Le priorità della riforma fiscale. Il dialogo con i contribuenti
13 Aprile 2023
Il tema della semplificazione amministrativa
Il vigente sistema tributario è il risultato di continui interventi frammentari che hanno introdotto, volta per volta, regimi sostitutivi, deroghe, agevolazioni e adempimenti vari, di cui non è facile reperire la relativa fonte. Oggi l'esigenza primaria è semplificare gli adempimenti e migliorare il rapporto fisco-contribuenti, essendo evidente la estrema difficoltà di orientarsi nel groviglio di norme e adempimenti inaccessibile anche agli addetti ai lavori. Ne sanno qualcosa gli uffici e gli operatori del settore che sembrano aver smarrito il senso del dialogo, sempre più impegnati nella gestione di procedure automatizzate, nella speranza di spingere il tasto giusto e azzeccare improbabili soluzioni tranquillizzanti.
In questo scenario si pone l'esigenza di un diverso approccio nella trattazione delle questioni fiscali, che subordini l'emanazione di nuove norme alla definizione di puntuali piani di fattibilità. L'obiettivo di corrispondere alle istanze di semplificazione del sistema presuppone innanzitutto un cambiamento di impostazione culturale nel processo di formazione delle leggi. Spesso l'adozione di un atto legislativo non ha ricadute sul piano applicativo a motivo sia della difficoltà di individuarne la portata sia della inadeguatezza o insufficienza delle strutture che dovrebbero assicurarne l'applicazione. Da qui la necessità di far precedere il varo di ogni nuovo atto normativo da una approfondita analisi di impatto e fattibilità, in conformità ai principi definiti nell'art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, che fanno obbligo di valutarne preventivamente gli effetti, la compatibilità con i principi ispiratori del tributo e la concreta possibilità di realizzare gli obiettivi prefissati.
Se non vi ostassero le ragioni della politica, da sempre sensibile all'effetto annuncio, più di un'ennesima riforma che rischia di moltiplicare disposizioni e adempimenti, sarebbe più utile una tregua normativa di riflessione o, preferibilmente, un intervento limitato alla razionalizzazione e riduzione delle norme esistenti mediante la redazione dei testi unici, fin qui rimasta sulla carta per via della onerosità dei relativi lavori preparatori a fronte di un ridotto impatto mediatico. Condivisibile, sul punto, è l'indicazione del disegno di legge delega, volta a innestare le previsioni di riforma su appositi testi unici da approvare in via preventiva.
Come certificato dalla Relazione sull'economia non osservata, ogni anno circa 110 miliardi di evasione sono sottratti al bilancio pubblico. Nonostante la gravità del fenomeno, che non ha riscontri nei più avanzati paesi europei, è fin qui mancata la giusta consapevolezza di dover contrastare l'evasione, senza più indugiare nella reiterazione di pratiche perdonistiche.
Calata in questo contesto, la riforma del sistema tributario non può prescindere da una netta presa di posizione che ponga il tema dell'evasione fiscale tra gli obiettivi prioritari, in assenza della quale gli interventi centrati sulla struttura dei tributi appaiono destinati all'insuccesso.
Occorre prendere atto, peraltro, che le entrate necessarie per garantire gli equilibri di bilancio possono essere assicurate non certo mediante l'inasprimento della pressione fiscale, già particolarmente elevata nel confronto internazionale, bensì puntando proprio su politiche di riduzione dell'evasione tributaria, da attuare mediante innovativi apporti dell'Amministrazione finanziaria.
Il DDL governativo si pone nella giusta direzione, laddove indica il potenziamento dell'adempimento spontaneo come via maestra per ridurre i margini dell'evasione. Resta da stabilire in che modo tale criterio possa trovare attuazione. L'attenzione si sposta sui decreti delegati che non dovrebbero perdere di vista il ruolo determinante dell'amministrazione non solo in sede di controllo repressivo, ma anche e soprattutto nella gestione del dialogo e dei rapporti propedeutici all'assolvimento spontaneo delle obbligazioni, da accreditare come nuova missione operativa che richiede risorse adeguate, rinnovate capacità professionali e attitudini all'assunzione delle responsabilità. La revisione del procedimento di accertamento
La proposta governativa di revisione dell'accertamento, in aggiunta alla massimizzazione dei livelli di adempimento spontaneo, indica tra i criteri direttivi cui uniformare le scelte del legislatore delegato, la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'anagrafe tributaria e il ricorso alle tecnologie digitali anche attraverso soluzioni di intelligenza artificiale.
