Questioni consumeristiche eurounitarie del titolo esecutivo non opposto e controversie distributive: la posizione della Cassazione

08 Giugno 2023

La questione posta al vaglio della terza sezione della Corte di cassazione riguarda la proponibilità in sede di esecuzione forzata delle questioni inerenti alla presunta natura abusiva delle clausole consumeristiche del contratto sotteso a un titolo esecutivo non opposto.
Massima

Il rilievo officioso da parte del giudice dell'esecuzione dell'abusività delle clausole in danno del consumatore, pur in presenza di un giudicato formale, si arresta dinanzi all'intangibilità degli effetti traslativi della vendita forzata.

Il caso

Un debitore ha proposto opposizione ai sensi degli artt. 617 e 512 c.p.c. avverso l'ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione emessa nell'ambito di un'espropriazione immobiliare. Posto che rivestiva la qualifica di consumatore, ha chiesto, in subordine, in virtù della decisione della Corte di Giustizia Europea del 17 maggio 2022, la declaratoria d'estinzione dell'espropriazione per la presunta nullità della fideiussione omnibus da cui scaturiva il decreto ingiuntivo esecutivo emesso in favore della creditrice pignorante.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 7416/2021 del 29 aprile 2021, ha dichiarato inammissibile l'opposizione, ritenendo, tra l'altro, che la questione inerente alla nullità della fideiussione avrebbe dovuto proporsi dinanzi al giudice della cognizione, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., in quanto l'opposizione ex art. 512 c.p.c. è ammessa esclusivamente contro l'ordinanza che risolve la controversia distributiva e non il progetto in sé. Pertanto, poiché il debitore aveva già proposto precedente opposizione distributiva sulla base delle medesime doglianze, risolta dal giudice dell'esecuzione con ordinanza del 10 dicembre 2018 (mediante l'indicazione al professionista delegato dei criteri da seguire per procedere alla distribuzione), l'opponente avrebbe dovuto impugnare proprio detta ordinanza, e non già il progetto di distribuzione, perché questo era stato predisposto in diretta osservanza dei criteri impartiti e così approvato.

Avverso tale sentenza il debitore ha proposto ricorso per cassazione denunciando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, comma 1, 618, ult. comma, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.

La questione

La questione posta al vaglio della terza sezione della Corte di cassazione riguarda la proponibilità in sede di esecuzione forzata delle questioni inerenti alla presunta natura abusiva delle clausole consumeristiche del contratto sotteso a un titolo esecutivo non opposto.

Le soluzioni giuridiche

Appare anzitutto opportuno delineare il quadro giurisprudenziale e normativo in cui si colloca l'ordinanza commentata.

La CGUE ha emanato, in data 17 maggio 2022, quattro sentenze interpretative concernenti i rapporti tra la Direttiva CEE 93/13 e il diritto processuale nazionale (cause C-693/19, C-831/19, C-725/19, C-600/19, C-869/19). Di queste quella che maggiormente qui interessa è la sentenza che, nel definire le cause riunite C-693/19 e C-831/19, ha statuito che gli artt. 6 paragrafo 1, e 7 paragrafo 1 della direttiva 93/13 CEE, concernenti le clausole abusive contenute nei contratti stipulati tra consumatore e professionista, vanno interpretate nel senso che il giudice dell'esecuzione deve controllare l'eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto da cui scaturisce il titolo esecutivo, anche se il decreto ingiuntivo non è stato opposto dal debitore. La sentenza, avendo natura di interpretazione autentica, si applica – come noto - anche ai decreti ingiuntivi non opposti emessi prima del 17 maggio 2022.

La pronuncia comporta delle conseguenze significative sul piano del diritto processuale nazionale, in quanto pone il problema della comparazione e, quindi, del rapporto tra il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale del consumatore (sotteso alla direttiva 93/13 CEE), e il principio della stabilità del giudicato nazionale.

Il fondamento della direttiva n. 93/13 risiede nel convincimento che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista sia per quanto concerne il potere negoziale sia per il livello di informazione; conseguentemente l'art. 6, paragrafo 1 sancisce la non vincolatività delle clausole abusive nei confronti dei consumatori.

Secondo la copiosa giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, l'effettività della tutela del consumatore si realizza non tanto attraverso l'enucleazione della sanzione di non vincolatività espressa dall'art. 6, quanto nella fase patologica del rapporto, attraverso l'imposizione al giudice dell'obbligo di esaminare - anche d'ufficio - l'eventuale natura abusiva delle clausole contenute nel b2c, dandone adeguata motivazione nel provvedimento.

