Competenza in generale

20 Dicembre 2015

La competenza è la misura della giurisdizione che spetta a ciascun organo giudiziario.
Inquadramento

La competenza è la misura della giurisdizione che spetta a ciascun organo giudiziario. Nella determinazione della competenza bisogna tenere in considerazione più elementi:

  • ripartizione delle cause civili tra diversi uffici giudiziari: quanto al primo grado fra giudice di pace e tribunale (ripartizione verticale); e fra i rispettivi uffici dislocati nelle diverse sedi (ripartizione orizzontale);

  • esistenza, almeno sino ad un recente passato, in molti tribunali di sezioni distaccate che sono articolazioni di un unico ufficio.

L'ufficio giudiziario può essere composto da più sezioni e/o da più giudici.

Parametri per la determinazione della competenza

La c.d. competenza per materia (riparto in senso verticale) fa riferimento alla natura della controversia: questo criterio fa riferimento al tipo di rapporto giuridico che è oggetto della controversia.

La c.d. competenza per valore (riparto in senso verticale) attiene al valore economico della controversia. Per i giudici specializzati è escluso ogni rilievo al criterio del valore.

I criteri della materia e del valore operano in combinazione tra loro secondo la seguente regola: il criterio del valore è generale nel senso che opera quando non esistono regole che stabiliscano diversamente con riguardo alla materia; quando ciò avvenga, il criterio della materia prevale su quello per valore.

La c.d. competenza per territorio

, che attiene al riparto in senso orizzontale della controversia tra gli uffici giudiziari situati nel territorio dello Stato, opera una volta individuato, tramite i criteri della materia e del valore, il tipo di ufficio cui proporre la domanda, si esamina quest'altro criterio. I criteri di competenza territoriale sono indicati in via generale dagli

artt. 18 ss. c.p.c.

nonché da altre disposizioni speciali cui si rinvia. In particolare:

  • Foro generale: per le persone fisiche residenza o domicilio del convenuto e se questi sono sconosciuti il luogo di dimora; per le persone giuridiche: luogo in cui esse hanno la sede o uno stabilimento o un rappresentante autorizzato a stare in giudizio.

  • Fori speciali: sono utilizzabili solo per cause aventi determinati oggetti o soggetti. Si distinguono a loro volta in:

  • Fori speciali facoltativi: che concorrono con il foro generale;

  • Fori speciali esclusivi: che escludono il ricorso al foro generale e a qualunque foro speciale.

Competenza del Giudice di pace e del tribunale

Le ipotesi di competenza del Giudice di pace sono fissate dall'

art. 7 c.p.c.

i cui primi due commi dettano ipotesi di competenza mista, cioè limitata contemporaneamente per materia e per valore.

Queste ipotesi riguardano:

a)

le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 5.000,00, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice.

Ai fini di questa attribuzione bisogna dare rilevanza alla distinzione tra causa mobiliare e causa immobiliare. Vanno considerate

relative a beni mobili

tutte le cause che non hanno ad oggetto un diritto reale su bene immobile;

b)

le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi euro 20.000,00.

Oltre tale valore la competenza spetta al tribunale.

L' art. 7, comma 3, elenca quattro categorie di controversie individuate solo rispetto alla materia, senza limite di valore. Si tratta delle cause relative:

  1. ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;

  2. alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;

  3. a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità;

  4. agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali.

Le prime tre ipotesi, come risulta con evidenza dalla lettura della norma, sono relative ai rapporti di vicinato.

La competenza del tribunale è, invece, di tipo residuale, nel senso che spettano alla cognizione del tribunale tutte le controversie che non rientrano nella competenza di altro organo giudiziario.

L'

art. 9 c.p.c.

, infatti, individua la competenza del tribunale anzitutto in via negativa, con riferimento a tutte le cause per le quali non è prevista la competenza di altro giudice.

Il secondo comma elenca le ipotesi espressamente individuate per le quali il tribunale è esclusivamente competente, ossia le cause in materia di imposte e tasse, quelle relative allo stato e alla capacità delle persone, quelle attinenti ai diritti onorifici, alla querela di falso, all'esecuzione forzata.

È importante sottolineare, infine, il richiamo a tutte le cause di valore indeterminabile.

Determinazione del valore della causa e della materia

Ai sensi dell'

art. 10, comma 1, c.p.c.

, il valore della causa si determina dalla domanda. Occorre, quindi, fare riferimento all'oggetto della pretesa dell'attore, a prescindere dalla effettiva fondatezza della sua richiesta ed indipendentemente dall'esito cui essa porterà.

