Riforma processo civile: le modifiche al procedimento cautelare uniforme

17 Maggio 2023

Il presente contributo approfondisce le novità della riforma c.d. Cartabia che hanno investito il procedimento cautelare uniforme. In materia, il legislatore delegato è intervenuto, in modo alquanto limitato, potremmo dire chirurgico, con alcune diposizioni aventi una finalità deflattiva e comunque di semplificazione.
Il parziale ampliamento della categoria dei provvedimenti a strumentalità attenuata

Il legislatore delegato è intervenuto, in modo alquanto limitato, potremmo dire chirurgico, anche sul procedimento cautelare uniforme con alcune diposizioni aventi una finalità deflattiva e comunque di semplificazione.

La prima di esse attua il principio di delega di cui all'art. 1 comma 17, lettera q), della l. n. 206/2021 e consiste nella modifica del comma sesto dell'art. 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, come precisa la relazione ministeriale, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previsto dall'art. 669-octies c.p.c. e dal primo comma dell'art. 669-novies c.p.c. si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere di assemblee condominiali, adottati ai sensi dell'art. 1137, comma 4, del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito.

In questo modo è stata estesa anche alla sospensiva della delibera di assemblea condominiale, adottata ante causam, la regola dell'ultrattività propria dei «… provvedimenti d'urgenza o gli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito», che era stataintrodotta, per la prima volta e per le sole controversie societarie, dall'art. 23 comma 1, del d. lgs. n. 5/2003 e poi, con riguardo a tutte le restanti controversie, dal d.l. n. 35/2005 (conv. con modif. nella l. n. 80/2005).

Infatti, se nella disciplina del procedimento cautelare uniforme, delineata dalla l. n. 353/1990, era stato stabilito che il giudizio di merito dovesse essere avviato dal beneficiario della misura cautelare, onde evitarne la caducazione, con le predette modifiche era stata attenuata la strumentalità della cautela rendendo non più necessaria, ma solo facoltativa, l'instaurazione del relativo giudizio di merito (art. 669- octies, comma 6, c.p.c.) per stabilizzare gli effetti della prima.

La seconda modifica avrebbe dovuto (il motivo dell'uso del condizionale verrà spiegato a breve) costituire invece attuazione del principio di delega di cui all'art. 1 comma 17, lettera r), l. n. 206/2021 e consiste nell'estensione della regola della permanenza degli effetti (ottavo comma dell'art. 669-octies) anche in caso di estinzione del giudizio di merito già introdotto sia ai provvedimenti di cui al sesto comma, e quindi anche alla sospensiva di delibera di assemblea condominiale, che ai «provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società».

La relazione ministeriale spiega che, con questa modifica, si è inteso ovviare alla natura non anticipatoria dei suddetti provvedimenti cautelari, che comportava che essi perdessero di efficacia nell'ipotesi in cui il giudizio di merito – nell'ambito del quale vanno necessariamente proposti - si fosse estinto.

La formulazione complessiva del nuovo comma risulta però, da un lato, in contrasto con la legge delega e dall'altro incompleta.

Con riguardo al primo aspetto l'ottavo comma dell'art. 669-octies, modificato nei termini sopra detti, presenta un difetto di coordinamento con il comma sesto.

Esso richiama infatti i provvedimenti di cui al comma sesto che però, dopo l'aggiunta sopra citata, ricomprendono l'istanza di sospensione della delibera di assemblea condominiale proposta prima della causa di merito e non anche quella che fosse proposta nella pendenza del giudizio di merito.

Il difetto di coordinamento evidenziato nel testo è segnalato anche nella relazione dell'ufficio del massimario al d. lgs. n. 149/2022.

Vi si legge infatti (pag. 112) che: «il quarto comma dell'art. 1137 c.c., che disciplina l'impugnazione delle delibere dell'assemblea dei condomini, non risulta pienamente coordinato con le modifiche apportate all'art. 669-octies c.p.c. Ed infatti, dal comma suindicato risulta eliminato esclusivamente il riferimento all'art. 669-octies c.p.c., ma nella prima parte continua a disporre che l'istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell'impugnazione. La relazione non trae però da tale rilievo anche la logica conseguenza del contrasto della disposizione con la legge delega ma quella che essa sembri “continuare a richiedere la necessaria instaurazione del giudizio di merito, volto all'impugnazione della delibera condominiale».

