La flat tax nella riforma fiscale

Saverio Capolupo
26 Maggio 2023

In attesa dell'aliquota unica (verosimilmente in tempi non brevi), in una fase intermedia è stata introdotta la c.d. flat incrementale. In sostanza, anziché applicare le vigenti aliquote per scaglioni di reddito complessivo è stata prevista l'applicazione di un'imposta sostitutiva sull'incremento del reddito dichiarato nell'ultimo periodo d'imposta rispetto al precedente. Al fine di limitare i vantaggi è stata anche prevista la possibilità di introdurre limiti di reddito agevolabile. La genericità delle delega – che dovrebbe essere maggiormente precisa nell'enunciare i criteri direttivi – lascia insoluti alcuni interrogativi tra cui, in particolare, il rispetto dei principi costituzionali dell'uguaglianza e della progressività.
Premessa

Per il periodo d'imposta 2023, a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 54 e seguenti della legge finanziaria per il 2023 (n. 197/2022) i contribuenti persone fisiche esercenti attività d'impresa, arti o professioni applicano il regime della flat tax se, al contempo, nell'anno precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 85.000 e hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore ad euro 20.000 lordi per lavoro accessorio.

L'istituto, conosciuto in molti ordinamenti giuridici, presenta indubbiamente rilevanti benefici per i contribuenti che iniziano le attività ovvero conseguono riocavi di modesta entità nei limiti innanzi richiamati.

Sul piano generale, pertanto, a distanza di circa dieci anni dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico domestico, in termini di semplificazione e di costi amministrativi, è indubbio che il giudizio debba essere positivo.

Come già evidenziato, la legge di bilancio 2023 ha ampliato la platea dei contribuenti che possono beneficiare del regime forfetario. Nel contempo, è stata prevista la fuoriuscita dal regime a partire dallo stesso anno nel corso del quale è superata la soglia di 100.000 euro.

L'istituto è perfettamente compatibile con la disciplina comunitaria atteso che la Direttiva UE 2020/285, che ha disciplinato il regime speciale per le piccole imprese e la cooperazione amministrativa tra Stati per l'applicazione di tale regime, ha infatti attribuito agli Stati membri la potestà di esentare dall'applicazione dell'IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel loro territorio da soggetti passivi ivi stabiliti a condizione che il volume di affari annuo non superi la soglia di corrispettivi, demandata alla valutazione dei singoli Stati Membri, ma che non può superare 85.000 euro.

Sullo specifico punto, però, va osservato che sul piano della platea dei contribuenti interessati dalla c.d. tassa piatta, la legislazione domestica non è in linea con quella comunitaria atteso che quest'ultima ha esteso il beneficio anche ai soggetti non stabiliti al verificarsi di due condizioni: il volume d'affari annuo nell'ambito della UE non deve superare i 100 mila euro e non deve essere superata la soglia applicabile nello Stato membro nei riguardi dei soggetti passivi ivi stabiliti.

Non è certo questa la sede per chiarire i motivi della maggiore aderenza al particolare regime dei professionisti rispetto alle imprese, e la diversa percentuale di adozione nell'ambito delle singole categorie imprenditoriali.

È certo, però, che i vantaggi conseguiti dagli imprenditori e professionisti sono rilevanti ed oggettivi, fermo restando che la convenienza deve essere verificata caso per caso considerando i diversi elementi da valutare (costi, aliquota media IRPERF, deduzioni e detrazioni, mancata applicazione delle addizionali regionali e comunali, ecc.).

L'attuale discriminazione

Allo stato attuale la limitata applicazione soltanto ai soggetti titolari di partita IVA (imprenditori e professionisti) – tenendo conto dell'elevatezza soprattutto delle aliquote IRPEF per l'ultimo scaglione (43% per redditi superiori a 50.000 euro) – ha determinato la reazione delle altre categorie di contribuenti – in particolare i lavoratori dipendenti ed i pensionati – i quali hanno considerato la disciplina della flat tax un ingiusto trattamento fiscale privilegiato. Pur nella consapevolezza che un tema così complesso (sia sul piano strettamente tecnico sia — e, soprattutto – sul piano dell'equità fiscale e sociale) non possa essere semplificato eccessivamente pervenendo a giudizi affrettati e giuridicamente non sempre aderenti al quadro giuridico di riferimento, è certo che, in termini assoluti, a parità di reddito – di norma – si è registrato un differente prelievo fiscale a discapito dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Di qui la richiesta di estendere la flat tax in modo generalizzato a tutte le categorie di contribuenti.

