Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, in presenza di atti violenti nei confronti degli alunni, posti in essere in maniere sistematica, sarebbe sempre integrata la più grave fattispecie di cui all'art. 572 c.p. L'abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, contemplato dall'art. 571 c.p., consiste nell'uso “non appropriato” di metodi, strumenti comportamenti correttivi o educativi, in via ordinaria consentiti dalla disciplina generale. Per questo motivo qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti, ai sensi dell'art. 572 c.p. In un caso era stato ravvisato il reato di maltrattamenti nella condotta di un insegnante che aveva apostrofato sistematicamente un alunno, dodicenne, durante le lezioni e comunque dinanzi ai compagni di classe, con epiteti ingiuriosi e umilianti (Cass. pen., sez. VI, 19 novembre 2020, n. 3459; nello stesso senso: Cass. pen., sez, III, 6 novembre 2018, n. 17810).
Secondo un più risalente orientamento, che potremmo definire intermedio, non vi sarebbe invece un'incompatibilità assoluta tra fattispecie di cui all'art. 571 c.p. e gli atti di violenza fisica o verbale, finendosi in caso contrario per svuotare di significato tale reato, in particolare nella sua forma aggravata di cui al secondo comma che contempla l'ipotesi in cui dal fatto derivi una lesione personale o la morte. Costituirebbe pertanto abuso di mezzi di correzione o di disciplina aggravato dall'evento, la condotta di chi percuota un minore, anche con l'uso reiterato di strumenti atti a causare sofferenze fisiche, cagionandogli ecchimosi in più punti del corpo; Gli ermellini in questo caso ritengono che vada ripudiata la concezione secondo cui la violenza non sia annoverabile tra i mezzi correttivi di cui l'ordinamento sanziona l'abuso, in quanto l'adesione a tale tesi ermeneutica priverebbe l'art. 571 cit. di ogni utilità pratica e sbocco operativo, non comprendendosi come una condotta totalmente non violenta possa in concreto condurre alle lesioni o alla morte della vittima: ciò si porrebbe in contrasto col principio generale per cui ogni norma deve essere interpretata in modo da avere possibilità attuative risultando applicabile nel sistema giuridico (Cass. pen., sez. VI, 7 dicembre 2016, n. 2669). Deve tuttavia rilevarsi come tale pronunciamento della Suprema Corte avesse ad oggetto una vicenda nella quale l'abuso non aveva assunto il carattere della abitualità; si trattava piuttosto di un caso di violenza “episodica” che, in quanto tale, non avrebbe mai potuto integrare il più grave delitto di maltrattamenti.
Secondo un diverso orientamento invece potrebbe ipotizzarsi la meno grave fattispecie dell'abuso di mezzi di correzione anche nel caso in cui la violenza sopra richiamata sia stata ripetuta nel tempo. La Suprema Corte ha infatti affermato a questo proposito come il delitto di cui all'art. 571 c.p. possa essere integrato anche da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzino l'evento; sulla base della ricostruzione offerta dai testi sentiti nel corso del primo grado di giudizio in questo caso l'accusa aveva dimostrato che l'imputato costringeva un alunno a tenere la testa appoggiata sul banco e che in generale serbava un atteggiamento nei confronti degli altri studenti connotato quotidianamente da gesti violenti, strattoni, spinte, urla ed espressioni offensive (Cass. pen., sez. VI, 20 maggio 2022, n. 29661).
La sentenza in commento (Cass. pen., sez. VI, ud. 17 ottobre 2022 (dep. 15 novembre 2022), n. 43434) si colloca invece pienamente nel solco del primo e maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale si configura il reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e non la meno grave fattispecie di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.) nel caso in cui sia stato accertato che, in un determinato lasso temporale, l'insegnate abbia utilizzato abitualmente «aggressività fisica oltre che verbale – quest'ultima manifestata con epiteti ingiuriosi gravi, anche di matrice razzista, volgari».
Condotta questa che, da un lato, si porrebbe in antitesi con l'oggettiva finalizzazione educativa delle condotte e, dall'altro, non varrebbe minimamente a scalfire il dopo generico richiesto ai fini dell'integrazione della fattispecie in parola (nello stesso senso: Cass. pen., sez. VI, 3 luglio 2017, n. 47299).
Con tale pronuncia inoltre la Suprema Corte ribadisce implicitamente come, sotto il profilo soggettivo, la fattispecie di cui all'art. 572 c.p. non sia punita a titolo di dolo specifico ma di (solo) dolo generico.
Nessun elemento della fattispecie in parola fa in effetti riferimento ad una finalità particolare a cui dovrebbe tendere la condotta maltrattante, dovendo quindi ritenersi sufficiente la rappresentazione e volontà del fatto tipico.
In giurisprudenza si è parlato infatti al riguardo di “dolo unitario”, che si concretizzerebbe nella volontà e consapevolezza di porre in essere un comportamento oppressivo e prevaricatorio (Cass. pen., sez. VI, 21 maggio 2015, n.30432). Più di recente è stato inoltre precisato come il dolo del reato i maltrattamenti sia generico, non richiedendo necessariamente l'intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria (Cass. pen., sez. VI, 30 marzo 2021, n. 25914)
Tale chiarimento si è reso necessario alla luce dell'unico motivo di ricorso per Cassazione presentato dalla difesa ed incentrato proprio sull'omessa valorizzazione delle finalità educative perseguite dall'imputata.
Finalità educative che tuttavia, in presenza di una fattispecie a dolo generico, ha chiarito la sentenza in esame, non potevano in alcun modo incidere «sul profilo soggettivo, tale da escluderlo – o quantomeno, da farne dubitare».
Quest'ultimo elemento poteva al più essere tenuto in considerazione, come in effetti è avvenuto ad opera della Corte di Appello di Trieste, al fine di mitigare il trattamento sanzionatorio.
E ciò in quanto le “finalità educative” perseguite dall'autore della condotta maltrattante possono rientrare a pieno titolo nei c.d. “motivi a delinquere” di cui all'art. 133 c.p.
Norma che, per costante giurisprudenza, rappresenta il canone ermeneutico attraverso il quale valutare appunto la concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p. (ex multis: Cass. pen, sez. I, 22 ottobre 2020, n.8862; Cass. pen., sez. II, 15 luglio 2020, n. 23903).
Né, ad avviso di chi scrive, varrebbe replicare che un conto sono “i motivi” e un conto sono le “finalità” dell'agente.
Ciò in quanto, se è pure vero che il “motivo” in dottrina (F. Mantovani, Diritto Penale, Padova, p. 674) è stato definito come la «causa psichica, conscia o inconscia della condotta umana» è altrettanto vero che lo stesso Autore ha precisato che, quando la causa psichica è “consapevole”, essa finisce per coincidere con lo “scopo da perseguire”.