Qualificazione del rapporto tra socio lavoratore e cooperativa: la rilevanza degli indici sussidiari

Alessandro Corrado
14 Febbraio 2023

La Cassazione, con la sentenza in commento, si è occupata del ruolo dei soci lavoratori di una società cooperativa, affermando che in mancanza di potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, per la qualificazione del rapporto possono rilevare indici sussidiari, quali continuità e durata del rapporto, modalità di erogazione del compenso e regolamentazione dell'orario di lavoro.
Massima

Ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell'ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente, il nomen iuris attribuito in linea generale ed astratta nel regolamento di organizzazione e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi quali elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente, dovendosi piuttosto dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro; al riguardo, quando la prestazione lavorativa sia estremamente elementare e ripetitiva, così che l'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel contesto, significativo, è possibile dare rilievo ad elementi sussidiari (ad es. modalità di erogazione del compenso, orario di lavoro, presenza di una sia pure minima organizzazione e l'assunzione di un rischio di impresa), da valutarsi nella loro vicendevole interazione.

La prestazione di lavoro svolta dal socio lavoratore a favore della cooperativa (in applicazione del principio della duplicità del rapporto, sociale e di lavoro) è da ritenersi di natura subordinata ove, a fronte di risultanze documentali complessivamente contraddittorie, il giudice del merito abbia correttamente accertato la ricorrenza degli indici sussidiari di subordinazione, con conseguente applicazione della disciplina previdenziale propria del lavoro subordinato.

Il caso

La società cooperativa ricorrente in cassazione chiedeva alla Suprema Corte di annullare la decisione con cui i giudici di appello di Milano avevano confermato la decisione di primo grado di condanna al pagamento dell'aliquota aggiuntiva per il finanziamento del Fondo di solidarietà residuale sul presupposto del rapporto di lavoro subordinato dei soci della cooperativa.

Il tribunale era giunto a tale conclusione sulla base del fatto che la stessa società aveva denunciato all'Inps come “dipendenti” i propri soci lavoratori.

Nel confermare tale decisione, i giudici di secondo grado avevano inoltre evidenziato che:

(i) dal verbale ispettivo era emerso lo svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e di facchinaggio nell'ambito degli appalti acquisiti dalla società,

(ii) i lavoratori non avevano assunto rischi imprenditoriali né usato o apportato materiali o attrezzature proprie;

(iii) in presenza di prestazioni dalle modalità esecutive elementari, ripetitive e predeterminate, gli indici sussidiari della continuità e della durata rapporto, delle modalità di erogazione del compenso e dell'assenza di rischio d'impresa o di organizzazione in capo al prestatore di lavoro si sostituiscono e diventano preponderanti rispetto al criterio dell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare;

(iv) la natura subordinata del rapporto di lavoro non era stata confutata dall'appellante che aveva sottolineato in senso contrario la facoltà dei soci di svolgere attività in proprio o a favore di terzi e di rifiutare occasioni di lavoro offerte dalla cooperativa, elementi che tuttavia ben si possono conciliare con tipologie di lavoro subordinato intermittente o a chiamata.

La questione e le soluzioni giuridiche

Osserva in primo luogo la Cassazione che la sentenza di secondo grado è conforme all'orientamento giurisprudenziale che vede giustamente anteporre al mero nomen juris attribuito alle parti l'indagine sull'effettivo svolgimento del rapporto: tale principio è così saldo che – come ricorda la sentenza in commento – persino “al legislatore è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo allo statuto protettivo che si accompagna alla subordinazione” (in tal senso le citate sentenze Corte cost. n. 76/2015, n. 115/1994 e 121/1993).

Canone primario d'interpretazione rimane pertanto il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto, che consente di dare significato concreto al modello contrattuale scelto dalle parti testandone la coerenza con la successiva attuazione del rapporto.

In questo quadro, la Cassazione conferma che “la qualificazione convenzionale di un rapporto di lavoro come autonomo … non ha valenza dirimente e non dispensa il giudice dal compito di verificare le concrete modalità attuative del rapporto di lavoro, che rappresentano il tratto distintivo saliente”.

Da queste premesse la Corte fa discendere la piena compatibilità tra il rapporto di lavoro subordinato e quello di natura associativa (cfr. le citate Cass. S.U. 26/07/2004, n. 13967; Cass. sez. lav. 11/07/2022, n. 21830) aggiungendo che il fatto che la società nelle comunicazioni obbligatorie abbia qualificato i rapporti di lavoro in termini di subordinazione, versando i relativi contributi, ed abbia applicato il contratto collettivo nazionale dei dipendenti delle piccole e medie imprese esercenti i servizi di pulizie non può esimere il giudicante dall'esame del comportamento effettivo delle parti.

Sul punto, la sentenza della Corte d'appello impugnata ha accertato lo svolgimento in via continuativa di prestazioni di pulizia e facchinaggio nell'ambito degli appalti acquisiti dalla società datrice di lavoro, accentando da un lato l'elemento retributivo dei lavoratori, proporzionale alla durata delle prestazioni svolte e dall'altro la mancata assunzione di rischi imprenditoriali.

Ma, secondo la sentenza in commento, gli elementi più rilevanti ai fini della decisione sulla qualificazione del rapporto sono legati alle modalità di esecuzione: quando, cioè, in giudizio emergono indici sussidiari quali continuità e durata del rapporto, modalità di erogazione del compenso e regolamentazione dell'orario di lavoro con la fattispecie del lavoro subordinato compatibili con la natura subordinata, possono anche difettare quelli primari inerenti all'esercizio del potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro.

Difatti, richiamando un proprio precedente (cfr. la citata Cass. sez. lav. 27/03/2000, n. 3674), la sentenza in commento afferma che se l'esercizio di tali poteri è sicuro indice di subordinazione, al contrario la sua assenza – come nel presente caso – non può far propendere per la natura autonoma del rapporto di lavoro, soprattutto quando la prestazione svolta presenti modalità di esecuzione elementari, ripetitive e predeterminate.

Osservazioni

La pronuncia in commento si connota per ricchezza di argomentazioni e richiami giurisprudenziali e conferma l'orientamento della Suprema Corte che si mantiene costante nel tempo e viene via via arricchito ed aggiornato sulla base dei casi sottoposti al suo esame.

La Corte non ha solo ampiamente sviscerato gli aspetti esecutivi del rapporto di lavoro, mettendo in rilievo la prevalenza di indici sussidiari legati, come detto, a continuità e durata del rapporto, modalità di erogazione del compenso e regolamentazione dell'orario di lavoro.

Trattandosi di lavoratori soci di cooperativa, sotto il profilo squisitamente societario, ha anche dato risalto all'insussistenza (ravvisata dalla sentenza di secondo grado) di qualsivoglia loro controllo effettivo sulla gestione aziendale che, proprio nell'interpretazione della Suprema Corte (Cass. S.U. 26/07/2004, n. 13967), segna la distinzione tra una genuina autonomia del lavoro dei soci della cooperativa e la subordinazione.

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