La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, torna ad occuparsi del tema della rilevanza del repechage nell'ambito del rapporto di lavoro dirigenziale, escludendo la sussistenza di tale obbligo, incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore e ribadendo la sua irrilevanza al fine di valutare la legittimità del licenziamento, anche nel caso in cui l'impossibilità di ricollocamento del dirigente sia enunciata nella motivazione del recesso datoriale.
L'obbligo di repechage e la sua incompatibilità con il rapporto di lavoro dirigenziale
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, torna a occuparsi del tema dell'obbligo di repechage con riferimento al rapporto di lavoro dirigenziale.
Come noto, nei licenziamenti per motivi economico/organizzativi, ai fini della legittimità del recesso, incombe sul datore di lavoro l'obbligo di preventiva verifica della possibilità di impiegare il dipendente in esubero in mansioni compatibili con la sua professionalità e con il suo livello inquadramentale o, al limite, quale extrema ratio, anche in mansioni inferiori.
Solo ove tale verifica risulti infruttuosa, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del dipendente.
Tale obbligo di “ripescaggio”, esclusivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non ha fondamento in una norma di legge, ma è di creazione giurisprudenziale, che lo ha desunto dal carattere inderogabile della disciplina limitativa dei licenziamenti, la quale considera giustificato il licenziamento sono quale extrema ratio.
Negli ultimi anni la Suprema Corte ha ritenuto che l'obbligo di repechage rappresenti un fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo, il cui mancato adempimento determina l'illegittimità del recesso datoriale, sotto il profilo dell'insussistenza del motivo 81).
Tale principio subisce una deroga con riguardo al rapporto di lavoro dirigenziale.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in caso di licenziamento del dirigente d'azienda per esigenze di ristrutturazione aziendali, o per motivi, comunque riconducibili a motivi economico/organizzativi, è esclusa l'operatività dell'obbligo di repechage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità (2).
Il problema che è stato affrontato in numerose pronunce della Suprema Corte e, da ultimo, da quella in commento, è se l'obbligo di repechage, generalmente insussistente nel recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale, possa assumere rilevanza e viziare il licenziamento allorché il datore di lavoro, nella motivazione del recesso, faccia riferimento espresso all'infruttuoso esperimento del tentativo di ricollocamento del dirigente licenziato in altre posizioni, anche di livello inferiore.
In tali casi, infatti, l'impossibilità di “ripescaggio” del dirigente sostanzia una parte della motivazione del licenziamento, al cui accertamento il Giudice è tenuto, in ossequio al principio secondo cui, anche nel licenziamento del dirigente, sussiste il dovere da parte del giudice di verificare la concreta ricorrenza delle ragioni del recesso, la cui insussistenza qualifica il licenziamento in termine di ingiustificatezza, legittimando la pretesa del dirigente illegittimamente licenziato all'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva di settore.
Naturalmente, in tali ipotesi, il controllo giudiziale è limitato all'accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a giustificazione del licenziamento, non essendo sindacabile la scelta datoriale sotto altri profili se non quello della sua effettività.
La sentenza della Suprema Corte n. 23503/2017
In una pronuncia di pochi anni precedenti quella in commento (3), la Suprema Corte ha affrontato il caso di un recesso datoriale nel quale l'impossibilità di ricollocare il dirigente in posizioni per le quali costui aveva maturato specifiche competenze, in quanto espressamente richiamata nella motivazione del recesso datoriale, era stata ritenuta, dai giudice di merito, motivo d'illegittimità del licenziamento, sotto il profilo dell'insussistenza delle ragioni poste a fondamento del recesso.
La Suprema Corte, aderendo alla motivazione dei giudici di merito, aveva ritenuto illegittimo il recesso datoriale, per il mancato riscontro nella realtà aziendale di una situazione data, viceversa, per realizzata.
Nella medesima pronuncia, la Suprema Corte aveva precisato che: “Si tratta di un apprezzamento in ordine alla effettività delle ragioni poste in concreto a giustificazione del licenziamento che rientra nella competenza del giudice del merito, che non smentisce affatto il principio di diritto secondo cui per il licenziamento del dirigente d'azienda non opera l'obbligo di repechage, quanto piuttosto si iscrive nell'ambito del legittimo controllo giudiziale circa la corrispondenza tra la ragione formalmente enunciata a fondamento del recesso e quella reale riscontrata nel processo”.