Lo schema di disegno di legge delega per la riforma fiscale, ormai in fase di definitiva approvazione, sullo specifico istituto enuncia degli obiettivi indubbiamente condivisibili ancorché non agevolmente realizzabili in tempi brevi.

In particolare, l'art. 5 del citato provvedimento tende, innanzitutto, ad estendere la flat tax a tutte le categorie di reddito; quindi, anche al reddito di lavoro dipendente e da pensione muovendo dal presupposto che le modifiche apportate all'IRPEF sin dalla sua entrata in vigore sono state tante da modificare, in modo sostanziale, l'impianto iniziale sotto i profili strutturale, sostanziale, dell'equità e della trasparenza.

È certo che la vigente disciplina è penalizzante per alcune categorie e premiale per altre in modo ingiustificato. A prescindere dai problemi di ordine strettamente tecnico, è certo che l'efficienza e l'equità della tassazione sono principi sconosciuti al nostro sistema impositivo.

In merito, basterebbe considerare le plurime manifestazioni di reddito sottratte al concorso della formazione della base imponibile in quanto assoggettate ad imposta proporzionale. Se è vero che spesso – soprattutto per i redditi di capitali – il vantaggio va beneficio dei contribuenti a più elevata capacità contributiva, è anche vero che va evitato comunque l'esproprio del reddito nel senso che il prelievo fiscale non può e non deve superare determinati limiti.

D'altra parte, per esplicita ammissione degli Organi competenti, il sistema attuale non consente, al di fuori dei c.d. avvisi bonari, di recuperare neanche parzialmente l'evasione fiscale.

Le previsioni della riforma

Dalla lettura della formulazione dell'art. 5 della bozza di delega emerge chiaramente la volontà di effettuare una riforma che sia improntata al rispetto dei principi della progressività per concludersi con l'introduzione di un'imposta unica.

Il primo correttivo è stato individuato nel riordino della c.d. tax espenditures il cui impianto normativo – come chiaramente affermato dalla stessa Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 120/2020 - configura una “costruzione che, condizionata dall'altro tasso di dinamismo delle politiche finanziarie, è concettualmente poco ordinata e caratterizzata da una certa eterogenia in termini definitori e da una notevole approssimazione del linguaggio normativo”.

In sostanza, si vorrebbe raggiungere l'obiettivo della equità orizzontale passando attraverso alcune innovazioni (fascia di esenzione unica, riconoscimento delle spese sostenute per la produzione del reddito, deduzione dei contributi previdenziali obbligatori, applicazione di un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e relative addizionali con aliquota agevolata, ecc.).

Tuttavia, è impensabile che si possa passare da un sistema di aliquote plurime e progressive ad un'aliquota unica. La delega prevede il riordino delle deduzioni dalla base imponibile, degli scaglioni di reddito, delle aliquote di imposta, delle detrazioni d'imposta lorda e dei rediti d'imposta tenendo conto della composizione del nucleo familiare e di altri principi (tutela della casa, efficienza energetica, istruzione, previdenza, ecc.).

In questa fase intermedia, oltre alla flat tax già operante per le partite IVA (e, in parte per i c.d. forfetari) l'obiettivo resta quello di procedere ad una progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale e del medesimo carico impositivo IRPEF, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l'equiparazione tra redditi di lavoro dipendente e redditi di pensione.

In attesa del raggiungimento dell'aliquota unica, in una fase intermedia è stata introdotta la c.d. flat incrementale. In sostanza, anziché applicare le vigenti aliquote per scaglioni di reddito complessivo è stata prevista l'applicazione di un'imposta sostitutiva sull'incremento del reddito dichiarato nell'ultimo periodo d'imposta rispetto al precedente. In altri termini, l'aliquota agevolata – peraltro non indicata- sarebbe applicabile su una base imponibile pari alla differenza tra il reddito conseguito nel periodo d'imposta oggetto di dichiarazione e il reddito più elevato tra quelli relativi ai tre periodi d'imposta precedenti. Al fine di limitare i vantaggi (tenuto conto che l'aliquota marginale è del 43%, oltre alle addizionai regionali e comunali) è stata anche prevista la possibilità di prevedere limiti di reddito agevolabile. E un regime peculiare per i titolari di reddito dipendente che agevoli l'incremento reddituale del periodo d'imposta rispetto a quello precedente.