Eppure il principio della legge delega aveva prescritto che la previsione riguardasse “l'esecuzione delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni, societa', ovvero condominio, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa”.

Del resto, proprio la proposizione congiunta della domanda cautelare e di quella di merito costituisce la regola nel caso di impugnativa di delibere condominiali.

A fronte di essa infatti, dal momento che l'iniziativa giudiziale è soggetta ad un termine di decadenza, e poiché, a mente dell'art. 1137, comma 4, c.c., l'istanza ante causam non ha effetti impeditivi della decadenza, la tempestiva impugnativa diventa indefettibile presupposto logico-giuridico della sospensione.

Ora, la disparità di trattamento venutasi a creare, a seguito dell'evidenziata omissione, tra l'ipotesi, invero remota, della sospensiva di delibera condominiale adottata ante causam e l'altra, ricorrente, della sospensiva adottata in corso di causa non è per nulla giustificata e appare il frutto di una disattenzione del legislatore delegato.

Ad essa non pare però potersi ovviare con una interpretazione adeguatrice, orientata a rendere il dettato normativo conforme a Costituzione, poiché tale via, come chiarito dalla Corte costituzionale, incontra un insuperabile limite nel dato letterale della disposizione.

Il giudice delle leggi infatti ha più volte affermato che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» (sent. n. 232 del 2013; in senso conforme, sentt. n.174 del 2019, n. 82 del 2017 e n. 36 del 2016 e da ultimo n. 253 del 2020).

La previsione risulta pertanto in contrasto con il parametro dell'art. 3 della Costituzione,

Analogo rilievo si può muovere alla scelta, compiuta non dal legislatore delegato ma dalla legge delega, di escludere dall'elenco delle deliberazioni menzionate nell'aggiunta al comma 8 le deliberazioni della maggioranza dei comunisti, che pure, ai sensi dell'art. 1109, ultimo comma, c.c., sono passibili di sospensiva e le decisioni dei soci di società di persone.

Ad esse non si può estendere la disciplina in tema di impugnazione di delibere di assemblea di condominio data la diversità dei presupposti di questa, evidenziata di recente dalla Suprema Corte (Sul punto si veda Cass. civ. 26 Gennaio 2022, n. 2299).

E' oltremodo dubbio poi se nella categoria, espressamente menzionata, delle «deliberazioni assunte da qualsiasi organo di … società» il legislatore delegato abbia inteso includere anche le deliberazioni assunte dagli organi di una società di persone ed in particolare quelle che propriamente sono le decisioni dei soci.

L'ampiezza della formulazione, in assenza di indicazioni interpretative da parte della relazione, può far propendere per la risposta affermativa.

Se così fosse però occorrerebbe prendere atto del fatto che il legislatore delegato ha anche risolto due questioni di natura sostanziale, sottostanti alla scelta compiuta e sulle quali fino ad ora si era registrato un accesso dibattito tra gli interpreti: quella del metodo decisionale utilizzabile nelle società di persone, da ritenersi improntato alle regole della collegialità, e quella del regime di invalidità applicabile alle decisioni, che sarebbe modulato su quello delineato dagli art. 2377 e ss. c.c. perché è soggetto alla medesima disciplina processuale delle impugnative delle delibere di altre società.

L'impostazione sistematica sottostante alla riforma

Il legislatore, con la disciplina illustrata nel paragrafo precedente, ha risolto il contrasto che, prima della riforma, vi era tra gli interpreti in ordine alla natura anticipatoria dei provvedimenti di sospensione delle delibere assunte dall'assemblea di una associazione (art. 23 comma 3, c.c.), dai componenti di una società di persone che intendano escludere un socio (art. 2287, comma 2, c.c.), dai partecipanti ad una comunione (art. 1109, comma 2, c.c.) e dall'assemblea di un condominio (art. 1137, comma 2, c.c.), e tutti inerenti a giudizi suscettibili di decisione con sentenze costitutive o di accertamento costitutivo.

Sebbene in quel dibattito non si fosse fatto espresso cenno anche alle impugnative di delibere di società di capitali, che trovano la loro disciplina nell'art. 2378 c.c., anch'esse ne erano state oggetto.

Si noti del resto che tutte le impugnative di atti collegiali sono strutturate subordinando la possibilità della tutela sommaria alla previa o contestuale incardinazione del giudizio di merito la cui esistenza si pone quindi, quale presupposto per la procedibilità della prima.