In tal caso, pertanto, la Corte, pur precisando che “per il licenziamento del dirigente d'azienda non opera l'obbligo di repechage”, aveva valutato l'impossibilità del ricollocamento del dipendente, espressamente enunciata nella motivazione del recesso, sotto il profilo della mancata “corrispondenza tra la ragione formalmente enunciata a fondamento del recesso e quella reale riscontrata nel processo”, facendone derivare l'ingiustificatezza del recesso e il diritto del dirigente all'indennità supplementare.
L'ordinanza della Suprema Corte in commento
Con l'ordinanza in commento, la Suprema Corte torna a occuparsi del tema dei limiti al sindacato sulla legittimità del licenziamento del dirigente e della compatibilità tra il rapporto di lavoro dirigenziale e l'obbligo di repechage.
In tale pronuncia la Suprema Corte precisa che un tale obbligo deve ritenersi incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità e, richiamando la sentenza della Suprema Corte summenzionata, precisa che: “nella menzionata Cass. n. 23502/2017, del resto, non è stato affermato l'ulteriore principio che l'impossibilità del repechage, allorquando richiamata nella motivazione dell'atto espulsivo, diventi- in deroga alla regola espressa nella sopra riportata statuizione- requisito di giustificatezza del licenziamento intimato al dirigente, ma è stato solo precisato che, nella vicenda specifica lì esaminata, vi era stato un apprezzamento in ordine alla effettività delle ragioni espressamente poste in concreto a giustificazione del licenziamento che rientra nelle competenze del giudice del merito, che non smentisce affatto il principio di diritto secondo cui per il licenziamento del dirigente d'azienda non opera l'obbligo di repechage”.
La Corte, nella pronuncia in esame, esclude la ricorrenza dell'obbligo di repechage in capo al datore di lavoro, anche nel caso in cui l'impossibilità di ricollocare il dirigente in altra posizione o funzione in seno all'azienda sia stata espressamente richiamata nella motivazione del recesso datoriale, limitando la rilevanza di tale circostanza alla sola ipotesi in cui, nell'ambito del legittimo controllo giudiziale in ordine alla sussistenza della ragione formalmente enunciata a fondamento del recesso, sia riscontrato “un uso distorto del potere datoriale, facendo emergere la dissonanza che smentisce l'effettività della ragione formalmente addotta a causa della risoluzione”.
Conclusioni. l'obbligo di repechage può essere valutato sotto il profilo della conformità della condotta datoriale ai principi di correttezza e buona fede?
C'è da chiedersi, tuttavia, se l'impossibilità di ricollocamento del dirigente, ove espressamente enunciata nella motivazione di recesso, possa assumere rilievo, al fine di valutare la legittimità del licenziamento, non sotto il profilo dell'assolvimento dell'obbligo di repechage in sé, in quanto, come visto, tale obbligo è incompatibile con la posizione dirigenziale, quanto, piuttosto, alla stregua dei principi di correttezza e buona fede che sostanziano la giustificatezza del recesso datoriale.
In altre parole, pur non sussistendo un obbligo di repechage in capo al datore di lavoro nel recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale, ove l'imprenditore, nella comunicazione di recesso, senza esserne tenuto, si spinga ad affermare di aver inutilmente esperito il tentativo di ricollocazione, tale circostanza, ad avviso di chi scrive, può essere valutata dal giudice al fine di verificare la conformità della condotta datoriale ai doveri di correttezza e buona fede cui sono tenute le parti del rapporto di lavoro.
Note
(1) Cass. civ., sez. lav., n. 35496/2022; in senso conforme, Cass. civ., sez. lav., n. 24882/2017; Cass. civ., sez. lav., n. 160/2017 e Cass. civ., sez. lav., n. 12101/2016.
(2) V. tra le più recenti, Cass., n. 3175/2013; Cass., n. 2266/2007; Cass., n. 322/2003; Cass., n. 14310/2002.
(3) Cass., sez. lav., 9 ottobre 2017, n. 23502/2017.
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Sommario
L'obbligo di repechage e la sua incompatibilità con il rapporto di lavoro dirigenziale
L'ordinanza della Suprema Corte in commento
Conclusioni. l'obbligo di repechage può essere valutato sotto il profilo della conformità della condotta datoriale ai principi di correttezza e buona fede?