La Cassazione sulla liquidazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso

18 Maggio 2023

Nella liquidazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice deve fare riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, le quali, fin dal 2019, contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni.

Il caso

Una moto veniva urtata sul lato sinistro anteriore da una vettura proveniente in senso di marcia opposto e che svoltava a sinistra per immettersi in un parcheggio. Il conducente riportava lesioni gravissime e assieme ai familiari instaurava causa di risarcimento danni. Il Tribunale accoglieva la domanda, accertando che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva del conducente dell'autovettura e liquidava i danni, ad esclusione del danno patrimoniale da perdita di possibilità di svolgere lavoro autonomo occasionale. La Corte di Appello accoglieva parzialmente il gravame della compagnia assicurativa, riconoscendo invece la presunzione di responsabilità ex art. 2054, comma 2, c.c.; riduceva il risarcimento del danno e lo negava a favore dei parenti ella vittima.

La Cassazione fissa diversi punti in tema di risarcimento del danno da sinistro stradale, talvolta riprendendo molto duramente e inaspettatamente i Giudici della sentenza cassata. Vediamo i singoli passaggi.

Art. 2054, comma 2, c.c. presunzione di concorso di colpa e prova liberatoria

In caso di scontro tra veicoli, l'applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c. è una regola sussidiaria, legittimamente applicabile per ripartire le responsabilità non solo nei casi in cui sia certo l'atto che ha causato il sinistro e sia, invece, incerto il grado di colpa attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno, con la conseguenza che, in tutti i casi in cui sia ignoto l'atto generatore del sinistro, causa presunta dell'evento devono ritenersi in eguale misura i comportamenti di entrambi i conducenti coinvolti nello scontro, anche se solo uno di essi abbia riportato danni.

La prova liberatoria per il superamento di detta presunzione può essere acquisita anche indirettamente tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente. Viceversa, l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell'altro, libera quest'ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, comma 2, c.c.

Nel caso concreto:

  • era stata accertata in capo ad uno dei due conducenti la precisa violazione di una o più regole di condotta nella circolazione stradale;
  • l'accertamento di responsabilità operata dal Tribunale si fondava su una valutazione ricostruttiva ancorata a precisi elementi istruttori entrati a far parte del materiale probatorio da valutare;
  • pertanto, «l'affermazione della Corte d'appello, secondo la quale non era certo che lo svolgimento dei fatti fosse stato in effetti quello ricostruito dal primo giudice, ed era astrattamente possibile che la dinamica dell'incidente fosse stata completamente diversa, esplicita un mero convincimento interiore che ipotizza, senza alcun riferimento ai fatti di causa, una alternativa ed ipotetica ricostruzione della dinamica di carattere meramente declamatorio, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado né con le risultanze istruttorie acquisite agli atti. In presenza di una serie di elementi obiettivi entrati a far parte del giudizio, non è consentito applicare la presunzione di pari responsabilità se non a mezzo di una motivata ricostruzione della dinamica ancorata alle risultanze istruttorie, delle quali ben può essere fornita una diversa lettura e riconosciuta una diversa rilevanza all'interno della formazione del convincimento, ma dalle quali non si può completamente prescindere per formulare una diversa ricostruzione meramente ipotetica e, sulla base di quella, applicare la presunzione di corresponsabilità a carico dei due soggetti coinvolti nello scontro.

La sentenza impugnata, la cui motivazione si pone al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 8053/2014) per manifesta illogicità ed insanabile contraddittorietà delle argomentazioni addotte, va pertanto cassata sul punto» (corsivo, ndr). Prima severa stoccata alla Corte di appello.

Domanda di risarcimento del danno patrimoniale da lavoro autonomo occasionale

Si doleva il danneggiato del mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente all'impossibilità di continuare a svolgere lavoro autonomo occasionale e dell'erronea applicazione del divieto di cumulo delle retribuzioni tra lavoro dipendente e lavoro autonomo.

Questo motivo viene disatteso, ma viene indicato come poter dar rilevanza risarcitoria a questa eventuale posta di danno:

  1. i proventi devono essere compatibili con lo svolgimento da parte della vittima di un lavoro subordinato stabile;
  2. quand'anche si volesse riconoscere lo svolgimento nel tempo libero di un lavoro autonomo occasionale, consentito dalla legge per importi non superiori ad euro 5.000 annui, occorre fornire una prova sufficiente – oppure evidenza fiscale – atta ad individuare una apprezzabile e quantificabile perdita economica.