La scelta di istituire una connessione necessaria dell'azione in sospensione con quella di annullamento muove dalla premessa che, se il potere di impugnazione può esercitarsi solo attraverso la specifica indicazione dei motivi di illegittimità – che di tale potere costituiscono gli specifici fatti costitutivi e precludono al giudice di conoscere di profili ulteriori non denunziati dal ricorrente – a fortiori la possibilità di chiedere in via cautelare la sospensione dell'atto non può che essere subordinata all'avvenuto esercizio della contestazione giudiziale ed alla precisa enunciazione dei suddetti motivi di impugnazione, alla luce dei quali sarà possibile valutare il fumus della pretesa.

Quanto mai acceso era però stato il dibattito sulla natura dei provvedimenti di sospensione delle delibere assembleari.

Secondo un primo indirizzo, che adottava una nozione lata di provvedimenti anticipatori, comprensiva di quelli che, pur non essendo idonei ad anticipare i medesimi effetti della pronuncia di merito ne assicurano il risultato pratico, non era dubbio che il provvedimento di sospensione dell'efficacia dell'atto realizzasse, di norma, gli effetti pratici, lo scopo a cui è volta la domanda di annullamento o di declaratoria di nullità, e che quindi ad esso dovesse riconoscersi natura anticipatoria, con l'ulteriore conseguenza che esso godeva del regime di stabilità di cui all'art. 669-octies c.p.c.

Alla medesima conclusione era giunta un'altra dottrina che muoveva però dalla diversa premessa di attribuire natura anticipatoria a quel provvedimento cautelare che prevede, a carico della controparte, quegli stessi doveri di fare o di astenersi che ad essa saranno imposti dalla sentenza di merito.

Un ulteriore indirizzo aveva invece sostenuto che, pur essendo indubbia l'idoneità della misura sospensiva ad «appagare» i condomini o i soci impugnanti, la sospensione, rispettivamente, degli effetti di una deliberazione condominiale o assembleare non potesse qualificarsi come anticipatoria, essendo semplicemente preordinata ad evitare che l'esecuzione dell'atto impugnato determini modificazioni di fatto o diritto non più compiutamente eliminabili o rimediabili ex post.

Argomentando da tali premesse sistematiche, una parte della dottrina aveva ritenuto che la sospensione della delibera assembleare è un provvedimento che non può anticipare gli effetti tipici della decisione di merito, atteso che questa è una sentenza costitutiva di annullamento ex art. 2908 c.c.

La giurisprudenza di legittimità (il riferimento è a Cass. 7 ottobre 2019, n. 24939, e Cass. 26 aprile 2021, n. 10986) era stata del medesimo avviso, dal momento che aveva escluso la natura anticipatoria della sospensione delle delibere assembleari, sulla base della considerazione che l'effetto costitutivo proprio della sentenza di annullamento della delibera può prodursi soltanto con il suo passaggio in giudicato e quindi non in sede cautelare.

In quest'ottica ciò che si può anticipare in via cautelare sarebbero solo gli effetti meramente dipendenti che possono derivare da condanne accessorie alle statuizioni costitutive.

Tale indirizzo, a ben vedere, aveva costituito uno sviluppo di quello che aveva affermato che l'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in sentenze costitutive, non è consentita, essendo necessario il loro passaggio in giudicato, nei casi in cui la statuizione condannatoria è legata all'effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico (come nel caso di condanna al pagamento del prezzo della compravendita nella sentenza costitutiva del contratto definitivo non concluso).

L'anticipazione in via provvisoria, secondo tale ricostruzione, è invece consentita quando la statuizione condannatoria è meramente dipendente dall'effetto costitutivo, essendo detta anticipazione compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo nel momento temporale successivo del passaggio in giudicato.

Secondo la Suprema Corte (Cass, Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4059; Cass. civ. 8 novembre 2018, n. 28508; Cass. civ. 29 luglio 2011, n. 16737) erano anche le esigenze sistematiche connesse al nesso di strumentalità che caratterizza tutti i provvedimenti cautelari, anche quelli anticipatori (benchè in maniera attenuata), ad imporre che alla sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio fosse da ascrivere la mera finalità di evitare che la durata del processo potesse incidere irreversibilmente sulla posizione del socio stesso, qualora, all'esito del giudizio, egli venga confermato tale (natura conservativa), consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario ed evitando che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, non solo non percependo gli utili, ma anche e soprattutto non potendo influire - cosa ancora più evidente quando si tratti, come nel caso concreto, di società di persone - sull'amministrazione e gestione della società.

