Condominio e locazione

Contratto di locazione: risoluzione e restituzione del deposito cauzionale

12 Aprile 2023

La Corte di legittimità si pronuncia in tema di obbligo, gravante in capo al locatore, di restituzione del deposito cauzionale al termine del rapporto locativo, precisando che per sottrarsi a tale obbligo egli debba proporre apposita domanda giudiziale.

Massima

Al termine del contratto di locazione, il locatore può sottrarsi all'obbligo di restituzione del deposito cauzionale, a condizione che proponga domanda giudiziale per l'attribuzione dello stesso, in tutto o in parte, a copertura di importi rimasti impagati, ovvero di specifici danni subiti, di qualsiasi natura (e non solo di quelli strettamente afferenti alla res locata).

Il caso

Tizio e Caio (locatori) convengono in giudizio Sempronio (conduttore) per sentire convalidato lo sfratto a questi intimato dal bene immobile condotto in locazione per uso commerciale sulla base di un contratto che prevedeva l’obbligo del pagamento di un canone “X” mensile.

Il conduttore si opponeva alla domanda ed introduceva domanda riconvenzionale di restituzione della somma “Y” per avere, tra l’altro, versato tre mensilità a titolo di cauzione.

Da parte dei locatori, s’introduceva poi domanda risarcitoria di ritenuti danni da lucro cessante, con riguardo al mancato pagamento dei canoni locativi dovuti e non corrisposti, sino all’atto della conclusione del rapporto di locazione.

All’esito del giudizio, veniva accolta dal giudicante la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore Sempronio. Questi, inoltre, veniva condannato dal tribunale al pagamento dei canoni locativi rimasti impagati, in favore dei locatori, in un importo mensile ridotto, poiché le parti avevano convenuto in questo senso per il periodo concordato.

Veniva accolta, tuttavia, anche la domanda riconvenzionale di Sempronio di restituzione del deposito cauzionale.

Infine, il Tribunale respingeva la domanda risarcitoria, proposta dai locatori del danno da lucro cessante, commisurata al canone di locazione che Sempronio avrebbe dovuto versare sino all’atto della scadenza naturale del contratto.

Avverso la decisione del primo giudice esperivano gravame gli attori. A conclusione del secondo grado di merito, la Corte territoriale accoglieva parzialmente il gravame. In particolare, veniva confermata la condanna degli appellanti alla restituzione in favore del conduttore dell’importo della cauzione, sul presupposto che il bene immobile non avesse sofferto danni, riconoscendo parzialmente il diritto dei locatori ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante, consistito nel fatto che l'immobile non venne concesso in locazione a terzi, nonostante il fatto che i proprietari si fossero attivati per locarlo a terzi.

Contro la decisione della Corte di merito si sollevavano Tizio e Caio, i quali ricorrevano per cassazione sulla base di due motivi.

Resisteva Sempronio con controricorso.

Le questioni

Quanto al primo motivo, le parti ricorrenti muovono censure alla sentenza impugnata nella parte in cui questa le condanna alla restituzione, in favore del conduttore, del deposito cauzionale.

Con il secondo motivo di ricorso, Tizio e Caio censurano la sentenza impugnata criticando la decisione di delimitare la misura del danno da lucro cessante, ritenendo al contrario, dette parti, che al locatore competano in misura completa i canoni che non siano riscuotibili, sino alla conclusione del vincolo contrattuale locatizio.

Il contratto di locazione

La locazione è definita dall'art. 1571 c.c. come il contratto con cui una parte si obbliga a far godere del bene (mobile o immobile) all'altra parte, per un determinato periodo di tempo e dietro corrispettivo. Laddove il contratto abbia durata superiore ai trenta giorni, esso è soggetto a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, da parte del locatore o del conduttore, risultando sottoposto ad imposta di registroex art. 21 L. 449/1997.

Si tratta di figura negoziale ben distinta rispetto ad altre cui, nella pratica corrente, è spesso impropriamente avvicinata [ad es. il comodato – contratto, come noto, essenzialmente gratuito – il quale costituisce contratto sulla cui base una parte provvede alla consegna in favore dell'altra di una cosa determinata (mobile o immobile), affinché ne faccia uso per un determinato tempo, oppure per un uso determinato e con l'obbligo correlato alla restituzione (artt. 1803 e s. c.c.)].

Tra le obbligazioni del locatore (ex art. 1575 n. 2 e 3 c.c.), va inclusa quella della conservazione della cosa in stato da servire all'uso comune e garantirne così un godimento pacifico al conduttore.

Di regola, invece, si esclude che rientri tra gli elementi essenziali del contratto l'idoneità del bene oggetto della locazione all'esercizio dell'attività cui il bene stesso, sulla base dell'accordo pattizio concluso dalle parti, sia destinato e, in modo particolare, la possibilità di conseguire le autorizzazioni necessarie ai fini dello svolgimento di tale attività dell'immobile interessato, in ragione delle caratteristiche delle quali il bene è assistito.

