Il procedimento per regolamento di competenza

12 Giugno 2023

La Corte di cassazione delinea le modalità con le quali deve essere adottata, a pena di invalidità, la decisione di incompetenza che, pure, deve essere, sin dalla legge n. 69/2009, adottata con ordinanza e non con sentenza.
Massima

L'ordinanza declinatoria della competenza resa dal Tribunale in composizione monocratica, successivamente alle modifiche apportate dalla legge n. 69/2009, presuppone, ai sensi del combinato disposto degli artt. 187, comma 3, 189, 281-bis c.p.c., il previo invito alle parti alla precisazione delle conclusioni, sicché, ove la decisione sia stata emessa senza il rispetto di tali formalità, la stessa è impugnabile con il regolamento necessario di competenza; laddove il giudice, pur avendo omesso di invitare le parti a precisare le conclusioni, assegni comunque un termine per il deposito di memorie illustrative, va applicato l'art. 190 c.p.c. il quale prevede l'assegnazione ad entrambe le parti di un unico termine perentorio di 60 giorni e, sempre ad entrambe, consente la replica nei 20 giorni successivi.

Il caso

Un ex consigliere della Regione Autonoma Trentino Alto Adige, titolare di assegno vitalizio erogato ai sensi della legge regionale n. 7/2019, con ricorso ex art. 442 c.p.c. aveva adito il Tribunale di Bolzano, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo la riliquidazione dell'assegno corrisposto a febbraio 2020, asseritamente quantificato in modo erroneo dal Consiglio Regionale; il Consiglio si costituiva in giudizio eccependo l'incompetenza territoriale del giudice adito sulla base della natura non previdenziale della controversia. Disposto il mutamento di rito il Tribunale, all'udienza ex art. 183 c.p.c., concedeva termine alle parti per depositare le memorie diffensive e si riservava di decidere all'esito sull'eccezione di incompetenza territoriale proposta dal Consiglio Regionale. Decorso il termine, con ordinanza, il Tribunale, esclusa la natura pensionistica e previdenziale della causa, dichiarava l'incompetenza del Tribunale di Bolzano e riteneva che, invece, la controversia dovesse essere instaurata davanti al Tribunale di Trento, in funzione della sede del Consiglio Regionale convenuto in giudizio.

L'attore proponeva regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c. sulla base di 4 motivi di ricorso; il Consiglio Regionale chiedeva il rigetto del ricorso e il P.M. concludeva nel senso dell'accoglimento del quarto e quinto motivo e nel rigetto delle ulteriori censure.

La questione

Con il primo motivo di ricorso, FPA eccepiva la nullità dell'ordinanza impugnata perché la stessa non era stata preceduta dalla previa fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni. La Corte accoglie direttamente il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi e, di conseguenza, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bolzano.

La Corte ritiene infatti la fondatezza del primo motivo di ricorso sulla base della propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l'ordinanza declinatoria della competenza resa dal Tribunale in composizione monocratica, dopo le modifiche apportate dalla riforma 2009, presuppone, ai sensi del combinato disposto degli artt. 187, comma 3, 189, 281-bis c.p.c., il previo invito alle parti alla precisazione delle conclusioni e, di conseguenza, ove la decisione venga emessa senza rispettare tali formalità, è impugnabile con regolamento necessario di competenza (Cass. n. 25607/2021; Cass. n. 20059/2018; Cass. n. 8992/2016; Cass. n. 17650/2015; Cass. civ., sez. un., n. 20449/2014; Cass. n. 16005/2001). La Corte ritiene fondato il motivo anche per il mancato rispetto dei termini previsti dall'art. 190 c.p.c., sulla base del principio già enunciato dalle Sezioni Unite che hanno affermato che “la parte che proponga l'impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, ai quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo” (Cass. civ., sez. un., n. 36596/2021).

Le soluzioni giuridiche

Come già affermato dalle Sezioni Unite del 2014 (Cass. civ., sez. un., n. 20449/2014, cit.) la riforma di cui alla legge n. 69/2009 dispone il cambiamento della forma della decisione sulla competenza, ma non incide in alcun modo sul procedimento che porta a detta decisione né sulle relative scansioni; la norma dell'art. 187, comma 3, c.p.c., non modificata, continua – anche dopo la riforma del 2009 – ad attribuire al giudice l'opzione tra decidere immediatamente la questione di competenza e accantonarla, per deciderla unitamente al merito; il successivo, anch'esso non modificato, art. 189, c.p.c. al comma 1 prima parte, continua a prevedere, anche per l'ipotesi di estrapolazione anticipata della decisione, la necessità sia della rimessione della causa alla fase decisionale sia del previo rinvio per precisazione delle conclusioni (e, in funzione della disposizione successiva, dei conseguenti adempimenti ivi previsti); lo stesso art. 189, al comma 1, seconda parte e comma 3, continua a prevedere che le conclusioni vengano comunque precisate a tutto campo e che il potere decisorio possa esprimersi nei medesimi termini; in forza dei rinvii di cui agli immutati art. 281 bis c.p.c. e ss. e art. 311 c.p.c., le disposizioni in questione continuano ad essere applicabili anche ai giudizi davanti a giudice monocratico.