Risarcimento e personalizzazione dei danni non patrimoniali alla vittima principale

Se si ritiene che non sia stato adeguatamente riconosciuto e valutato il danno non patrimoniale, occorre individuare i precisi errori di diritto in cui sarebbe incorso il giudice. Il danno esistenziale non è una categoria autonoma di danno non patrimoniale, come oggi riconosciuto, ma si tiene conto nella liquidazione unitaria e personalizzata del danno non patrimoniale.

Nel caso concreto, in primo grado, il danno non patrimoniale era stato liquidato applicando le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, che non prevedono una liquidazione autonoma del danno morale soggettivo, ma riconoscono a titolo di danno morale soggettivo un incremento pari ad una percentuale del danno biologico.

Il danno non patrimoniale è stato liquidato facendo applicazione della tabelle del Tribunale di Roma, e tenendo conto delle circostanze del caso concreto, dando il dovuto rilievo sia alla particolare sofferenza fisica causata dall'infortunio e dal suo lungo e doloroso decorso, sia alle limitazioni imposte alla vita personale del danneggiato, in quanto il giudice d'appello ha provveduto a personalizzare il danno, entro la “forbice” delineata dalle tabelle, ma con un apprezzabile aumento dei valori tabellari.

Il danneggiato avrebbe dovuto evidenziare, «al di là del pur gravissimo danno subito, circostanze particolari, dedotte e trascurate, che, ove considerate, avrebbero portato ad una diversa quantificazione, anche superiore ai margini della forbice, per poter riconoscere un risarcimento effettivamente equivalente a tutto il danno subito».

Prova, riconoscimento e liquazione del danno non patrimoniale a favore dei congiunti

Altra questione attiene il riconoscimento del danno non patrimoniale alle vittime riflesse da lesione del rapporto parentale. È il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni – in questo caso gravissime- subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo svolgimento della vita quotidiana della intera famiglia.

Per consolidata giurisprudenza di legittimità, ai prossimi congiunti di persona che abbiano subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso.

Il danno "iure proprio" subito dai congiunti della vittima non è limitato al solo totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita, potendo anche consistere in un patimento d'animo o in una perdita vera e propria di salute. Tali pregiudizi possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto.

La questione è di prova: il parente, secondo i principi generali - e dunque anche per via presuntiva - ha l'onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale.

«L'esistenza stessa del rapporto di parentela può dunque far presumere la sofferenza del familiare, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. "danno in re ipsa", che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione – danno che non trova cittadinanza nel nostro ordinamento, giusta l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte» (Cass. sez. un., n. 26492/2008; Cass. n. 25541/2022).

Vanno poi considerate distintamente le varie posizioni:

  • la posizione dei genitori della vittima principale: altra stoccata ai giudici di appello.
  • Ha errato la sentenza impugnata laddove ha negato, tout court, la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori, in quanto non conviventi, là dove da questa mera circostanza di fatto, comunissima nella vita delle persone adulte che formano propri nuclei familiari autonomi, e tuttavia non direttamente incidente sulla permanenza dei legami affettivi, ha tratto la conclusione che essi, in quanto non conviventi, non potessero ritenersi significativamente colpiti dai gravi danni alla persona e dalle sofferenze patiti dal figlio, in misura giuridicamente rilevante, invece di presumere, sulla base dello stretto legame parentale, l'esistenza di un danno non patrimoniale apprezzabile in termini di sofferenza per il dolore altrui, salvo prova contraria sulla inesistenza di un reale rapporto affettivo. La mancata convivenza, per i genitori, può al più incidere sulla componente dinamico relazionale, ma non certo, di per sé, eliminarne la sofferenza morale pura» (corsivo, ndr).
  • la posizione della figlia convivente (altra stoccata impietosa): «Ugualmente, e con ancor più censurabile superficialità e noncuranza, ha errato la corte d'appello laddove ha escluso che la figlia, diciannovenne all'epoca dei fatti e convivente con la famiglia di origine, possa aver patito alcun pregiudizio non patrimoniale solo “perché incinta all'epoca dei fatti”. In primo luogo, la sentenza non fa corretta applicazione, anche in questo caso, dei principi sopra indicati, che indicano una presunzione di afflittività in favore dei prossimi congiunti, tanto più se, come in questo caso, conviventi».