Con quest'ultima novità, in sostanza, si utilizza la medesima procedura introdotta con la legge di bilancio 2023 per le partite IVA che non applicano il regime forfetario (15% o del 5% nel limite ricordato di 85.000 euro).

Alcune considerazioni

Ovviamente, come tutte le deleghe, anche in corso di approvazione presenta una formulazione molto ampia che lascia spazio a differenti interpretazioni, fermo restando che, in prospettiva, l'obiettivo sarebbe quello di una sola aliquota.

Prima di formulare alcune considerazioni va anche ricordato che l'unificazione della Flat tax dovrebbe passare attraverso la riduzione progressiva delle aliquote (da quattro a tre, poi a due…) tenuto conto che occorre pur sempre considerare che la riduzione delle aliquote, a parità di base imponibile, impone di recuperare il minor gettito con altri provvedimenti atteso che, già allo stato attuale, il gettito fiscale non copre le spese pubbliche, tanto che l'indebitamento continua ad aumentare.

Certo, se i 1153 miliardi di imposte non riscosse (come dichiarato dal Direttore dell'Agenzia delle entrate) fosse almeno parzialmente recuperati, il compito del legislatore sarebbe fortemente agevolato.

La riduzione del carico fiscale, oggettivamente auspicabile passa, inevitabilmente, attraverso la riduzione dell'evasione, la formazione dei testi unici per la semplificazione del compito dei contribuenti e – direi soprattutto - il rispetto dei principi costituzionali e, in particolare, degli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Sul piano teorico l'obiettivo dell'aliquota unica presuppone una revisione delle centinaia di agevolazioni che sono alla base di oggettive discriminazioni e, spesso, riconosciute a soggetti che non avrebbero diritto.

Sul punto potrebbe essere sufficiente ricordare i milioni di contribuenti che hanno beneficiato del reddito di cittadinanza che, per contro, dovrebbe essere limitato a chi vive effettivamente in condizioni di indigenza.

Da fonti politiche abilitate si prende nota che il rispetto del principio della progressività di cui all'art. 53 della Costituzione potrebbe essere assicurato attraverso un ponderato utilizzo delle detrazioni i e delle deduzioni. Certo, il ricorso ad un sistema basato sulla combinazione della no tax area e delle detrazioni in funzione del reddito, potrebbe costituire il primo passo garantendo al sistema chiarezza e semplicità. È evidente, però, che non basta.

Non è certamente pensabile che, secondo la tesi di alcuni esperti, sia sufficiente ridurre la percentuale di carico per ridurre l'evasione fiscale. Il problema è strutturale e culturale e non è certamente sufficiente invocare una maggiore aggravio sui redditi più elevati. Trattasi di una soluzione semplicistica che non tiene conto che il primo step passa inevitabilmente dalla formazione di un'etica fiscale che deve trovare la pima fase nelle scuole dell'obbligo.

Al di là dei tempi richiesti per la realizzazione di una vera riforma fiscale globale, l'enunciazione dei principi non consente di formulare un giudizio in termini tecnici adeguati; sarebbe stato necessario fornire indicazioni più concrete, meno generiche sui criteri da utilizzare per salvaguardare, da un lato, il principio della progressività; dall'altro, una ricostruzione della capacità contributiva delle persone fisiche che sia effettivamente aderente alla realtà.

Esistono troppe zone d'ombra per ipotizzare una soluzione ottimistica in tempi medi.

Francamente, più che un'aliquota unica – soluzione poco praticata in quasi tutti gli ordinamenti giuridici – sarebbe auspicabile la previsione di due scaglioni di reddito, con aliquote differenti, all'interno dei quali utilizzare tutti gli strumenti disponibili per adeguare il prelievo fiscale sulle singole capacità contributive che, evidentemente, non possono essere determinate esclusivamente utilizzando il parametro quantitativo il quale per contro, deve essere coniugato con altri obiettivi quali quelli di equa redistribuzione, incentivazione alla produttività, differenze territoriali, ecc.

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