Secondo le Sezioni Unite non si può sostenere che, dopo la modifica dell'art. 279 c.p.c. da parte della riforma 2009, il combinato disposto degli artt. 187 e 189 c.p.c. vada letto, in termini selettivi, nel senso che l'espresso richiamo che l'art. 189 c.p.c. effettua all'art. 187, comma 3, c.p.c. debba intendersi limitato alle questioni di giurisdizione ed alle altre pregiudiziali di rito (per le quali resta prevista la decisione in forma di sentenza) con esclusione delle questioni di competenza (da decidersi, in esito alla novella, in forma di ordinanza).

Una simile affermazione postulerebbe una differenziazione della disciplina procedimentale tra pronunzia su questione di competenza e pronunzia sulla giurisdizione e sulle altre pregiudiziali di rito che è inaccettabile in rapporto al consolidato criterio, c.d. "della prevalenza della sostanza sulla forma degli atti processuali", secondo cui ciò che definisce il regime da applicare all'atto processuale, anche ai fini della relativa impugnazione, è la sua sostanza e non la sua forma (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 15116/13 e Cass. civ., sez. un., n. 25837/2007 nonché, ex multis, Cass. n. 8174/2006, 20470/2005).

Anche se, dopo la novella, riveste forma semplificata, la pronunzia sulla competenza, resta, nella sostanza, un provvedimento decisorio, perché, tramite essa, il giudice, sebbene pronunci con ordinanza e non sentenza, si spoglia definitivamente della questione decisa, che può essere rimessa in discussione solo ad iniziativa di parte, con la proposizione di consona impugnazione.

A smentire la fondatezza dell'impostazione sul piano normativo, non si è, d'altro canto, mancato di rilevare che, quando il legislatore ha voluto attribuire al giudice il potere di decidere su questioni processuali idonee a definire il giudizio senza passare per una previa precisazione delle conclusioni, lo ha previsto espressamente, come nel caso dell'ordinanza di estinzione del processo disposta ai sensi dell'art. 307, comma 4., c.p.c. ovvero nell'ipotesi del rilievo dell'errore nella scelta del rito ex artt. 426 e 427 c.p.c. che può chiudere il processo innanzi al magistrato che lo ha rilevato o innanzi al quale è stato eccepito.

Di conseguenza, come già affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite prima della novella del 2009 (Cass., sez. un., ,n. 11657/2008), la soluzione di ritenere che la decisione sulla sola competenza possa prescindere dalla precisazione delle conclusioni e dallo scambio degli scritti difensivi finali nonché dall'eventuale discussione e sia, conseguentemente, impugnabile con regolamento di competenza anche in assenza dei predetti adempimenti, rischierebbe di comportare - in evidente contrasto con il sistema normativo - la trasformazione del regolamento predetto da mezzo di impugnazione, che trova presupposto d'ammissibilità nella decisione del giudice sulla questione, a strumento di regolazione preventiva della questione di competenza, che trova presupposto di ammissibilità nella mera contestazione della competenza del giudice adito (così in motivazione Cass. civ., sez. un., n. 20449/2014, cit.).

Ne deriva, correttamente, che l'ordinanza declinatoria della competenza resa dal Tribunale in composizione monocratica, dopo le modifiche della novella 2009, presuppone comunque l'invito alle parti alla precisazione delle conclusioni e l'eventuale decisione emessa senza il rispetto di tali formalità è impugnabile. Se la giurisprudenza di legittimità è concorde nell'affermare il principio ora esposto, si differenzia parzialmente quanto alle conseguenze in punto di impugnazione. Infatti secondo alcune pronunce, tra cui le Sezioni Unite del 2014 già citate, l'ordinanza emanata senza rispettare le regole procedimentali andrebbe impugnata con regolamento di competenza, secondo altre pronunce sarebbe nulla per violazione del principio del contraddittorio (Cass. civ. n. 8992/2016) e, infine, secondo altre pronunce, sarebbe onere del ricorrente allegare lo specifico pregiudizio al diritto di difesa derivante dall'omesso invito a precisare le conclusioni (Cass. civ. n. 20059/2018 e Cass. n. 25607/2021).