L'attuazione delle politiche di compliance fa leva, in particolare:
Per incentivare l'adempimento spontaneo dei grandi contribuenti si prevede, in particolare, la progressiva riduzione della soglia di accesso al regime di adempimento collaborativo, la possibilità di certificare il sistema integrato di controllo del rischio fiscale, l'introduzione di nuove forme di contraddittorio preventivo, la semplificazione delle procedure di regolarizzazione e l'introduzione di istituti speciali di definizione del rapporto tributario in presenza di apposite certificazioni rilasciate da professionisti qualificati.
La previsione del concordato biennale, di fatto rilevante come soluzione alternativa all'assolvimento spontaneo dell'obbligazione (autotassazione), si ricollega alla obiettiva difficoltà di assoggettare a controllo la platea di oltre due milioni di contribuenti di piccole-medie dimensioni e alla conseguente determinazione di proporre strumenti diversi da quelli fin qui sperimentati con risultati deludenti, come gli studi di settore e, in modo indiretto, gli indici sintetici di affidabilità (ISA). La definizione biennale della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP verrà formulata e proposta ai contribuenti utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a disposizione dell'Agenzia. Se accolta, comporta l'irrilevanza di maggiori o minori imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato. È tuttavia prevista la decadenza dal concordato qualora il contribuente non abbia correttamente documentato, negli anni oggetto di definizione, ricavi o compensi di importo superiore a prestabilite soglie oppure abbia commesso violazioni di non lieve entità.
Sembra delinearsi, al riguardo, una strategia differenziata che per i grandi contribuenti si basa sulla introduzione di nuove e più penetranti forme di contraddittorio preventivo e, per i piccoli e medi soggetti, sul contraddittorio con modalità semplificate non meglio specificate.
Anche il concordato biennale non si sottrae dunque all'esigenza del contradditorio che, a ben guardare, dovrebbe attivarsi sistematicamente nell'ambito di procedimenti preordinati non propriamente al potenziamento dell'adempimento spontaneo ma alla definizione del rapporto tributario nei confronti della totalità dei contribuenti di piccole e medie dimensioni. Se la formulazione della proposta di concordato biennale assurge, come sembra, al rango di diritto soggettivo dei contribuenti, ancorché questi siano poi liberi di aderirvi o meno, vi è il rischio di approdare a soluzioni automatizzate, appiattite sugli elementi presenti in anagrafe, senza il supporto di un proficuo dialogo, evidentemente non proponibile nei confronti di milioni di contribuenti destinatari delle proposte. Non può escludersi che la capacità operativa dell'amministrazione venga impegnata fino a esaurimento nella gestione dei concordati, a discapito della necessità di approfondire in contraddittorio la portata degli elementi presenti nel sistema informativo. Sebbene il DDL non fornisca indicazioni in merito alla gestione del concordato biennale né all'organizzazione degli accertamenti in caso di mancata adesione alla proposta concordataria, si ritiene immanente al vigente sistema tributario basato sull'autotassazione, l'esigenza di pianificare azioni selettive di supporto all'attività di controllo, che l'amministrazione deve poter effettuare ogniqualvolta il tentativo di definizione concordata non vada a buon fine.
Per scongiurare possibili ricadute negative del concordato biennale, andrebbero quindi definite apposite forme selettive di interlocuzione volte a supportare l'efficacia del nuovo istituto mediante la valorizzazione a fini di controllo degli elementi indiziari in possesso dell'amministrazione, al riparo dagli automatismi che hanno segnato fin qui la crisi delle politiche di controllo nei confronti dei piccoli-medi contribuenti.
L'ottimismo dell'intelligenza artificiale e la gran mole di dati acquisiti al sistema informativo non possono sopperire invero alla necessità di un confronto dialettico. Fanno ancora sorridere le dichiarazioni rese dal Ministro delle finanze pro tempore all'indomani della riforma degli anni '70, secondo cui per scovare gli evasori sarebbe stato sufficiente “spingere un bottone”. Senza sminuire l'importanza delle operazioni di potenziamento e, ancor prima, di pulitura e razionalizzazione degli archivi informatici, è necessario individuare nuovi strumenti di controllo in grado di corrispondere alle medesime aspettative ampiamente disattese dall'utilizzo degli studi di settore e degli arcani algoritmi degli ISA, di cui la proposta governativa prevede opportunamente il graduale superamento.