Non solo; la Corte di Giustizia (sent. 26 gennaio 2017, causa C-421/14) ha statuito che, se l'eventuale abusività di una o di più clausole del contratto controverso non è ancora stata esaminata nell'ambito di un precedente controllo giurisdizionale, peraltro terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva n. 93/13 imporrebbe al giudice nazionale, adito dal consumatore mediante un'opposizione incidentale ad un procedimento di esecuzione, di valutare, su istanza delle parti o d'ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l'eventuale abusività di tali clausole.

Il giudice europeo ha ravvisato la debolezza della struttura bifasica del procedimento monitorio ogni qualvolta esso non sia in grado di garantire l'effettiva tutela del consumatore nel contratto stipulato con il professionista. Tale rischio si appalesa quando il consumatore non si sia attivato a proporre l'opposizione per non corrispondere le spese processuali, o perché non sufficientemente edotto dal giudice del monitorio sulla possibilità di avvalersi delle clausole abusive e delle conseguenze della sua eventuale inerzia (CGUE 14 giugno 2012 C-618/10, conforme 28 settembre 2018 C-448/17).

L'inerzia del consumatore nel proporre l'opposizione al decreto ingiuntivo non può, dunque, ridondare a svantaggio del medesimo.
Pertanto, ogni qualvolta nel decreto ingiuntivo sia assente “qualsiasi motivazione” da cui desumere l'avvenuto controllo della vessatorietà delle clausole da parte del giudice del monitorio, il rilievo della abusività spetta – a dire della Corte di giustizia - al giudice dell'esecuzione. Sicché, in tale caso, il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo non opposto acquista, una portata variabile, non “coprendo” le clausole vessatorie del contratto concluso tra professionista e consumatore.

Le sentenze non chiariscono, tuttavia, se il giudice dell'esecuzione abbia il potere di rilevare l'abusività della clausola o anche di dichiararne la nullità.

Un primo orientamento ritiene che, una volta effettuato il rilievo da parte del g.e., il debitore consumatore può avvalersi del rimedio dell'opposizione tardiva al decreto ingiuntivo (A questo riguardo v. la recentissima Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2023, n. 9479). Infatti, tra le cause di forza maggiore rientrerebbe il mancato controllo della vessatorietà delle clausole e/o il mancato avvertimento nel decreto circa le decadenze in merito alla mancata contestazione delle medesime; sicché il termine di dieci giorni per la proposizione dell'opposizione decorre dalla data di comunicazione del rilievo del g.e. sulla presunta natura abusiva delle clausole. Il giudice dell'esecuzione è tenuto, quindi, a rinviare la data di fissazione della vendita ad una data in cui presumibilmente il giudice dell'opposizione ha quantomeno deciso sull'istanza di sospensione dell'esecutorietà del decreto.

Per altro orientamento, invece, il g.e., dopo aver rilevato d'ufficio l'eventuale natura abusiva di una clausola, indica al consumatore-debitore, che intenda avvalersi di tale clausola, il rimedio da esperire per farne dichiarare la nullità, ovvero un'ordinaria azione di accertamento da proporsi davanti al giudice di prime cure competente per valore e territorio (foro del consumatore). Il giudice adito dispone, quindi, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo in via cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c., con efficacia ex art. 623 c.p.c. sull'esecuzione eventualmente pendente.

La Cassazione, facendo propria la motivazione della sentenza impugnata, ha ritenuto inammissibile l'opposizione proposta ex art. 617 c.p.c. avverso il progetto di distribuzione. Il consumatore, difatti, aveva riproposto le medesime questioni fondanti una prima opposizione ex art. 512 c.p.c. già decisa dal g.e. con un'ordinanza con cui aveva impartito specifiche direttive al delegato per la redazione del progetto di distribuzione. Pertanto, oggetto di impugnazione avrebbe dovuto essere tale ordinanza, non essendo prospettabile un'opposizione distributiva, in quanto il professionista delegato si era attenuto alle istruzioni impartitegli dal giudice.

Inoltre il giudice di prime cure non aveva esaminato il profilo dell'eventuale nullità della fideiussione da cui scaturiva il titolo esecutivo fondante la procedura esecutiva, in quanto il debitore aveva introdotto nella fase di merito un nuovo thema decidendum, avente ad oggetto la presunta nullità del contratto, violando in tal modo la struttura bifasica del giudizio di opposizione, che esige la necessaria coincidenza tra motivi di opposizione proposti dinanzi al giudice dell'esecuzione e quelli proposti con l'atto introduttivo della fase di merito (Cass. civ., sez. un., n. 28387/2020; 25478/2021).