Diversamente, sempre secondo la Suprema Corte, adottando l'interpretazione estensiva che riconosce natura anticipatoria ai provvedimenti che attribuiscano subito anche solo il "risultato pratico" del provvedimento, la strumentalità attenuata finisce per diventare la regola, valevole per la quasi totalità dei provvedimenti cautelari, previsti dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali, mentre la strumentalità piena, propria dei provvedimenti conservativi, si ridurrebbe ad una eccezione, caratterizzando sostanzialmente solo le misure riconducibili allo schema del sequestro. Tale interpretazione, però, nella prospettiva della Cassazione, confliggerebbe con i principi sistematici concernenti la natura costitutiva delle sentenze inerenti ai giudizi in cui sono emessi.

Essa inoltre si espone ai seguenti ulteriori rilievi:

- l'ordinanza di sospensiva, ove pure suscettibile di sopravvivere all'estinzione del giudizio di merito in funzione del quale è stata ottenuta, mai potrebbe offrire un punto fermo nei rapporti tra società e soci, tale da consentire alle parti di rinunciare ad instaurare e proseguire la causa di annullamento fino alla sua tipica conclusione di merito;

- l'annullamento di una delibera assembleare può essere promosso solo entro un determinato lasso di tempo, sicchè, ove estinto il giudizio di merito, il provvedimento di sospensione eventualmente reso rimarrebbe in vita, ma non vi sarebbe più possibilità di dare impulso all'iter destinato a sfociare nella statuizione di merito, non potendo certo a ciò provvedere la società con un'azione di accertamento negativo - non di un diritto, bensì - di un mero potere di impugnativa processuale (in altri termini la sospensiva diverrebbe definitiva e non esposta ad alcun ulteriore possibile sindacato in sede di cognizione ordinaria e piena, con frontale violazione del disposto dell'art. 669-octies c.p.c., ultimo comma);

- la sopravvivenza sine die di un provvedimento meramente interinale cagionerebbe un persistente dubbio sulla validità/invalidità della delibera impugnata e sospesa, destinato a protrarsi per un tempo assolutamente indefinito, con irreparabile pregiudizio della certezza dei rapporti giuridici costituente un valore cardine del nostro ordinamento.

Ora, la riforma sconfessa questa ricostruzione e, al contempo, avalla quella proposta da tempo da una parte dei commentatori e tesa a fare della tutela d'urgenza la sede entro la quale esaurire la domanda giudiziale con pieno ed effettivo soddisfacimento degli interesse delle parti.

La relazione al d. lgs., ad illustrazione dell'intervento in esame (pag. 93), spiega che esso mira a sottrarre l'attore, che, dopo avere ottenuto, nell'ambito del giudizio di merito, la sospensione dell'esecuzione della deliberazione, e che non abbia interesse alla decisione di merito ma solo la necessità di “stabilizzare” gli effetti della decisione cautelare, alla prospettiva obbligata di proseguire il giudizio.

La relazione aggiunge che “in questo modo … le parti saranno spinte ad abbandonare il giudizio di merito, senza che ciò incida sul provvedimento cautelare di sospensione dell'esecuzione della deliberazione”.

Tale precisazione consente quindi di affermare che il legislatore ha privilegiato, anche al fine di realizzare un dichiarato intento deflattivo, la volontà delle parti di acquietarsi sulla ordinanza emessa in sede cautelare rispetto ad un formale ossequio alla necessità di perseguire il giudicato sulla questione sottostante.

Del resto gli elementi che la Cassazione ha individuato come ostativi al riconoscimento della natura anticipatoria alle sospensive di delibere non sono inevitabili ma il frutto di una libera scelta delle parti che, anche nel nuovo assetto, come precisa la relazione illustrativa al decreto di riforma, conservano il diritto di coltivare il giudizio di merito, anche dopo l'esito della fase cautelare, qualora abbiano interesse ad ottenere una pronuncia idonea al giudicato.

La società o il condominio soccombenti nella fase cautelare potrebbero, ad esempio, avere interesse ad ottenere una pronuncia di accertamento negativo.

Analogo interesse potrebbe avere il soggetto impugnante, vittorioso in sede cautelare, che mirasse ad ottenere delle statuizioni ripristinatorie, restitutorie o risarcitorie.