L'eventuale difetto, impossibilità od illiceità, dei requisiti essenziali è causa di invalidità del contratto. Nel caso, invece, dell'inidoneità del bene immobile allo svolgimento dell'attività anzidetta, si è di fronte ad un inadempimento di un'obbligazione da parte del locatore, che giustifica la risoluzione del vincolo contrattuale su input del conduttore che si determini a domandarla.

Da parte sua, il locatore, rimane comunque inadempiente, allorché le carenze, oppure le caratteristiche stesse del bene locato, risultino di impedimento allo stesso esercizio dell'attività del conduttore, tenuto conto dell'uso che dello stesso le parti abbiano convenuto, oppure delle autorizzazioni o concessioni di carattere amministrativo necessarie.

La risoluzione del contratto di locazione

Il tema della risolubilità del contratto di locazione è connesso, in primo luogo, a quello dell'inadempimento. Secondo le norme del Codice civile, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive l'inadempimento delle obbligazioni di una parte contraente, legittima l'altra a chiedere l'adempimento, oppure la risoluzione del contratto. È poi in ogni caso, fatto salvo il risarcimento del danno. La risoluzione del contratto può essere domandata, altresì, nell'ipotesi in cui l'introduzione del giudizio abbia avuto luogo originariamente luogo per il conseguimento dell'adempimento. È invece escluso che possa formularsi domanda di adempimento, allorquando sia stata richiesta la risoluzione del contratto.

Ancora, l'art. 1453 c.c. prevede come, dalla data della domanda di risoluzione del contratto, alla parte inadempiente è preclusa la possibilità di provvedere all'adempimento dell'obbligazione. La risoluzione del contratto, d'altra parte, non può intervenire, qualora l'inadempimento consumato da una delle parti contraenti, mostri possedere una scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse dell'altra.

Ora, deve rilevarsi come l'orientamento prevalente ha sottolineato come le cause di risoluzione di un contratto locativo per inadempimento del conduttore, debbano già essere presenti all'atto della proposizione, per opera dell'altra parte contraente, della relativa domanda giudiziale.

Inoltre, si esclude che il giudice possa prescindere dall'effettuazione di un'indagine sulla sussistenza dell'inadempimento all'atto della proposizione della domanda.

Conseguentemente, si è ritenuto altresì di escludere che il giudice possa porre, a base dell'accoglimento della domanda, il solo elemento del perdurare dello stato di morosità in pendenza della relativa lite.

La legittimazione della risoluzione del contratto di locazione si deve così fondare su un inadempimento che, per potersi considerare sufficientemente grave, sia valutato in modo non settoriale, venendo considerato da una prospettiva che non si limiti alla sola considerazione di specifici elementi– quali la scadenza dei canoni; importo di questi stessi, etc. – ma ne curi anche di ulteriori, come per quello riferito alla condotta della parte inadempiente.

È necessario, a contrario, effettuare un bilanciamento tra il legittimo diritto della parte locatrice al conseguimento della puntuale prestazione gravante sul conduttore e il legittimo diritto di quest'ultimo a non vedersi risolto il contratto, mancando una colpa a lui riferibile da cui derivi un grave inadempimento.

Profilo di responsabilità del locatore, è poi quello che genera dall'art. 1580 c.c.

Secondo tale previsione, qualora i vizi della cosa, o di una parte notevole di essa, espongano a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, al conduttore medesimo può essere accordata, anche nel casi in cui i vizi gli fossero noti e nonostante qualunque rinunzia eventualmente occorsa, la risoluzione del contratto.

In relazione a tale norma, deve rilevarsi come essa operi una sostanziale deroga al principio dettato, in tema di inammissibilità della domanda di risoluzione, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità dei vizi da parte del conduttore.

Da un punto di vista operativo, è grave l'inadempimento del contraente che, in violazione di precise disposizioni dettate dal contratto di locazione, realizzi sull'immobile locato nuove opere, in difetto di ogni accordo con la parte locatrice ed anzi in spregio ad eventuali diffide di quest'ultima. In via esemplificativa, è tale la situazione in cui, pur a fronte del divieto imposto dalla clausola contrattuale che preclude al conduttore innovazioni o modifiche ai locali concessi in locazione senza una preventiva e necessaria autorizzazione fornita per iscritto dal locatore, il conduttore medesimo disponga comunque l'ampliamento del corpo di fabbrica locato (ad es., aumentando la superficie dei balconi).

Il contenuto della clausola anzidetta, si risolve così con il rivestire carattere di essenzialità, in quanto a mezzo dello stesso, le parti hanno inteso attribuire rilevanza specifica a qualunque forma di manomissione dello stato dei luoghi.