Non dimeno, osserva il Collegio, il principio enucleato dalla Corte di Giustizia non trova applicazione nel caso esaminato, in quanto il decreto ingiuntivo era stato opposto dal debitore ai sensi dell'art. 645 c.p.c., mentre la sentenza interpretativa riguarderebbe i soli decreti ingiuntivi non opposti.

Non rileva neanche la circostanza che il debitore sia venuto a conoscenza della nullità della fideiussione in data successiva all'opposizione, perché nella procedura esecutiva pendente contro il medesimo risultano essere intervenuti altri creditori muniti di titolo esecutivo e conseguentemente l'eventuale caducazione del titolo del creditore pignorante non comporterebbe de iure la caducazione degli effetti del pignoramento, conformemente a quanto statuito in materia dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un., n. 61/2014).

Vi è più, anche a voler ammettere che nel giudizio di opposizione non sia stata affrontata la questione dell'abusività delle clausole, non sussisterebbe alcun margine per il rilievo officioso del g.e. La stessa CGUE al punto 57 della sentenza (Causa C-725/199), difatti, statuisce che se il bene è stato oramai venduto a un terzo, non l'esame del carattere abusivo delle clausole è irrimediabilmente precluso, perché ciò comporterebbe l'annullamento degli atti di trasferimento della proprietà rimettendo in discussione la certezza giuridica del trasferimento di proprietà già effettuato.

Il Collegio, in questo stato di cose, ha rigettato il ricorso, evidenziando che l'unico rimedio esperibile dal consumatore per la tutela delle sue ragioni è l‘introduzione di un separato ed autonomo giudizio risarcitorio.

Osservazioni

L'ordinanza in commento offre lo spunto per un'importante riflessione.

All'indomani della pronuncia sentenze della CGUE, molti avevano temuto ripercussioni negative sia sulla stabilità degli effetti del giudicato, sia sui contenziosi che si sarebbero potuti instaurare, trovando i relativi dicta applicazione anche con riferimento ai decreti ingiuntivi emessi prima del 17 maggio 2022.

L'ordinanza in commento fuga ogni dubbio, enucleando dei principi di diritto quasi in funzione anticipatoria dell'intervento richiesto in materia alle Sezioni Unite (si tratta di Cass., sez. un., 7 aprile 2023, n. 9479 che, di fatto, conferma la linea interpretativa adottata dalla decisione in commento).

Il Collegio delinea in modo piano i principi enunciati dalla CGUE possano essere trasposti nel nostro ordinamento processuale.

Anzitutto circoscrive l'ambito di operatività ai soli decreti ingiuntivi non opposti, per poi precisare come l'accertamento dell'abusività delle clausole del contratto sotteso al titolo esecutivo non comporta ipso iure la caducazione del medesimo. Essendo un'intrinseca caratteristica dell'istituto la “vocazione funzionale” alla conservazione del contratto, la clausola abusiva va espunta, risultando il contratto, nella rimanente parte, vincolante se ciò sia giuridicamente possibile e consenta una migliore tutela del consumatore.

Infine, l'effettività della tutela del consumatore se da un lato travolge il giudicato del decreto ingiuntivo non opposto limitatamente al rilevabile, dall'altro incontra un limite insormontabile nell'esigenza di garantire la stabilità della vendita nell'esecuzione forzata: in tali casi l'unico rimedio esperibile dal consumatore per la tutela delle sue ragioni sarà un0orsinaria azione risarcitoria.

Riferimenti
  • Auletta, Tutela del consumatore e decreto ingiuntivo non opposto: il ruolo del g.e. alla luce della recente giurisprudenza CGUE, in www.giustiziacivile.com;
  • Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all'effettività, in Giur. it., 2022, 2117 ss.;
  • Capponi, La Corte di Giustizia stimola una riflessione su contenuto e limiti della tutela monitoria, in www.judicium.it
  • De Stefano, La Corte di Giustizia sceglie tra tutela del consumatore e certezza del diritto. Riflessione sulle sentenze del 17 maggio 2022 della Grande Camera della CGUE, in Giustizia insieme, 22 settembre 2022.
  • Febbi, La Corte di Giustizia Europea crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, in www.judicium.it
  • Fiengo, Giudicato da decreto ingiuntivo non opposto: quando è superabile?, in questa rivista;
  • Rossi, Decreto ingiuntivo non opposto e tutela effettiva del consumatore, in www.judicium.it

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