Fuorviante è altresì il ricorrente auspicio, fatto proprio anche dalle Commissioni finanze della passata legislatura, di “superare le residue forme ancora presenti di attività di controllo basate sulla ricostruzione presuntiva di reddito o ricavi”, privilegiando di contro l'impiego di metodologie analitiche a miglior tutela dei diritti dei contribuenti. Tali affermazioni non considerano le insuperabili difficoltà connesse con il tentativo di ancorare l'accertamento nei confronti dei piccoli-medi contribuenti alle risultanze delle scritture contabili o ad altre prove certe ed univoche.
Invero, una visione realistica della struttura dei rapporti tributari riconducibili agli operatori economici meno strutturati e delle attività di controllo che intendano recuperare nei loro confronti sufficienti margini di efficacia, non può prescindere dall'impiego di presunzioni qualificate che l'amministrazione deve poter utilizzare come avviene nella maggior parte degli stati comunitari, sia pure subordinatamente alla sperimentazione di metodi analitici e previa acquisizione in contraddittorio di ogni elemento distintivo della specifica realtà ispezionata. L'enfasi riposta negli accertamenti analitici si è rivelata non meno illusoria del proposito di tradurre in accertamenti automatici gli elementi in possesso dell'amministrazione, prescindendo dalla validazione in contraddittorio dei medesimi.
Strumenti come, ad esempio, l'accertamento sintetico e la determinazione presuntiva del reddito delle società non operative sono indispensabili per intercettare rispettivamente le manifestazioni di ricchezza di fonte indeterminata e i fenomeni di spersonalizzazione e intestazione fittizia dei beni.
Questo non esclude peraltro la necessità di una radicale riforma sia dell'accertamento sintetico (abbandonando gli automatismi del redditometro a favore di una ricostruzione motivata delle manifestazioni di spesa effettuata in contraddittorio) sia della disciplina delle società non operative (anche in questo caso sostituendo le deduzioni automatiche con una determinazione dialettica della capacità operativa propria delle società che manifestano particolari anomalie strutturali), in ogni caso subordinando l'eventuale utilizzo di presunzioni alla collaborativa partecipazione del contribuente al procedimento di controllo. Nuove soluzioni di dialogo con i piccoli-medi contribuenti
Il “cambia verso” inaugurato dall'istituto dell'adempimento collaborativo ed attuato anche mediante altre forme di confronto individuate dall'Agenzia delle entrate, ha favorito il passaggio da una gestione ex post dei controlli a una gestione ex ante, in assenza tuttavia di un organico sistema di dialogo tra l'amministrazione finanziaria e i contribuenti di piccole e medie dimensioni.
Le prefigurate “nuove e più avanzate forme di comunicazione tra il contribuente e l'amministrazione fiscale, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, per semplificare gli adempimenti, stimolare l'assolvimento degli obblighi tributari e favorire l'emersione spontanea delle basi imponibili” (art. 1, co. 634, L. 190/2014), sono state fin qui impiegate prevalentemente nell'ambito di sterili confronti ‘a distanza' con i contribuenti interessati.
Fatta eccezione per la segnalazione di limitati aspetti delle dichiarazioni caratterizzati da oggettive criticità, la ridotta efficacia delle iniziative intraprese negli ultimi anni per incrementare la tax compliance è confermata dal numero elevato di contribuenti che, non condividendo o mal comprendendo i motivi delle segnalazioni ricevute, omettono di regolarizzare la propria posizione, anche in considerazione della obiettiva difficoltà dell'amministrazione di motivare l'accertamento sulla base degli elementi indiziari segnalati.
Invero, le elaborazioni del sistema informativo possono indirizzare i controlli ma non sostituirsi al dialogo con il contribuente. Come insegna la Corte di Cassazione, gli elementi indiziari possono essere posti a base dell'accertamento solo se corroborati da ulteriori dati acquisiti in contraddittorio e riferibili alla specifica realtà aziendale o professionale del contribuente. Di converso, se assoggettati a processi di lavorazione automatizzati, prescindendo da un confronto dialettico, rischiano di accentuare la distanza che separa il fisco dai contribuenti ed incrinare definitivamente un rapporto caratterizzato da incertezze e diffidenze reciproche.
