Malattia professionale con esito mortale non immediato: danno catastrofale e biologico terminale possono sommarsi?
15 Marzo 2023
In caso di malattia professionale che abbia condotto alla morte del lavoratore, non immediatamente, ma dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo (ad esempio, malattia ad esito infausto per esposizione ad amianto o asbesto), andrà ristorato il danno non patrimoniale sofferto dalla vittima in quell'arco temporale, nel rispetto sia dei principi di unitarietà e di onnicomprensività così da evitare duplicazione di medesime poste di pregiudizio, come da insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenze gemelle nn. 26972/3/4/5 dell'11 novembre 2008), sia del principio di integralità del risarcimento, tenendo conto di ogni aspetto “biologico” e “sofferenziale” connesso alla percezione della morte imminente.
Fermo restando che il danno non patrimoniale costituisce, dunque, una categoria unitaria dal punto di vista giuridico, dal punto di vista fenomenologico e su un piano propriamente definitorio, il “danno biologico terminale” consiste nella menomazione dell'integrità fisica subita dalla vittima fino al decesso, commisurato all'invalidità temporanea nella misura massima, sempre presente (prescinde, cioè, dalla lucida percezione della gravità delle lesioni subite e dalla consapevolezza dell'ineluttabile approssimarsi della morte), che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso; mentre per “danno catastrofale” (definito anche “danno morale terminale” o “danno da lucida agonia”) si intende la sofferenza provata dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita.
Queste distinte voci di danno, di matrice giurisprudenziale e cristallizzate dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 15350 del 22 luglio 2015 (che nega la configurabilità di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita del bene vita, autonomo e diverso rispetto al bene salute, fruibile solo in natura dal titolare e non reintegrabile per equivalente), sono liquidabili iure proprio alla vittima di lesioni letali e trasmissibili iure successionis, a condizione che, come si è detto, la morte non sia stata subitanea o non sia avvenuta a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, ma che tra queste e l'exitus intercorra un lasso temporale minimo, non convenzionalmente individuabile ma, comunque, apprezzabile.
Oltre a ciò, per quanto riguarda specificamente il “danno catastrofale”, la vittima non deve versare in uno stato di incoscienza, ciò che precluderebbe la lucidità e la consapevolezza della gravità della malattia e dell'approssimarsi della fine della vita, e quindi di soffrirne.
Con ordinanza n. 36841 del 15 dicembre 2022, la Sezione Lavoro della Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia.
Con riferimento alle tecniche di liquidazione, il Collegio ha inteso dare continuità all'indirizzo giurisprudenziale espresso, tra le altre, da Cass. civ., sez. lav., sent. n. 12041 del 19 giugno 2020, con cui è stato chiarito che “si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi” ovvero, per quanto riguarda il “danno biologico terminale”, sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea e in relazione alla menomazione dell'integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso, “adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte”; il “danno catastrofale”, invece, “comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato ‘puro' – ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all'enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza(vedi, tra le altre, Cass. n. 23183/2014)”.
Per la giurisprudenza di legittimità deve, quindi, procedersi alla liquidazione equitativa del danno in questione “commisurando la componente del danno biologico all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus” (in questi termini, Cass. civ., sez. lav., ord. 36841/2022, cit., che richiama, in particolare, Cass. civ., sez. lav., ord. 28 giugno 2019, n. 17577).
In pratica, mentre il “danno biologico terminale” è liquidato basandosi sul valore monetario giornaliero dell'invalidità temporanea totale previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, applicabili con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, sent. n. 12408 del 7 giugno 2011), moltiplicato per il numero di giorni per i quali si è protratto il danno, il “danno catastrofale” – proprio per la sua natura del tutto peculiare – è liquidabile con un criterio equitativo “puro”, valutate tutte le circostanze del caso concreto e tenuto conto, come sottolinea la Cassazione, della “enormità” del pregiudizio sofferto a livello psichico.
Non rileva, ai fini della configurabilità di questa voce di danno, la durata della consapevolezza da parte della vittima che, per contro, potrà rilevare per la sua quantificazione secondo criteri di proporzionalità ed equità (Cass. civ., sez. lav., ord. 36841/2022, cit.; Cass. civ, sez. III, ord. n. 16592 del 20 giugno 2019; id., ord. n. 21837 del 30 agosto 2019).
Come è noto, l'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, all'esito dei lavori del gruppo di studio dedicato, ha elaborato un metodo tabellare pubblicato fin dall'Edizione 2018, funzionale alla quantificazione dei cd. “danni terminali”, considerati in maniera unitaria (pertanto, entrambe le componenti, “biologica” e “sofferenziale”, devono essere presenti nella fattispecie), con la finalità di scongiurare l'estrema soggettività delle tecniche liquidatorie, perseguendo l'uniformità e la prevedibilità delle decisioni future (dando luogo a risarcimenti omogenei a fronte di situazioni analoghe, per quanto ciascuna con proprie specificità) e, con esse, la certezza del diritto.
Nell'ipotesi di un decorso particolarmente lungo, la percezione della fine imminente può intervenire non nell'immediatezza dell'evento lesivo, ma in un momento successivo, e solo da quel momento, dunque, potrà sorgere il “danno terminale” come sopra inteso, con relativa decorrenza della tabella giornaliera proposta dall'Osservatorio meneghino.
Il Giudice può valorizzare i primi tre giorni di “danno terminale”, secondo la propria valutazione personalizzata ed equitativa, nel rispetto di un tetto massimo convenzionalmente stabilito in 30.000,00 euro, non ulteriormente personalizzabile; a partire dal quarto giorno, la valutazione giornaliera del danno è personalizzabile, aumentando l'importo del 50% (iuxta alligata et probata). Se l'evento morte si verifica dopo un lasso temporale superiore ai cento giorni, al di là di tale periodo la liquidazione avviene secondo i parametri del danno biologico temporaneo ordinario.
Non esistendo parametri di calcolo indicati dalla legge, si registra ad oggi un'ampia adesione degli Uffici giudiziari a questa tabella liquidatoria. Tra le sentenze più recenti, sempre in ambito lavoristico, Trib. La Spezia sez. lav., n. 299 del 10 gennaio 2022; Trib. Venezia sez. lav., n. 28 del 19 gennaio 2023. |