Art. 10, comma 2, c.p.c.

detta il principio del cumulo, ossia ai fini della verifica della competenza, devono sommarsi:

  • le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona.

  • il capitale con gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda.

    • Il principio del cumulo non trova applicazione nelle seguenti ipotesi:

  • domande proposte dalla stessa persona contro due diversi soggetti.

  • domande proposte contro lo stesso convenuto ma da parte di due diversi attori.

Per quanto concerne la determinazione della materia: la competenza si determina anch'essa dalla domanda.

Ciò che va considerato è il tipo di rapporto che l'attore ha dedotto nella domanda, a nulla rilevando le eventuali contestazioni del convenuto.

Competenza per territorio

La competenza territoriale viene individuata sulla base di una serie di criteri fissati dagli

artt. 18 ss. c.p.c.

, oltreché da altre disposizioni speciali. I criteri previsti sono:

  • foro generale ossia quello previsto in modo indifferenziato per ogni tipo di causa e si applica in mancanza di un foro speciale.

Si distingue tra:

  • foro generale delle persone fisiche (

    art. 18 c.p.c.

    ossia fori successivamente concorrenti, residenza o domicilio del convenuto, dimora del convenuto, residenza dell'attore);

  • foro generale delle persone giuridiche (

    art. 19 c.p.c.

    , ossia fori elettivamente concorrenti, sede; stabilimento; rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda);

  • foro speciale. È quello previsto per determinati tipi di controversie, in ragione dell'oggetto dedotto in giudizio ovvero dei soggetti che ne sono parte.

Si distingue tra: foro speciale facoltativo (o concorrente) che si aggiunge a quello generale, consentendo, pertanto, all'attore di scegliere l'uno o l'altro. L'esempio è dato dall'

art. 20 c.p.c

che individua il foro facoltativo per le cause in materia di obbligazione; foro speciale esclusivo che si sostituisce al foro generale, di modo che l'attore potrà instaurare il giudizio solo dinanzi a quel giudice. Le ipotesi di competenza esclusiva sono disciplinate dagli

artt. 21 e ss. c.p.c.

Clausola di deroga della competenza e suoi limiti

L'

art. 6 c.p.c.

fissa principio generale della inderogabilità convenzionale della competenza.

Tuttavia, ex

art. 28 c.p.c.

, le parti, ferma l'inderogabilità convenzionale della competenza per materia o per valore, possono pattiziamente derogare alla competenza per territorio con esclusione dei casi espressamente previsti dalla norma. In questi casi (su cui si legga testo

art. 28 c.p.c.

) la competenza territoriale è inderogabile; si parla anche di competenza funzionale. E' inderogabile e funzionale anche la competenza per gradi.

Nelle altre ipotesi la competenza è derogabile.

L'

art. 29 c.p.c.

stabilisce le condizioni di validità ed efficacia della clausola di deroga alla competenza territoriale: accordo scritto riguardante uno o più affari determinati; doppia sottoscrizione se è stipulato in contratto concluso tramite moduli o formulari; a meno che non sia espressamente stabilito, l'accordo di deroga non ha vocazione per l'esclusività.

Peculiare ipotesi di competenza territoriale inderogabile è il c.d. foro erariale, cfr.

art. 25 c.p.c.

Secondo questa norma sia che l'azione sia proposta dallo Stato che contro di esso, foro competente è quello del capoluogo del distretto di Corte d'appello dove si trova il giudice competente secondo le norme ordinarie; se lo Stato è convenuto, escluso il foro generale, giudice competente è quello del luogo in cui l'obbligazione è sorta o deve eseguirsi, oppure dove si trova la cosa oggetto della domanda; la disciplina derogatoria non si applica nei processi esecutivi e nei giudizi di cognizione davanti al giudice di pace.

Rilievo della questione di competenza

L'

art. 38 c.p.c.

distingue due ipotesi in relazione al criterio di competenza che si assume essere stato violato. Il primo e il terzo comma disciplinano il rilievo dell'incompetenza per materia, valore e territorio inderogabile che devono essere eccepite dal convenuto nella comparsa di risposta tempestivamente depositata; ma che possono anche essere rilevate d'ufficio entro la prima udienza di trattazione.

Ai sensi del primo comma della norma l'incompetenza per territorio derogabile deve essere eccepita dal convenuto nella comparsa di risposta tempestivamente depositata con indicazione del giudice che si ritiene competente.