L'ipotesi della quale si è esemplificativamente considerata la portata, assume, pertanto, un valore di peculiare gravità sul piano soggettivo, per avere il conduttore posto in essere condotte non consentite, anche a fronte di diffide eventuali della parte locatrice. Circostanze, queste, che, complessivamente valutate, pongono in serio dubbio la fiducia di una parte nell'altra, che, invece, deve costituire elemento insistente in ogni rapporto di fonte contrattuale.

La restituzione del deposito cauzionale da parte del locatore

Il deposito cauzionale è previsto dall'art. 11 L. n. 392/1978 e non può essere superiore a tre mensilità del canone.

Su tale deposito maturano interessi legali, i quali debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ciascun anno.

L'obbligo della restituzione di detto deposito al conduttore, con gli eventuali interessi che non fossero stati corrisposti annualmente, sorge all'atto della risoluzione del contratto di locazione con l'integrale adempimento, da parte del conduttore medesimo, delle obbligazioni su di lui gravanti.

Da un punto di vista pratico, detto deposito comporta la consegna da parte del conduttore che vi è tenuto di una somma di denaro (o di altre cose mobili fungibili), quale forma di garanzia relativa all'eventualità, in specie, in cui sorga un'obbligazione risarcitoria di un danno.

L'accipiens, in tal modo, è posto nella condizione di soddisfarsi agevolmente sul valore delle somme (o sul valore delle cose ricevute) ove  l'altro contraente abbia a lui provocato un danno.

Quanto alla parte locatrice, si è ritenuto come l'obbligazione in capo ad essa di provvedere alla restituzione del deposito cauzionale si formi al momento della cessazione del rapporto di locazione, in specie nel momento in cui il conduttore abbia provveduto al rilascio del bene.

Ciò implica che, nel caso in cui in cui il locatore (accipiens) si risolva per il trattenimento del deposito in difetto di una domanda giudiziale finalizzata all'attribuzione (completa o parziale) di esso a copertura di danni sofferti o mancati pagamenti del canone, il conduttore può legittimamente esigerne la restituzione.

Dallo svincolo (volontario o coattivo) del deposito cauzionale, discende il solo effetto della perdita di quella garanzia liquida che lo stesso deposito cauzionale rappresentava.

Ricondurre sempre ed in ogni caso la restituzione del deposito cauzionale alla assenza di obbligazioni rimaste inadempiute del conduttore o di danni da risarcire – salvo che all'obbligo della restituzione del deposito si giunga in conseguenza dell'accertamento della rinunzia da parte del locatore a far valere i suoi crediti ovvero all'accertamento dell'infondatezza delle sue pretese – può essere tuttavia fonte di conseguenze che si sono concluse come disarticolanti.

Se ne fa così discendere che:

  • il diritto alla restituzione del deposito cauzionale sorge in conseguenza della conclusione del rapporto di locazione e del rilascio del bene;
  • non è richiesto in via necessitata l'accertamento della mancanza di danni o dell'infondatezza di eventuali pretese a carattere risarcitorio eventualmente avanzate dal locatore;
  • l'eventualità della sussistenza di danni può costituire oggetto di deduzione da porre a fondamento di una domanda riconvenzionale risarcitoria (osservata la tempistica processuale, a pena di decadenza).

Alla cessazione del rapporto di locazione, una volta che il bene locato sia stato riconsegnato, il locatore non può trattenere a sé, a tempo indeterminato, la somma corrispondente al deposito cauzionale al fine di una futura ed eventuale rivalsa per dei danni, se non procede alla proposizione di apposita domanda giudiziale. Si esclude, infatti, che il rifiuto del locatore eventualmente opposto alla restituzione della cauzione, possa fondarsi su semplici allegazioni. In mancanza di tale domanda giudiziale, il conduttore è legittimato ad agire ai fini della relativa restituzione anche eventualmente avvalendosi della procedura monitoria.

Infatti, chiuso il rapporto locatizio, riconsegnato dal conduttore al locatore il bene oggetto del medesimo, cessa di sussistere la stessa funzione di garanzia che la legge assegna al deposito cauzionale.

Ciò comporta che, ad es., per il caso in cui il conduttore abbia conseguito decreto ingiuntivo per la restituzione, eventuali diritti vantati dal locatore potranno essere fatti valere solo in sede di opposizione all'ingiunzione, oppure qualora ad essere introdotta dal conduttore sia stata un'azione ordinaria, essi potranno essere fatti valere attraverso proposizione di domanda riconvenzionale dal locatore medesimo.

La soluzione

All'esito del relativo esame, il S.C. conclude per l'accoglimento del ricorso proposto dalle parti locatrici, con riguardo a ciascuno dei due motivi.

Ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, la Cassazione argomenta sostenendo che, ai fini dello scrutinio di esso, si debba prendere le mosse dal principio in ragione del quale la funzione cui risponde il deposito cauzionale, nell'ambito della figura contrattuale che qui rileva, sia quella di prestare la garanzia dell'adempimento di tutti gli obblighi ai quali il conduttore è tenuto, siano essi legali come per quelli convenzionali, tra questi – e in primo luogo – quelli riferiti al pagamento dei canoni locativi. Peraltro, la Cassazione non tralascia di considerare neppure, in tale ottica, l'obbligo del preavviso in caso di recesso del conduttore dal contratto di locazione.

Il deposito cauzionale si pone, dunque, per la Cassazione, in termini di garanzia dell'obbligazione del risarcimento del danno ed in questa si vuole inclusa anche l'obbligazione (che gli odierni ricorrenti avevano già visto riconosciuta in loro favore) riguardante il lucro cessante. Ciò, quindi, con la conseguenza che sulla misura dell'importo oppure sul valore dei beni che lo stesso accipiens abbia visto a lui consegnati, egli potrà agevolmente rivalersi per soddisfarsi del danno eventualmente a lui cagionato dal conduttore e per la misura di questo stesso. Il locatore, ritiene la Cassazione, può così sottrarsi all'obbligo della restituzione del deposito cauzionale, l'insorgenza del quale invece ha luogo con la conclusione del rapporto di locazione. A tal fine, tuttavia, sottolinea lo stesso S.C., il locatore è tenuto alla proposizione di apposita domanda giudiziale con cui chiede al Giudice che gli sia attribuito, in tutto o solamente in parte, lo stesso deposito, affinché risultino coperti in tal modo eventuali e specifici danni sofferti, oppure importi i quali siano rimasti sforniti di pagamento.

L'analisi argomentativa condotta dai giudici di legittimità, sottolinea, pertanto, come sia caduta in errore la sentenza impugnata, ove stabilisce che, essendo stato accertato che il bene immobile locato non avesse patito conseguenze dannose,  si concludeva per la restituzione della somma già versata a titolo di deposito cauzionale, in questo modo correlando l'effetto restitutorio della cauzione al solo adempimento di restituzione della cosa locata ex art. 1590 c. 1 c.c.

Il conduttore era stato quindi condannato al risarcimento del danno da lucro cessante, questo consistente nella perdita della possibilità dei locatori di dare in locazione il bene immobile a soggetti terzi. Pertanto, per i giudici di legittimità, anche sotto questo profilo andava espressa valutazione in ordine alla debenza della restituzione in favore del conduttore del deposito cauzionale.

Esclude, infine, la S.C., che il controricorrente colga nel segno, laddove nei suoi scritti defensionali riferisce che i ricorrenti si sarebbero limitati solamente a domandare che fosse dichiarata non rimborsabile la somma versata a titolo di deposito cauzionale e per l'osservanza delle obbligazioni poste in capo al conduttore. Sul punto, la Cassazione conclude  che debba essere il giudice del rinvio a stabilire se, in tal modo si sia, o meno, giunti alla formulazione di una domanda di compensazione e/o di attribuzione della somma. (Se si tratti, cioè, della domanda di attribuzione della somma versata a titolo di deposito cauzionale a copertura del danno da lucro cessante).

La Cassazione conclude poi per la fondatezza anche del secondo motivo di ricorso. Rammenta a tale riguardo la S.C. come si sia ritenuto che, per il caso di risoluzione del contratto di locazione a cagione dell'inadempimento del conduttore, competa al locatore (non inadempiente), il diritto di avanzare pretesa in ordine a quanto avrebbe potuto conseguire, qualora il conduttore avesse soddisfatto le obbligazioni cui lo stesso era tenuto, oppure che avrebbe potuto ricavare dal bene immobile nel periodo  intercorrente tra il momento della risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto rimasto appunto senza adempimento.

Per la Cassazione, quindi, il danno da assoggettare a risarcimento non può essere costituito dalla misura dei canoni rimasti dovuti per la durata ulteriore della locazione, questa conclusa per inadempimento. Esclude ancora la Corte di legittimità che si possa prendere in considerazione la riacquistata disponibilità del bene, in quanto esso sintantoché non sia nuovamente locato, per la parte che aveva scelto di trarvi un reddito locatizio, non può costituire (o non è dato presumersi a priori che lo sia) un reale vantaggio, paragonabile all'altro.

La Cassazione ritiene che la Corte di merito abbia così errato nel delimitare il risarcimento ad una misura corrispondente a sei mensilità del canone di locazione.

Il pronunciante di legittimità conclude pertanto per l'accoglimento del ricorso in relazione ad entrambi i motivi sui quali esso è articolato con la conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata

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