Comunque si tratta di affermazioni totalmente inconsapevoli delle ripercussioni della mancanza del supporto di un genitore attivo su cui la ragazza poteva contare e del tutto prive di logica, secondo la Cassazione.

  • la posizione del nipote nascituro: in difetto dell'attualità del rapporto, non opera una presunzione di afflittività conseguente alla necessaria riconfigurazione del rapporto stesso col nonno, fin dal suo sorgere, conseguente alle menomate condizioni fisiche di questi. L'esistenza di un pregiudizio subito dal nipote per i danni alla persona riportati dal nonno è un danno futuro soltanto eventuale, come tale non risarcibile.
  • la posizione della moglie e del figlio convivente (altra stoccata ai giudici): la corte di appello ha applicato le tabelle romane senza altra precisazione. Una simile liquidazione è effettuata in forma equitativa “pura”, ma è ammessa solo quando la particolarità delle circostanze la giustifichi e solo se supportata da idonea motivazione. La liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. "pura", consiste infatti in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell'esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento: «la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell'art. 1226 c.c.».

Criteri di quantificazione del danno non patrimoniale alle vittime riflesse: quali Tabelle, Roma o Milano?

La Cassazione, per questo specifico danno, ricorda al giudice del rinvio i principi di liquidazione: «dovrà far riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni. Le tabelle del Tribunale di Milano, che nella loro più recente versione si sono adeguate alle indicazioni di questa Corte prevedendo una liquidazione “a punti“ in riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale, non altrettanto hanno fatto, allo stato, in riferimento alla liquidazione del danno dei congiunti del macroleso, “in quanto per ora non è stato raccolto un campione significativo di sentenze utile a costruire una tabella fondata sul monitoraggio», come si legge nella illustrazione delle tabelle dell'Osservatorio milanese, lasciando in questo caso al giudice “…valutare se ritiene di avvalersi della tabella sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato» (punto 17 delle “domande e risposte”, all.2 delle tabelle milanesi ed. 2022)».

Vittima principale e liquidazione del danno: Tabelle di Roma o Milano?

La compagnia assicurativa aveva rilevato che, in concreto, l'utilizzo delle due tabelle portava risultati effettivamente diversi e di questo si doleva. La Cassazione ricorda che, in termini generali, non costituisce violazione di legge, l'utilizzazione, per la liquidazione del danno non patrimoniale, di un sistema che produca in ipotesi un risultato economico più favorevole per il danneggiato e più sfavorevole per il danneggiante.

Il fondamento di un sistema tabellare risponde all'esigenza e all'interesse di evitare significative disparità di trattamento, a parità di conseguenze dannose, tra danneggiati che si trovino in situazioni analoghe, e non quello di garantire al danneggiante, o per esso alla compagnia di assicurazioni che delle conseguenze dannose è chiamata a rispondere, la soluzione più “economica”.

Cumulo risarcimento del danno patrimoniale e trattamento indennitario e pensionistico INPS

In tema di danno patrimoniale, secondo la giurisprudenza più recente, dall'ammontare del risarcimento va detratto il valore capitale dell'assegno di invalidità erogato dall'INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l'ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore.

Viene così esteso il principio in tema di compensatio lucri cum damno espresso dalle Sezioni Unite n. 12566/2018. Non rileva se l'INPS sia o meno parte in causa nel giudizio odierno; ciò che conta è, invece, che esso abbia il diritto di agire in surroga nei confronti del danneggiante. Che l'INPS, poi, esercitati o meno la surroga non assume rilievo, perché il diritto si è comunque trasferito; ed è evidente che consentire al danneggiato di cumulare l'assegno di invalidità con l'intero risarcimento significa, di fatto, esporre l'assicuratore del responsabile civile all'obbligo di un doppio pagamento per la medesima parte di danno.

Concludendo, è evidente che la sentenza in esame tocca molti punti sensibili in tema di risarcimento del danno.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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