l'art. 226, punto 11 bis, che richiede l'indicazione in fattura della dicitura “inversione contabile”.
Al fine di rispondere alla prima questione, la Corte nel ribadire che (richiama C‑580/16, p. 33) si deve tener conto non solo della lettera dell'art. 42 della direttiva ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla norma, richiama le pregevoli argomentazioni in causa dell'Avv. gen. Kokott la quale, condivisibilmente, ritiene non determinante “stabilire se si tratti di requisiti formali o sostanziali, quanto piuttosto quale sia lo scopo che il legislatore” unionale persegue imponendo detti requisiti formali (v. p. 36).
Solo chiarito ciò sarà poi possibile “decidere se la violazione del requisito formale impedisca di far valere determinati diritti”, assumendo rilievo secondario la classificazione di un requisito della direttiva IVA come formale o sostanziale.
Così ragionando, l'Avv. Kokott prima e la Corte poi, sono giunti a sostenere il carattere non meramente formale della dicitura richiesta dal citato art. 226, p. 11 bis, nella misura in cui l'art. 42 della direttiva, come emerge dalla giurisprudenza della Corte (richiama C‑580/16, p. 37), “precisa e completa le condizioni di applicazione” della misura di semplificazione introdotta dall'art. 141 della direttiva, richiamando entrambi l'art. 197 che impone a sua volta il rispetto delle disposizioni contenute nell'art. 226 della direttiva.
La finalità del regime speciale applicabile all'operazione triangolare intra UE consiste nella semplificazione a beneficio delle parti coinvolte, al ricorrere dei requisiti sopra esposti, i quali presuppongono la scelta (“diritto di opzione”) concessa all'operatore intermedio di designare il destinatario finale come debitore dell'IVA.
Tale opzione ha importanti riflessi ai fini del versamento dell'IVA anche in capo al destinatario, il quale sarà debitore dell'imposta sulla cessione a lui destinata e dovrà versarla non già al cedente intermedio bensì all'Erario dello Stato di destinazione, ma solo se sarà stato posto a conoscenza dei propri obblighi fiscali ed informato correttamente circa la “valutazione giuridica dell'operazione” (importo dell'IVA dovuta e traslata a suo carico) da parte dell'emittente.
La necessità di “certezza” è tanto più imperativa qualora l'emittente “ritenga di non essere tenuto lui stesso, in via eccezionale, al versamento dell'IVA, bensì il destinatario della cessione” (p. 54 della sentenza), dovendo il primo in tal modo garantire al proprio cessionario la “conoscenza dei propri obblighi fiscali”, non potendo “esservi incertezza al riguardo” (v. C‑835/18, p. 22).
Emerge così che la dicitura utilizzata dalla ricorrente, ossia «operazione intracomunitaria a catena esente», non soddisfa in alcun modo il requisito dell'art. 226, p. 11 bis, della Dir. IVA, non risultando al contrario sproporzionato richiedere all'emittente, al fine di godere della semplificazione prevista a suo vantaggio, di redigere la fattura facendo figurare correttamente l'indicazione dell'inversione contabile, e ciò al fine di evitargli di incorrere nella doppia imposizione dell'operazione (v. C‑580/16, p. 50).
Un esempio di dicitura, come osservato in dottrina (v. S. Garelli e F. Manca, in “Operazioni triangolari con l'estero”, Milano, 2022, pag. 55), potrebbe essere il seguente: “Your company is designated as liable por the payment of the VAT due instead of our company, in accordance with Article 141 and 197 of Directive 2006/112/CE”.
Quanto poi alla seconda questione, con cui viene chiesto alla Corte se l'omissione in fattura della dicitura “inversione contabile” possa essere successivamente rettificata mediante l'aggiunta di un'indicazione che precisi che tale fattura riguarda una triangolare intra UE e che il debito d'imposta è trasferito al destinatario della cessione, data la premessa che qualifica tale dicitura quale requisito sostanziale ai fini della non imponibilità in capo al promotore, appare naturale il “rigetto” sul punto da parte della Corte.
Richiamando sul punto le argomentazioni svolte dall'Avv. Kokott (p. 57 e 61), la Corte, condivisibilmente, esclude la rettifica di una fattura priva di un requisito sostanziale, evidenziando che non può essere qualificata in alcun modo come rettifica “l'adempimento a posteriori di una condizione necessaria della fattispecie ai fini del trasferimento del debito IVA al destinatario di una cessione”, bensì solo come emissione per la prima volta della fattura prescritta, che come tale non può avere effetto retroattivo.
Ciò detto, sono nuovamente essenziali le argomentazioni dell'Avv. Kokott, (non “richiamate” dai giudici in sentenza avendo questi dato risposta negativa alla prima parte del quesito), secondo la quale “il quesito vero e proprio non mira a stabilire se sia possibile una rettifica a posteriori di una fattura, bensì quali conseguenze giuridiche derivino dall'emissione a posteriori di una fattura”.
Se da un lato la Dir. IVA non fissa un termine finale per l'utilizzo del “regime semplificato” in commento, rendendo possibile esercitare l'opzione anche a posteriori con l'emissione di una fattura, dall'altro tale “nuovo” documento rettificativo deve essere portato a conoscenza del destinatario finale dei beni.
Quanto poi all'aspetto più delicato, ovvero la presunta retroattività sostenuta dalla ricorrente, viene osservato che “Gli effetti giuridici del regime di semplificazione amministrativa operano ex nunc solo allorché il destinatario abbia ricevuto la corrispondente fattura” (v. p. 61 delle concl.).
Permettere alla ricorrente di comunicare una “nuova” fattura rettificativa per avvalersi retroattivamente del regime semplificato gli consentirebbe, di fatto, di modificare “unilateralmente e retroattivamente” il debito IVA del destinatario il quale, dopo aver già versato l'imposta al suo fornitore (austriaco) a fronte di una fattura “erronea” (dal lato del fornitore si intende), “diventerebbe retroattivamente un debitore d'imposta contro la sua volontà e dovrebbe versare nuovamente l'IVA all'amministrazione finanziaria (dopo averla già pagata alla ricorrente)”.
In tal modo una fattura che contenga la dicitura «inversione contabile» a carico del destinatario della prestazione potrebbe essere emessa anche posteriori, ma solo con effetto ex nunc, e dovrebbe essere ricevuta dal destinatario (v. p. 71 delle concl.).
In conclusione, la conseguenza dell'erronea fatturazione (v. p. 53 della causa in commento) è che si riterrà applicabile l'art. 41 della Dir. IVA, imponendo alla società interposta di versare l'IVA (in Austria ai sensi dell'art. 41) sino a quando questa non dimostri di aver assoggettato l'operazione ad IVA nello Stato di destinazione (nella Repubblica Ceca ai sensi dell'art. 40).