Il primo caso di rinvio pregiudiziale in Cassazione
11 Aprile 2023
Massima
Ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., va disposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione per la risoluzione di una questione di solo diritto, essenziale ai fini della definizione del giudizio, che pone gravi difficoltà interpretative ed è suscettibile di porsi in numerosi altri giudizi (nella specie, trattasi della questione concernente l'applicabilità del rimedio preventivo di cui all'art. 1 ter l. n. 89/2001, consistente nella proposizione dell'istanza di decisione ex art. 281-sexies c.p.c. nel processo avanti al giudice di pace). Il caso
Con ricorso avanzato ai sensi della legge c.d. Pinto (l. n. 89/2001), il ricorrente richiedeva alla Corte d'Appello di Napoli la liquidazione dell'equo indennizzo per irragionevole durata di un procedimento radicato avanti al Giudice di Pace. Tale istanza era stata dichiarata inammissibile da parte del consigliere delegato della Corte medesima per mancato esperimento del rimedio preventivo consistente nella proposizione di istanza di decisione ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. Contro il decreto il ricorrente ha proposto opposizione ai sensi dell'art. 5-ter della l. n. 89/2001, censurando la ritenuta applicabilità del modulo decisionale in discorso al processo che si era svolto avanti al giudice onorario. La Corte, ritenendo sul punto sussistenti “due possibili interpretazioni, presenti in divergenti orientamenti giurisprudenziali, per risolvere la questione controversia”, invece di decidere nel merito il ricorso, col decreto in epigrafe, ha rimesso gli atti alla Corte Suprema ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., ravvisando la sussistenza dei presupposti normativi del rinvio pregiudiziale. La questione
Quando sono ravvisabili i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale in cassazione? Le soluzioni giuridiche
Nella pronunzia in epigrafe, la Corte di merito ha ravvisato la sussistenza dei presupposti del rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, dato che: 1) la questione controversia è essenziale ai fini della definizione del contenzioso ex lege Pinto sub iudice, in quanto, adottando l'una o l'altra soluzione, l'opposizione potrebbe, almeno in parte, essere accolta; 2) sono riscontrabili “gravi difficoltà interpretative”, che la pronunzia ha cura di illustrare; 3) infine, la stessa afferma che la questione è destinata a porsi “in numerosi giudizi, anche in considerazione del crescente numero di ricorsi ex lege n. 89/2001 per procedimenti dinanzi al GdP”. Osservazioni
I. La pronunzia, a quanto consta la prima in materia, costituisce utile occasione per delineare l'architettura dell'istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione introdotto dal d.lgs. n. 149/2022 (di cui all'innovato testo dell'art. 363-bis c.p.c.), che trova riscontro nell'ordinamento francese sotto la forma della saisine pur avis (c.d. rinvio per parere). Come è stato autorevolmente notato (LUISO), “la finalità del rinvio pregiudiziale è di ottenere in tempi brevi un principio di diritto su una questione, senza dovere attendere che tale questione giunga – dopo anni – all'attenzione della Corte, attraverso la trafila degli ordinari mezzi di impugnazione”. L'istituto rivaluta la funzione nomofilattica della Corte, volta a garantire la “uniforme interpretazione del diritto oggettivo nazionale” (art. 65 O.G.). In tal modo, mediante la rimessione della questione di diritto in tempi celeri, per saltum, si intende favorire “il sorgere di indirizzi giurisprudenziali coerenti ed univoci”, contribuendo a garantire l'esigenza, “oggi sempre più avvertita, della prevedibilità della decisione” (Relazione c.d. Luiso, 73). Da un punto di vista pubblicistico, l'istituto può determinare un effetto deflattivo significativo, “prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali” (così si legge nella Relazione c.d. Luiso), in modo tale da prevenire il l'insorgenza di contenzioso e garantendo un recupero di efficienza e funzionalità al sistema della giurisdizione civile. In quest'ottica, l'istituto sembra rivelarsi omogeneo con la finalità perseguita della riforma processuale civile, volta alla deflazione e riduzione del contenzioso ed alla velocizzazione del tempi definitori dei giudizi, dato che il contenzioso giudiziale trova specifico alimento, non solo nella litigiosità e nel carattere degli uomini, ma anche nella sussistenza di contrasti interpretativi conseguenti alla scarsa chiarezza del dettato normativo ed alle diversificate interpretazioni giurisprudenziali. Una trasparente interpretazione del dato normativo può contribuire ad evitare l'insorgenza di contrasti ermeneutici ed alimentare il contenzioso, non infrequetemente capzioso, interessato, oltrechè strumentale. Attraverso l'introduzione del nuovo istituto, la Corte di Cassazione viene chiamata a “risolvere subito le questioni nuove e ad orientare in tempi brevi il diritto vivente” (Giusti), senza essere investita dalla questione attraverso la trafila delle impugnazioni, quale giudice di ultima istanza, a distanza di anni. I presupposti indicati dall'art. 363-bis c.p.c., a pena di di inammissibilità del rinvio pregiudiziale, sono i seguenti; 1) la sussistenza di “questione esclusivamente di diritto”; 2) la “questione sia necessaria alla definizione del giudizio”. Si deve trattare di questione appunto “pregiudiziale”, analoga nel presupposto di sussistenza alla rimessione della questione di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale da parte del giudice, questione “rilevante” agli effetti della definizione del giudizio (v. art. 23 l. n. 87/1953). La questione di diritto deve costituire antecedente logico-giuridico rispetto alla pronunzia definitiva. 