Lo stress lavorativo: ovvero “l'insostenibile leggerezza dell'essere” di una categoria in via di formazione

08 Marzo 2023

Così come nella prospettiva biologica lo “stress” non costituisce uno stato bensì un processo, anche la figura giuridica dello “stress lavoro-correlato”, benché oggetto di attenzione normativa (vedasi ad esempio l'Accordo Quadro Europeo del 8 ottobre 2004 recepito in Italia con l'Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008), è tutt'oggi in via di formazione come possibile categoria unitaria in grado di affrontare situazioni lavorative apparentemente non omogenee tra loro.
Il caso

Con l'ordinanza in commento il Tribunale di Padova ha annullato il licenziamento comminato ad un lavoratore (con ordine di reintegra nel precedente posto di lavoro occupato e riconoscimento di una indennità risarcitoria ex art. 18 L. n. 300/1970) ritenendo non sussistente il motivo oggettivo addotto a giustificazione del provvedimento espulsivo.

Al di là dell'aspetto squisitamente disciplinare, ciò che pare interessante prendere in considerazione della vicenda è la complessiva situazione lavorativa nella quale si era venuto a trovare il lavoratore (illegittimamente) licenziato, che consente di svolgere alcune considerazioni attorno alla figura dello “stress lavoro correlato”.

L'ambiente di lavoro “nocivo”

Nell'impugnare il licenziamento intimatogli, il lavoratore deduceva che nello svolgimento delle mansioni affidate doveva:

- sostenere orari prolungati e usuranti;

- operare in condizioni disagiate, in particolare per rumore e temperatura non adeguati;

- lavorare senza collaboratori;

- sopportare le condotte vessatorie del datore di lavoro.

In conseguenza di ciò il lavoratore era colpito da un episodio di “crisi per somatizzazione da ansia”, e in sede di CTU medico-legale svolta in corso di causa veniva accertata la presenza di un “disturbo dell'adattamento con somatizzazione ansiosa stress correlata”.

Nella pronuncia in commento il Giudice del Lavoro riconosceva la sussistenza di “un comportamento di intolleranza del datore di lavoro nei confronti di un lavoratore ritenuto non adeguatamente produttivo e di pressione su di lui perché continuasse a lavorare”.

Veniva altresì affermato dal Giudice che le contingenti difficoltà di svolgimento delle mansioni da parte del lavoratore -come visto intaccato nella propria integrità psico-fisica- avrebbero potuto essere affrontate dal datore di lavoro con ragionevoli accomodamenti “e, in ogni caso, con un adeguato periodo di cura e assenza per malattia”.

L'obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c.

Come noto la norma di cui all'art. 2087 c.c. è stata ritenuta essere una disposizione “di chiusura” del sistema di tutela dell'integrità del lavoratore, la cui centralità si collega e deriva strettamente dagli interessi costituzionali che essa presidia, ivi incluso il diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. (cfr. Cass. Civ., Sez. Lavoro, 28 febbraio 2023, n. 6008).

L'importanza della norma è tale da essere stato affermato che dalla eventuale violazione da parte del datore di lavoro del dovere di protezione scaturente dall'art. 2087 c.c. consegue un diritto di “autotutela” del lavoratore che può sostanziarsi nel rifiuto della prestazione (cfr. Cass., sez. lav., n. 28353/2021), perdurante il diritto alla retribuzione (cfr. Cass., sez. lav. n. 6631/2015) (in tema vedasi D. Tambasco, Legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa da parte del dipendente se il datore di lavoro viola i doveri di garanzia della sicurezza, in Ius lavoro, 14 febbraio 2023).

Come visto in precedenza, nel caso di specie il Giudice del Lavoro ha ricostruito, in danno del lavoratore, un contegno del datore di lavoro complessivamente qualificabile come contrario non solo all'obbligo specifico di cui all'art. 2087 c.c. ma anche a quelli generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), sicché anche laddove una ipotetica situazione di incompatibilità del prestatore con l'organizzazione aziendale si fosse realizzata, nondimeno essa non avrebbe assunto rilevanza alcuna sul versante disciplinare in quanto priva del carattere di illiceità.

Lo stress lavorativo: una figura sullo sfondo

La controversia decisa dal Tribunale di Padova con l'ordinanza qui brevemente commentata, avente ad oggetto una impugnazione di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, non rappresentava certo la sede naturale o più opportuna per trattare dello “stress lavoro correlato”, ciò nondimeno tale figura pare attraversare trasversalmente, seppure sottotraccia, l'intero provvedimento.

Nel ricostruire le condizioni di lavoro il ricorrente allegava una serie di circostanze (orari prolungati e usuranti, condizioni disagiate, in particolare per rumore e temperatura non adeguati, assenza di collaboratori, condotte vessatorie del datore) riconducibili alle discrepanze quantitative, qualitative ed interpersonali dei fattori organizzativi che -sulla scorta della psicologia del lavoro, del quadro normativo e della tendenza giurisprudenziale- configurano la fattispecie dello “stress lavoro correlato” (in tema vedasi A. Rosiello-D. Tambasco, Il danno da stress lavorativo: una categoria “polifunzionale” all'orizzonte?, in IUS Lavoro, 8 novembre 2022; A. Rosiello-D. Tambasco, Condotte persecutorie (mobbing e straining) e stress lavoro-correlato: la nuova concezione sistemica della Cassazione, in IUS Lavoro, 14 dicembre 2022).

Ed anche le risultanze della CTU medico-legale espletata erano nel senso di riconoscere la manifestazione, nel lavoratore, di un “disturbo dell'adattamento con somatizzazione ansiosa stress correlata”.

Ora, l'affermazione conclusiva con la quale il Giudice del Lavoro di Padova contesta la illegittimità del licenziamento perché esso “si fonda su un giudizio medico che è inficiato all'origine dall'aver preso in considerazione una mansione che è diversa da quella effettiva” non pare essere strettamente connessa o conseguente alle più ampie argomentazioni esposte in precedenza, impegnate come detto a delineare un quadro di inadempimento datoriale agli obblighi ex artt. 2087 e 1375 c.c. e una conseguente situazione di stress lavoro correlato in danno del lavoratore.

Si ha quindi la sensazione che il contesto sistematico di stress lavorativo accertato come sussistente nel caso di specie, sebbene formalmente ai margini della motivazione si ponga invece sostanzialmente al centro della decisione, come prospettiva in grado di assicurare alla vicenda un inquadramento più congruente e compiuto.

Come una sorta di fiume carsico che ora appare ora scompare, anche la figura dello “stress lavoro correlato” sembra manifestarsi in maniera sempre più sorprendente (ed efficace) nella giurisprudenza del lavoro che, seppure con occasioni mancate (vedasi ad esempio il caso deciso da Cass., sez. lav., 28 novembre 2022, n. 34968 commentata da D. Tambasco, Superlavoro e onere della prova del danno derivante dal mancato adempimento dell'obbligo di garanzia datoriale, in IUS Lavoro, 19 gennaio 2023), non manca di valorizzarne la natura polifunzionale come tale idonea a disciplinare in maniera coerente situazioni lavorative all'apparenza disomogenee.

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