In sintesi, le soluzioni che negli ultimi venti anni hanno costituito il principale e più visibile campo di lavoro per l'incremento della compliance, si sono rivelate inadeguate soprattutto nei confronti dei piccoli e medi operatori economici. Si impone, dunque, la definizione di un sistema che consenta all'amministrazione di “conoscere” in via preventiva la realtà dei contribuenti di piccole e medie dimensioni, modellato sulla falsariga del regime di adempimento collaborativo introdotto dal d.lgs. n. 128/2015 per le società di grandi dimensioni. Andrebbero ricercate e definite nuove forme selettive di dialogo come, ad esempio, la formalizzazione di una breve e mirata interlocuzione preventiva, finalizzata alla disamina di fatti e circostanze desunti dall'anagrafe tributaria ovvero riscontrati in occasione di eventuali accessi, che possano risultare utili ai fini dell'assolvimento delle future obbligazioni. Quantunque gestite in uno spirito di collaborazione, con il proposito di orientare il contribuente nell'assolvimento degli obblighi tributari, siffatte iniziative verrebbero percepite anche come ammonimento a evitare futuri comportamenti disallineati. Resta inteso che per raggiungere tale obiettivo occorre dotarsi di un apparato amministrativo adeguatamente professionalizzato, aperto all'innovazione e fortemente orientato all'incremento della compliance, in grado di sviluppare il dialogo con i contribuenti soprattutto nei tempi che precedono l'effettuazione degli adempimenti periodici (dichiarazioni e versamenti finali).
L'idea potrebbe declinarsi nella istituzione di un servizio di vigilanza cui affidare il compito di gestire ex ante le interlocuzioni prima menzionate, realizzando una forma di controllo del territorio. L'iniziativa dovrebbe tendere all'instaurazione di rapporti di reciproco affidamento con i contribuenti, attualmente destinatari di comunicazioni di non agevole comprensione e più spesso di controlli ex post che preludono a dispendiose e sterili dispute giudiziarie. Il coinvolgimento degli enti locali nel controllo del territorio
L'ipotesi di definire un sistema di controllo del territorio fondato sulla interlocuzione preventiva aderisce, come si è detto, all'esigenza di rendere più comprensibili e trasparenti i rapporti tributari. Dovrebbe contribuire in particolare alla revisione dei controlli presuntivi nei confronti dei medio-piccoli contribuenti, attualmente in fase recessiva come dimostra l'esiguo numero di accertamenti effettuati negli ultimi anni. Il sistema auspicato fa leva sulla valorizzazione degli elementi presenti nel sistema informativo, da riorganizzare in funzione della proficuità della interlocuzione preventiva e della successiva, eventuale fase di controllo. Dovrebbe contestualmente affermarsi il divieto di utilizzare gli esiti della interlocuzione per il controllo di obbligazioni già assolte alla data dell'incontro con il contribuente o, quanto meno, evidenziarne la finalizzazione al controllo di future obbligazioni.
Il punto debole del progetto è rinvenibile nella difficoltà per l'amministrazione di gestire un numero comunque significativo di interlocuzioni, pure necessario per imprimere al sistema dei controlli la svolta auspicata. Da qui l'ipotesi di allargare la platea degli operatori dell'amministrazione, con una decisa apertura in direzione degli enti locali.
È noto come i tentativi di coinvolgere i comuni nell'attività di accertamento finora non siano andati in porto, nonostante la prospettiva – sulla carta molto allettante - di devolvere ai medesimi l'intero gettito degli accertamenti. A salvaguardia della loro autonomia, i comuni andrebbero coinvolti sulla base di apposite convenzioni liberamente stipulate con l'Agenzia delle entrate, con l'obiettivo di incrementare le proprie entrate a fronte della collaborazione offerta nella gestione del servizio di vigilanza. Gli operatori dei comuni e, in particolare, la polizia municipale, potrebbero impegnarsi in un'opera di collaborazione alle dipendenze funzionali delle Direzioni provinciali dell'Agenzia delle entrate, di fatto limitandosi all'effettuazione di riscontri elementari, innescati dalle informazioni, debitamente organizzate, desunte dal sistema informativo. Bussole di inquadramento |