I provvedimenti “indilazionabili” resi in sede di opposizione agli atti esecutivi

Giuseppe Lauropoli
26 Maggio 2023

I provvedimenti cautelari resi dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi pongono non pochi problemi, specie con riguardo a quelli che l'art. 618, comma 2, c.p.c. qualifica come “indilazionabili”: di quali provvedimenti si tratta?
Introduzione. Il quadro normativo

Il tema dei provvedimenti cautelari resi dal giudice dell'esecuzione a seguito della proposizione di opposizione agli atti esecutivi assume particolare interesse.

Come noto, è possibile proporre, nel corso di una procedura esecutiva (non ci si occupa nel presente approfondimento, della opposizione agli atti esecutivi anteriore all'inizio dell'esecuzione), il rimedio della opposizione agli atti esecutivi: si tratta di una opposizione che trova la sua tradizionale distinzione dalla opposizione all'esecuzione nel fatto che mentre con quest'ultima si contesta l'esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata, con la prima si contestano le modalità attraverso le quali si esplica l'esecuzione.

Non a caso, l'art. 617 c.p.c., nel tratteggiare il contenuto del rimedio in questione, fa riferimento, già nel suo primo comma, alla possibilità di contestare, attraverso questo strumento, la “regolarità formale” degli atti che preludono all'inizio dell'esecuzione.

Dunque, un rimedio che si incentra principalmente sulla forma degli atti esecutivi.

Ma, soffermandosi ancora sul dato normativo e passando al secondo comma dell'art. 617 c.p.c., emerge anche un'altra caratteristica di questo rimedio, ossia la sua “residualità”, ossia la possibilità di utilizzarlo ogni qual volta si intendano sollevare contestazioni nei confronti di singoli atti dell'esecuzione (il secondo comma dell'art. 617 c.p.c. fa riferimento alla possibilità sollevare rilievi nei confronti dei “singoli atti dell'esecuzione”) e muovere doglianze che non possano essere ricondotte nell'ambito di una diversa forma di opposizione.

L'opposizione in questione, una volta che sia già iniziata l'esecuzione, si propone mediante ricorso svolto nella procedura esecutiva nella quale è stato compiuto l'atto del quale la parte intenda dolersi.

Il procedimento relativo a tale forma di opposizione viene sinteticamente tratteggiato dall'art. 618 c.p.c., stando al primo comma del quale, all'esito della proposizione del ricorso, il giudice dell'esecuzione fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto e dà, nei casi urgenti, i provvedimenti opportuni”.

Dunque, all'esito della proposizione del ricorso il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé ma può anche assumere, inaudita altera parte, ricorrendone l'urgenza, i provvedimenti che ritenga opportuni.

Già dal contenuto del primo comma dell'art. 618 c.p.c. si avverte, dunque, come l'ambito dei poteri cautelari attribuiti al giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi abbia una portata diversa da quanto avviene in sede di opposizione all'esecuzione e in sede di opposizione di terzo, laddove il potere cautelare del giudice dell'esecuzione si focalizza sulla possibilità di sospendere l'esecuzione.

Nel caso della opposizione agli atti esecutivi, fin dalla introduzione della fase cautelare dell'opposizione, si fa invece riferimento alla adozione dei provvedimenti “opportuni”: provvedimenti connotati, dunque, dalla varietà e dalla atipicità ed aventi come minimo comun denominatore la finalità, dagli stessi perseguita, di eliminare, fino alla instaurazione del contraddittorio tra le parti, il pregiudizio arrecato dall'atto opposto.

Una tale connotazione dei poteri cautelari che può adottare il giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi emerge anche all'esito dell'instaurazione del contraddittorio delle parti.

Il giudice dell'esecuzione, una volta verificata la regolare instaurazione del contraddittorio sul proposto ricorso, “dà con ordinanza i provvedimenti che ritiene indilazionabili ovvero sospende la procedura”.

Rispetto ad una formulazione più risalente del secondo comma dell'art. 618 c.p.c., la quale faceva riferimento unicamente alla possibilità di adottare provvedimenti “indilazionabili”, la attuale formulazione di tale comma, emersa all'esito della modifica introdotta per effetto della l. n. 52 del 2006, menziona, come appena esposto, tanto la possibilità di assumere provvedimenti indilazionabili, quanto quella di sospendere la procedura esecutiva: dunque, rispetto alla previgente formulazione della norma, viene espressamente prevista la possibilità di sospendere l'esecuzione.

La differenza, fra sospensione dell'esecuzione e adozione di provvedimenti indilazionabili, non è di poco momento, per almeno due diversi motivi: sotto un primo profilo, deve osservarsi che mentre la sospensione dell'esecuzione in tanto può essere disposta da parte del giudice dell'esecuzione in quanto la stessa sia stata espressamente richiesta dalla parte opponente (è quanto pare evincersi dal contenuto dell'art. 625 c.p.c., il quale fa riferimento alla possibilità di provvedere alla sospensione dell'esecuzione all'esito dell'istanza svolta dalla parte), i provvedimenti indilazionabili, anche in considerazione della loro atipicità, non richiedono una espressa istanza di parte e possono essere adottati anche d'ufficio.