3) la questione deve essere nuova, in quanto “non ancora risolta dalla Corte di Cassazione”. In presenza di pronunzie di legittimità (che formino precedente, non come avvenuto nella specie per la pronunzia della Corte partenopea in esame, che aveva richiamato un obiter dictum contenuto in Cass. civ., sez. un., 1° agosto 2012, n. 13794, in quanto tale privo della forza di precedente); 4) la questione deve “present(are) gravi difficoltà interpretative”. Un requisito la cui individuazione resta sostanzialmente rimesso alla concretizzazione giurisprudenziale, in larga misura affidato alla discrezionalità del giudicante; 5) la questione deve essere di natura seriale, in quanto “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”. Un requisito che è raro non possa riscontrarsi in concreto in sede di interpretazione delle norme giuridiche che, per definizione, sono generali ed astratte e perciò applicabili nella generalità dei casi e delle situazioni dalle stesse previste. II. Legittimato a sollevare la questione pregiudiziale è “il giudice di merito” la cui questione di diritto (caratterizzata da “gravi difficoltà interpretative”) appare necessaria per la “definizione anche parziale del giudizio”. Come é pacifico, il giudice ordinario legittimato a sollevare la questione può, indifferentemente essere, togato o onorario, di primo (tribunale, giudice di pace) o di secondo grado (tribunale quale giudice d'appello, o corte d'appello), sempre che lo stesso sia chiamato a rendere sentenza necessaria alla “definizione di un giudizio” di tipo contenzioso. Il perimetro individuato è quello della tutela dichiarativa, dei giudizi di tipo contenzioso, con esclusione dei procedimenti esecutivi (salvo che per gli incidenti oppositori; artt. 615 e 617 c.p.c.), cautelari o di volontaria giurisdizione (Luiso; Scarselli). Non è escluso che anche il giudice del procedimento per convalida di sfratto (artt. 657 ss. c.p.c.) possa rivolgersi alla Corte nomofilattica, in quanto chiamato a definire il procedimento con ordinanza di convalida /art. 663 c.p.c.). Si ritiene che siano suscettibili di rinvio pregiudiziale anche le questioni interpretative sollevate da giudici speciali, semprechè le loro decisioni siano sindacabili innanzi alla Corte per violazione di legge (Giusti; Luiso; Santagada), comprese quelle delle commissioni tributarie. Non si ritiene possibile il rinvio pregiudiziale in cassazione per le cause introdotte avanti al giudice amministrativo o a quello contabile, in quanto contro le decisioni del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti il ricorso per cassazione è ammesso solo per difetto di giurisdizione. L'ordinanza di rinvio pregiudiziale può essere pronunziata una volta “sentite le parti costituite” e deve essere motivata con riferimento alla individuazione delle “gravi difficoltà interpretative” che la questione suscita (v. comma 2), per quanto l'oggetto dello scrutinio da parte del primo presidente della Corte di Cassazione abbia un più ampio spettro applicativo, afferendo al riscontro della sussistenza di tutti i presupposti normativi indicati dal primo comma dell'art. 363-bis c.p.c. Dal deposito dell'ordinanza in cancelleria, “il procedimento è sospeso, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale” (comma 3). III. Ricevuta l'ordinanza di rinvio pregiudiziale, il primo presidente della Corte effettua il vaglio di ammissibilità della richiesta, in particolare verificando la sussistenza dei presupposti indicati dal primo comma dell'art. 363-bis c.p.c. Il controllo presidenziale costitusce una sorta di cautela. Dato che serve ad evitare che il rimedio introdotto dalla riforma in ottica deflattiva non si trasformi in una sorta di boomerang per i tempi di definizione dell'ordinario lavoro della Corte stessa, determinando un aggravio ed un ritardo nella definizione delle impugnazioni ordinarie. Se il rinvio pregiudiziale è ammissibile, la questione viene assegnata alle sezioni unite o alle sezioni semplici, tenendo conto della rilevanza della questione. Dispone l'ultimo comma della norma in esame: “il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti”. La vincolatività del principio di diritto appare conforme alla struttura dei rinvii pregiudiziali già conosciuti dall'ordinamenti italiano (Relazione c.d. Luiso, 74), con più che trasparente richiamo alla vincolatività del principio di diritto enunciato in sede di cassazione, quando