L'

art. 38, commi 1 e 2 c.p.c.

stabilisce che la deroga della competenza per territorio (fuori dei casi previsti dall'

art. 28 c.p.c.

) può avvenire in forma tacita o in forma espressa sulla base di un accordo endoprocessuale.

  • Accordo endoprocessuale tacito

    : il convenuto si costituisce dinanzi ad un giudice incompetente senza eccepire nella comparsa di risposta il relativo difetto di competenza.

  • Accordo endoprocessuale espresso

    : il convenuto eccepisce l'incompetenza del giudice adito dall'attore, indicando qual è il giudice secondo lui competente, e l'attore aderisce all'indicazione del convenuto.

In questo caso, il giudice incompetente adito dall'attore si limiterà a disporre, con ordinanza, la cancellazione della causa dal ruolo. La causa dovrà essere riassunta dalle parti nel termine di tre mesi. In caso di riassunzione, la competenza del giudice così individuato non potrà più essere messa in discussione.

L'art. 38, quarto comma stabilisce che

le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni

. È l'ipotesi in cui la questione di competenza debba essere decisa dal giudice perché si tratta di competenza inderogabile oppure perché non è stato raggiunto alcun accordo endoprocessuale.

La questione viene decisa con ordinanza, se il giudice pronuncia solo sulla competenza; con sentenza, se il giudice pronuncia sulla competenza insieme con il merito-In base a quello che risulta dagli atti è la regola generale che si applica quando la competenza (per valore e materia) si determina dalla domanda; «assunte sommarie informazioni» nei casi in cui il giudice debba tener conto delle contestazioni del convenuto relative ai criteri di competenza territoriale; ovvero, con riferimento ai criteri di competenza per valore e per materia, quando la prospettazione fatta dall'attore nella domanda è evidentemente errata e diretta a radicare la competenza davanti ad un giudice che altrimenti non sarebbe competente (forum shopping).

Litispendenza e continenza di cause

La litispendenza è la contemporanea pendenza di due cause identiche, da un punto di vista sia soggettivo che oggettivo, dinanzi a giudici diversi, intendendosi per «giudici diversi» differenti uffici giudiziari.

Come anticipato, le due cause devono presentare gli stessi elementi soggettivi ed oggettivi e, quindi, quanto al primo requisito, identità di soggetti, quanto al secondo requisito lo stesso petitum e la stessa causa petendi.

Per stabilire quando la causa sia pendente dobbiamo far riferimento alla notifica dell'atto di citazione se il processo è introdotto con atto di citazione (ad es. il processo ordinario di cognizione), ovvero al deposito del ricorso nei processi introdotti, appunto, con ricorso. La pendenza della causa termina allorché essa passa in giudicato.

Come facciamo a stabilire qual è il giudice competente per le due cause identiche? Ce lo dice l'

art. 39, ultimo comma, c.p.c.

che pone il criterio c.d. della «prevenzione»: la competenza spetta in ogni caso al giudice che sia stato preventivamente adito, mentre il giudice adito per secondo, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, deve dichiarare con ordinanza la litispendenza e disporre, sempre con ordinanza, la cancellazione della causa dal ruolo.

Se la stessa causa pende davanti a magistrati o organi dello stesso ufficio per evitare il bis in idem si provvede con l'istituto della riunione dei processi. L'ordinanza che dichiara o nega la litispendenza è espressamente contemplata dall'

art. 42 c.p.c.

come suscettibile di impugnazione con regolamento necessario di competenza.

La norma dell'

art. 39 c.p.c.

non fornisce, invece, una definizione della «continenza di cause». Secondo i processualcivilisti la continenza può anche definirsi come una sorta di «litispendenza parziale» perché le cause, identiche nei soggetti e nella causa petendi, si differenziano solo quanto al petitum, in termini quantitativi. La continenza si ha, pertanto, quando le cause si presentano come sfere coincidenti in molti punti ma composte, ognuna, da punti estranei all'altra, purché relativi agli elementi oggettivi e non soggettivi (si legga

art. 39, comma 2, c.p.c.

).

Secondo la giurisprudenza, invece, si deve parlare di continenza non già in funzione meramente quantitativa, ma anche in funzione qualitativa; pertanto nell'ambito della continenza rientrano anche le ipotesi di domande che abbiano gli stessi soggetti e la stessa causa petendi ma un petitum completamente diverso e che siano tra di loro incompatibili, ossia l'accoglimento dell'una impedisca l'accoglimento dell'altra; si fa riferimento alle c.d. domande contrapposte collegate allo stesso rapporto giuridico (esempio: in un processo si chiede l'adempimento del contratto e nell'altro la risoluzione dello stesso contratto).