Ci sono casi, poi, ed eccoci al secondo dei motivi sopra cennati, in cui la sospensione dell'esecuzione neppure potrebbe essere disposta (ad esempio perché la procedura esecutiva è già giunta al momento della sua definizione), cosicché il rimedio costituito dalla sospensione dell'esecuzione davvero non potrebbe offrire alcuna utilità all'opponente (si pensi, così, al caso della opposizione agli atti esecutivi che si proponga contro l'ordinanza di assegnazione resa all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi, nella quale il giudice dell'esecuzione non potrà disporre la sospensione di una esecuzione già definita per effetto dell'ordinanza opposta ma, al più, sospendere gli effetti esecutivi di quel provvedimento di assegnazione).

Peraltro, come si accennerà più avanti, la differenza fra provvedimenti sospensivi dell'esecuzione e provvedimenti indilazionabili assume rilievo anche ai fini della proponibilità di reclamo, ai sensi dell'art 624 c.p.c., contro gli stessi.

Occorre chiedersi, a questo punto, quali siano i presupposti per l'adozione di un provvedimento “indilazionabile”, ossia in quali casi lo stesso possa essere assunto.

Per rispondere a tale quesito, occorre, innanzi tutto, ribadire quanto si accennava in precedenza facendo riferimento ai provvedimenti “opportuni”.

Vengono in rilievo misure che hanno come intrinseca caratteristica la varietà e la atipicità, tanto che sarebbe davvero impossibile una elencazione dei provvedimenti di tal fatta che possono essere assunti dal giudice dell'esecuzione nelle più diverse situazioni (si è già fatto cenno, così, al provvedimento che disponga la sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza di assegnazione resa all'esito di una procedura di espropriazione presso terzi; altro possibile esempio, sempre nell'ambito del pignoramento presso terzi, potrebbe riguardare il provvedimento conservativo della garanzia del credito che adotti il giudice dell'esecuzione a seguito opposizione agli atti esecutivi contro l'estinzione cosiddetta “atipica” della procedura).

Una volta ravvisato un fumus di fondatezza della proposta opposizione, un presupposto che la dottrina individua come indefettibile per l'adozione di un provvedimento indilazionabile è quello della ravvisata necessità di eliminare, fino alla definizione del giudizio di merito, il pregiudizio arrecato dall'atto opposto, onde evitare che nella pendenza del giudizio di merito (come noto il giudice dell'esecuzione, nel definire la fase cautelare della opposizione agli atti esecutivi, oltre ad adottare gli eventuali provvedimenti sospensivi o indilazionabili, assegna anche il termine per l'introduzione del giudizio di merito relativo alla opposizione) si producano effetti che rendano impossibile o particolarmente problematica la tutela delle ragioni della parte opponente.

Rimedi contro il provvedimento indilazionabile assunto dal giudice dell'esecuzione

Quali i possibili rimedi contro un provvedimento indilazionabile assunto dal giudice dell'esecuzione all'esito della fase cautelare dell'opposizione agli atti esecutivi?

Come è evidente, diversi possono essere i motivi per dolersi del provvedimento “indilazionabile” assunto dal giudice dell'esecuzione: può così contestarsi la sussistenza del profilo del fumus di fondatezza dell'opposizione, ma è anche possibile dolersi della inidoneità del provvedimento assunto dal giudice a fornire quella tutela indispensabile richiesta dalla parte nelle more del giudizio di merito, così come è possibile che si intenda contestare la sussistenza del requisito della indilazionabilità del provvedimento assunto in sede cautelare.

Innanzi tutto, occorre chiedersi se contro tale provvedimento sia esperibile il reclamo previsto a norma dell'art. 624 c.p.c.

A riguardo, il contenuto letterale dell'art. 624 c.p.c. pone qualche problema interpretativo, dal momento che da una lettura del secondo comma della norma, coordinata con quella del primo comma (il quale fa riferimento alla sola opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 e 619 c.p.c.), potrebbe giungersi alla conclusione di ritenere esclusa una tale possibilità di reclamo contro i provvedimenti, siano essi sospensivi o indilazionabili, resi in sede di opposizione agli atti esecutivi.

A ciò deve aggiungersi che il secondo comma dell'art. 624 c.p.c. espressamente limita l'ambito del reclamo ai soli provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione, mentre i provvedimenti cautelari assunti in sede di opposizione agli atti esecutivi, come già esposto estesamente in precedenza, possono anche non avere ad oggetto la sospensione dell'esecuzione.