la pronuncia impugnata viene cassata con rinvio al giudice di merito. In tal caso il giudice del rinvio è tenuto ad “uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte” (art. 384, comma 2, c.p.c.). Laddove il giudice di merito non si uniformi a quanto interpretativamente enunciato dalla Corte ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., la pronunzia definitiva sarebbe viziata ed impugnabile, in quanto non rispettosa del vincolante principio di diritto enunciato. Il principio di diritto è vincolante e non potrà essere rimesso in discussione non solo da parte del giudice remittente il rinvio, ma anche dal giudice d'appello in sede di eventuale impugnazione e, se del caso, anche dalla stessa corte nomofilattica, laddove la stessa venga adita in sede di ricorso. Tale vincolo non è assimilabile a quello nascente da giudicato, potendo essere posto in discussione in ipotesi di ius superveniens o di pronunzia di incostituzionalità della norma, come interpretata dalla Corte in sede di rinvio pregiudiziale. Il comma quarto della norma dispone: “con il provvedimento che definisce la questione è disposta la restituzione degli atti al giudice”. Per quanto non sia disciplinato il successivo iter procedurale, non pare dubbia l'applicabilità dell'art. 297 c.p.c., con prosecuzione del processo avanti al giudice a quo entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione, pena l'estinzone del giudizio (art. 307 c.p.c.). Il termine per la prosecuzione del processo sospeso dovrebbe decorrere dalla comunicazione della pronunzia della Corte di Cassazione. IV. Il neofita istituto ha ricevuto molteplici critiche da parte della processualistica. In particolare, secondo taluno (ScarselliI) la previsione di vincolatività del principio di diritto enunciato dalla Cassazione in sede di rinvio pregiudiziale anche per il giudice che non ha sollevato la questione e che ne rimane comunque vincolato, conterrebbe il germe dell'incostituzionalità, per violazione del principio secondo cui il giudice è soggetto solo alla legge. Altri ha paventato il rischio di deresponsabilizzazione del giudice, propenso più a liberarsi del problema interpretativo che a tentare di risolverlo in via autonoma. E' un fatto che, mediante l'introduzione del nuovo istituto, il legislatore pare avere inteso garantire precedenza al profilo pubblicistico dell'esercizio della giurisdizione civile, preoccupandosi particolarmente del profilo della deflazione del contenzioso considerato nel suo complesso. Dato che, in seguito a celere definizione della questione interpretativa discussa, il contenzioso potrebbe subire una contrazione numerica e perciò deflattiva, con ciò recando trasparente giovamento all'esercizio della giurisdizione nel suo complesso in quanto meno gravata quantitativamente. Tuttavia, pare coretto il rilievo secondo cui la remissione disposta da parte del giudice di merito “non sembra offrire alcuna vantaggio alle parti, ma anzi pesantemente aggravarle” (Scarselli). Dato che le parti, anche obtorto collo, sono costrette ad affrontare un giudizio di cassazione, con i correlati costi e con nomina di un avvocato iscritto nell'apposito albo. Senza considerare che, in seguito alla remissione, il giudizio contenzioso avanti al giudice a quo non solo subisce una stasi nel suo svolgimento, ma vede sicuramente allungati i tempi di definizione, dato che, in seguito alla pronunzia nomofilattica, lo stesso va poi riassunto, a pena di estinzione. I pur giusti rilievi critici non devono fare velo sull'interprete rispetto alla sostanza delle cose. La valutazione critiche espresse dalla dottrina devono tenere conto delle insindacabili scelte legislative in ottica attenta al profilo della deflazione del contenzioso che investe la giurisdizione. Le valutazioni critiche della scienza processuale non sembrano troppo dissimili (ed andrebbero perciò ripetute) da quelle, ipoteticamente riferibili all'istituto dell'incidente di legittimità costituzionale di un atto normativo sollevato nel corso del giudizio, remissione che può essere disposta anche d'ufficio dal giudice. E' noto che, anche in tal caso (come avviene secondo il meccanismo delineato ex art. 363-bis c.p.c.), alla sospensione del giudizio di merito susseguente alla remissione degli atti alla Corte, fa seguito la pronunzia di legittimità costituzionale che, anch'essa necessariamente, determina ritardo nella definizione della res litigiosa. Analogamente, anche in tal caso, in linea astrattasussiste il paventato rischio di deresponsabilizzazione del giudicante. Ebbene, i paventati rischi insiti nell'incidente di costituzionalità (ritardo nella definizione del processo e deresponsabilizzazione del giudicante) sono stati da tempo metabolizzati e risolti senza l'insorgenza di situazioni patologiche connesse all'abusivo utilizzo del mezzo. Anche per l'istituto di nuovo conio ci pare che tali criticità possano rientrare, una volta che sia stato metabolizzato il significato deflattivo dell'importante istituto, che può risolversi nella positiva espansione della funzione nomofilattica esplicata dalla Corte. Riferimenti
|