Ma, secondo la Corte in commento, quest'ultimo orientamento (peraltro invocato anche dal P.M.), che vuole che sia onere del ricorrente allegare lo specifico pregiudizio al diritto di difesa derivante, appunto, dall'omesso invito a precisare le conclusioni, in virtù del fatto che non ogni processo condotto irritualmente si traduce in una lesione del diritto di difesa delle parti, deve essere ripensato alla luce di quanto emerge da Cass. civ., sez. un., n. 36596/2021. Tale pronuncia, chiamata a decidere se la sentenza di primo grado o d'appello, che sia adottata prima della scadenza dei termini concessi ai sensi dell'art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, o anche di uno solo di essi, ovvero a fortiori in ipotesi di mancata concessione dei suddetti termini, sia affetta da nullità per il solo fatto della risultante impeditiva, per i difensori delle parti, dell'esercizio compiuto del diritto di difesa nel rispetto dei termini perentori all'uopo fissati dalla legge, oppure se la detta nullità presupponga l'accertamento anche di un pregiudizio concreto, passato nella terminologia corrente sotto la denominazione di pregiudizio "effettivo", ulteriormente parametrato alla possibile incidenza della violazione sulla soluzione finale di merito. Secondo le Sezioni Unite il legislatore connette la deliberazione della sentenza alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c. per valorizzare al massimo i diritti di difesa e contraddittorio; in coerenza con una garanzia di effettività, da realizzare durante tutto l'arco del processo, così da limitare il dispiegarsi della stessa potestà decisionale. Con la conseguenza che la pronuncia che sia deliberata in data antecedente a quella fissata dalla scadenza dei ripetuti termini, è da ritenere nulla in sé e per sé, in quanto assunta in mancanza del potere all'uopo conferito secondo la disciplina di legge. Ne deriva il seguente principio, riportato anche nella motivazione della sentenza in commento: “la parte che proponga l'impugnazione della sentenza d'appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sè la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità dei difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, ai quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”.

Osservazioni

Dalle richiamate sentenze la Corte in commento afferma che è certamente applicabile alla fattispecie esaminata il principio esposto da S.U. n. 36596/2021 dato che il Giudice, pur avendo omesso di invitare le parti a precisare le conclusioni, ha comunque assegnato un termine per il deposito di memorie illustrative, però sfalsato, all'attore sino al 20 dicembre 2021 e al convenuto fino all'11 gennaio 2022. L'art. 190 c.p.c. però prevede l'assegnazione ad entrambe le parti di un unico termine perentorio di 60 giorni e, sempre ad entrambe, consente la replica nei 20 giorni successivi. Allo stesso modo gli artt. 281-quinquies e l'art. 281-sexies c.p.c. mettono le parti su un piano di totale parità nel disciplinare la decisione a seguito di trattazione scritta o mista, ovvero a seguito di trattazione orale e la stessa cosa accade ai sensi dell'art. 429, comma 2, c.p.c. rispetto alle note difensive autorizzate nel rito lavoristico. Stesso termine uguale per le parti – dice la Corte – è posto anche nel giudizio di cassazione dagli artt. 378 e ss. c.p.c. Con la conseguenza che dall'esame del codice di rito si può ricavare che esso prevede un termine uguale per gli scritti difensivi di tutte le parti, ogni volta che si passi alla fase decisoria.

Invece, nel caso oggetto della presente decisione, il Tribunale, come visto, ha assegnato un termine “sfalsato” alle parti così violando il principio della parità delle armi previsto dall'art. 111 Cost. perché, afferma la Corte, a differenza di quanto sarebbe accaduto se la causa fosse stata trattenuta in decisione sulla questione di competenza all'esito della precisazione delle conclusioni e nelle forme previste dalle norme processuali richiamate, ha consentito al solo convenuto la replica agli argomenti dell'attore.

Pertanto la decisione sulla questione di competenza è stata adottata senza assicurare il rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi che le disposizioni normative, anche costituzionali, garantiscono, sicché a tale fattispecie può senz'altro applicarsi il principio di diritto posto da Cass. civ., sez. un., n. 36596/2021 che prevede in tali ipotesi la nullità della sentenza.

Il principio affermato dalle Sezioni Unite in commento è senz'altro condivisibile sia quanto alla portata dell'applicazione delle norme procedimentali di riferimento, sia quanto alle conseguenze giuridiche.

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