Sul punto, prevale la tesi della reclamabilità dei provvedimenti sulla sospensione dell'esecuzione resi dal giudice dell'esecuzione in sede di opposizione agli atti esecutivi e ciò sia sulla base di ragioni interpretative di carattere sistematico (in considerazione della analogia, quanto meno sotto il profilo funzionale, fra la pronuncia sospensiva resa ai sensi dell'art. 618 c.p.c. e quelle rese ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c.), sia sulla base di un dato testuale comunque non trascurabile (il richiamo, cioè, all'art. 618 c.p.c., contenuto nell'ultimo comma dell'art. 624 c.p.c.).

Peraltro, tale ultima posizione è stata espressamente condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11688/2012 e Cass. n. 1176/2015).

Pare tutt'ora esclusa, invece, come accennato in precedenza, la possibilità di proporre reclamo avverso i provvedimenti indilazionabili assunti dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 618, comma 2, c.p.c.: ad una tale possibilità osta, invero, la espressa previsione contenuta nel secondo comma dell'art. 624 c.p.c., ove si fa riferimento alla possibilità di proporre reclamo “contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione”, così inducendo a ritenere che un tale rimedio non possa ritenersi ammesso con riguardo a quei provvedimenti, resi in sede cautelare, che non siano tali da incidere sulla sospensione dell'esecuzione.

La ravvisata non reclamabilità del provvedimento indilazionabile reso in sede di opposizione agli atti esecutivi non comporta, evidentemente, un vuoto di tutela contro lo stesso.

Resta infatti aperta la possibilità di revoca dello stesso da parte del giudice che lo abbia emesso, a norma del primo comma dell'art. 487 c.p.c. (almeno fintanto che il provvedimento in questione non abbia avuto esecuzione), così come resta aperta la possibilità di proporre opposizione contro tale provvedimento ai sensi dell'art. 617 c.p.c., da individuarsi quale rimedio residuale esperibile contro i singoli atti dell'esecuzione.

Conclusione. Effetti della mancata introduzione del giudizio di merito

Come accennato in precedenza, la fase cautelare dell'opposizione agli atti esecutivi si chiude con l'adozione dei provvedimenti indilazionabili o sospensivi, con l'assegnazione dei termini per l'introduzione del giudizio di merito e con la regolamentazione delle spese.

I provvedimenti indilazionabili assunti in sede cautelare hanno infatti la funzione di evitare che l'opponente subisca un pregiudizio irrimediabile nelle more dello svolgimento del giudizio di merito di opposizione.

Occorre chiedersi, a questo punto, se il provvedimento indilazionabile reso dal giudice dell'esecuzione all'esito della fase cautelare sia destinato a consolidarsi, in qualche modo, nel tempo, in caso di mancata introduzione del giudizio di merito, ovvero a perdere i propri effetti.

A riguardo, il terzo comma dell'art. 624 c.p.c. prevede che il provvedimento sospensivo dell'esecuzione si consolidi, conducendo alla estinzione della procedura esecutiva, nel caso in cui lo stesso non venga reclamato (ovvero, ove reclamato, venga confermato in tale sede dal collegio) e non venga introdotto giudizio di merito relativo all'opposizione.

Tuttavia, tale previsione non pare applicabile al provvedimento indilazionabile reso dal giudice dell'esecuzione a seguito di opposizione agli atti esecutivi: l'ultimo comma dell'art. 624 c.p.c. afferma chiaramente che la previsione normativa contenuta al terzo comma di tale norma si applica “in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta disposta ai sensi dell'art. 618”.

Deve allora concludersi che la previsione contenuta nel terzo comma dell'art. 624 c.p.c. trovi applicazione, in quanto compatibile, nel solo caso di sospensione dell'esecuzione disposta in sede di opposizione agli atti esecutivi e non anche con riferimento ai provvedimenti indilazionabili eventualmente assunti dal giudice dell'esecuzione all'esito della fase cautelare.

Una volta ritenuta inapplicabile la previsione contenuta nel terzo comma dell'art. 624 c.p.c. non resta che ritenere che il provvedimento indilazionabile adottato in sede di opposizione agli atti esecutivi sia destinato a perdere la propria efficacia in caso di mancata introduzione del giudizio di merito, alla stessa stregua di quanto previsto, in tema di rito cautelare uniforme, per il provvedimento cautelare (sempre che lo stesso sia inidoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di merito) che non sia seguito dalla introduzione del giudizio di merito (si veda il primo comma dell'art. 669-novies c.p.c.).

Riferimenti
  • A.M. Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017, pp. 2186 e ss.;
  • C. Consolo (a cura di), Commentario al Codice di Procedura Civile, Tomo III, Milano, pp. 1491 e ss.;
  • P. Castoro, Il Processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2015, pp. 994 e ss.;
  • L. Balestra, Opposizione agli atti esecutivi, in Ius Processo civile (Ius.giuffrefl.it).

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