Le parti potrebbero però preferire di regolare il loro rapporto adottando determinazioni o condotte che presuppongono l'acquiescenza al provvedimento cautelare (la società, l'associazione, o il condominio ad esempio potrebbero darvi attuazione o adottare una nuova delibera non più viziata).

Non si possono però escludere casi in cui le parti possono avere uno specifico interesse ad ottenere una pronuncia di merito, come quello della parte risultata vittoriosa nella fase di sospensiva della delibera di una associazione, fondazione o società che intendesse ottenere il rimborso delle spese sostenute.

Infatti, avendo tutti questi provvedimenti natura di cautelari in corso di causa, la regolamentazione delle spese ad essi relative segue il principio di globalità

Un'altra esigenza di introdurre comunque il giudizio di merito all'esito della fase cautelare può verificarsi nell'ipotesi, che si è detto essere alquanto remota, del condomino che, conseguita ante causam la sospensione dell'esecuzione della delibera, non avesse rispettato il termine di trenta giorni di cui all'art. 1137, comma 2, c.c., per proporre la domanda di merito, domanda che costituisce l'unico atto idoneo ad impedire tale decadenza.

A fronte di una simile eventualità sarà il condominio, destinatario passivo della misura urgente, a proporre una domanda di accertamento dell'intervenuta decadenza.

La modifica dell'art. 669-novies c.p.c.

In attuazione del principio di delega (art. 1 comma 17, lettera r) è stato modificato il secondo comma dell'art. 669-novies c.p.c. sopprimendo il periodo che stabiliva che, in caso di contestazione sulla intervenuta inefficacia di un provvedimento cautelare, la relativa questione sia definita con sentenza.

Infatti, a fronte di tale ipotesi, la disposizione previgente distingueva, quanto alla natura del provvedimento che il giudice doveva emettere, tra l'ipotesi in cui non vi fosse stata contestazione da parte del resistente da quella in cui questi avesse inteso opporsi alla dichiarazione di inefficacia.

Nel primo caso era previsto che il giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare adottasse, su ricorso della parte interessata, una ordinanza, avente efficacia esecutiva, dichiarativa dell'inefficacia, dando anche le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente.

In caso di contestazione, invece, l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare provvedeva sull'istanza, a conclusione di un giudizio di cognizione avente ad oggetto la controversia sulla sussistenza della causa di inefficacia, con sentenza provvisoriamente esecutiva.

La relazione ministeriale al decreto delegato giustifica la modifica con una duplice esigenza: una di carattere sistematico, volta ad uniformare la natura dei provvedimenti che disciplinano situazioni giuridiche in via cautelare, e l'altra di semplificazione, sul presupposto che l'attuale disciplina sia «fonte di notevole aggravio per l'attività giurisdizionale obbligando il giudice alla concessione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum e, infine, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di repliche».

A ben vedere però quest'ultima osservazione non è realistica perché non considera che la durata del giudizio diretto a definire la questione dell'inefficacia del provvedimento cautelare ante causam poteva essere assai più contenuta di quella sopra indicata.

Infatti, dopo l'introduzione nel nostro ordinamento, con la l. n. 69/2009, del rito sommario di cognizione nulla impediva di utilizzare tale tipo di procedimento, che, secondo l'orientamento ormai dominante, era un processo a cognizione piena, per trattare una controversia quale quella in esame.

Né ostava ad una simile conclusione il riferimento, presente nella norma, alla sentenza come provvedimento idoneo a definire il giudizio atteso che l'ordinanza ex art. 702- ter. penultimo comma, c.p.c. ha le medesime caratteristiche della sentenza, essendo anch'essa soggetta ad appello[1] ed immediatamente esecutiva.


(1) Secondo la Suprema Corte l'appello è proponibile non solo nei confronti del provvedimento di accoglimento, ma nei confronti di ordinanza conclusiva del procedimento sommario, a prescindere dal suo contenuto Cass. civ. 19 maggio 2015, n. 10211, in Foro it., 2015, 12, I, 3920, con nota di Poli; in giustiziacivile.com, con nota di G. Basilica. In senso conforme: Cass. civ. 6 giugno 2018, n. 14478; 8 marzo 2017, n. 5840; Cass. civ. 2 novembre 2015, n. 22387; Cass. civ. 27 marzo 2014, n. 7258; Cass. civ. 26 giugno 2014, n. 14502, in Dir. giust., 18 gennaio 2014; Cass. civ. 8 marzo 2017, n. 5840.

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