È rilevabile anche d'ufficio e il giudice preventivamente adito, se competente anche per la seconda causa, deciderà su entrambe; se, invece, il giudice adito per primo non è competente anche per la causa successivamente proposta, sarà lui a dichiarare la continenza e a fissare il termine per riassumere il processo innanzi al secondo giudice. Anche l'ordinanza (alla stregua della modifica introdotta dalla riforma 2009: prima la norma prevedeva la pronuncia con sentenza) che decide sulla continenza è suscettibile di essere impugnata con regolamento di competenza.

Connessione di cause in generale

La connessione si verifica quando le domande di due o più cause hanno rapporti più o meno stretti in ordine a uno o più elementi identificativi, personae; petitum; causa petendi. La connessione si divide in propria e impropria. Quella propria a sua volta si articola nelle due forme della:

  • connessione soggettiva: cioè fra le stesse parti – consente il c.d. cumulo oggettivo;

  • connessione oggettiva: cioè relativa al medesimo oggetto o dipendente dall'identico titolo.

La connessione impropria presuppone la presenza di due o più cause la cui decisione dipenda, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni.

L'

art. 40 c.p.c.

detta norme sia sulla competenza che sul rito. In primo luogo vi è il caso in cui davanti a giudici diversi sono proposte più cause con forme di connessione propria: in questi casi il giudice adito fissa con ordinanza (a seguito della riforma 2009: prima la norma prevedeva la pronuncia con sentenza) un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti al giudice della causa principale o a quello preventivamente adito. Gli ultimi due commi dell'

art. 40 c.p.c.

si riferiscono alla connessione tra cause pendenti davanti – rispettivamente – al giudice di pace e al tribunale. La competenza del primo cede sempre a quella dell'altro e il giudice di pace declina anche d'ufficio la propria competenza.

Negli

articoli da 31

a

36 c.p.c.

il codice disciplina le varie forme di connessione propria che legittimano la deroga agli ordinari criteri di competenza.

Regolamento di competenza

È uno strumento ideato per ottenere rapidamente una decisione vincolante sulla competenza e, a differenza del regolamento di giurisdizione, costituisce mezzo ordinario di impugnazione perché è rivolto contro i provvedimenti (che, a seguito della riforma 2009 non sono più sentenze ma ordinanze) che decidono sulla competenza in primo e secondo grado.

Vi sono due specie di regolamento ad istanza di parte:

  • Regolamento di competenza necessario: con questo strumento devono essere impugnate l'ordinanza che ha pronunziato soltanto sulla competenza, anche ai sensi degli artt. 39 (litispendenza e continenza) e 40 (connessione) senza decidere il merito della causa, nonché i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell'

    art. 295 c.p.c.

  • Regolamento facoltativo di competenza: con questo strumento può essere impugnato il provvedimento che ha pronunciato sulla competenza insieme con il merito; l'alternativa a disposizione delle parti è di utilizzare i normali mezzi di impugnazione.

In sostanza, di fronte ad un provvedimento che abbia deciso sia la questione di competenza che di merito, le parti possono, a loro scelta, adire la Corte di cassazione per far regolare solo la competenza, ovvero il giudice dell'impugnazione ordinaria per far riesaminare tutte le questioni, sia di competenza che di merito. Se è proposto prima il regolamento di competenza, i termini per l'impugnazione ordinaria si sospendono in attesa della decisione sul regolamento; se invece è proposta prima l'impugnazione ordinaria, le altre parti possono proporre il reg. di comp. e in questo caso rimane sospesa l'impugnazione ordinaria.

Il procedimento per il regolamento di competenza è simile a quello per il ricorso ordinario in cassazione. Peculiarità sono che può essere sottoscritto dal difensore nella fase di merito; deve essere notificato alle altre parti che non vi hanno aderito nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza o dalla notificazione dell'impugnazione ordinaria proposta dalla controparte; sospende i giudizi a far data dal giorno in cui è presentata l'istanza al cancelliere ma il giudice può autorizzare il compimento degli atti urgenti; viene deciso con ordinanza della Corte di cassazione, a sezioni semplici, con rito in camera di consiglio.

Il regolamento di competenza d'ufficio si verifica, invece, quando il giudice adito nega la propria competenza e la causa viene riassunta davanti al diverso giudice da lui indicato e anche quest'ultimo si ritiene incompetente. Si delinea così un conflitto negativo che l'ordinamento vuole resti virtuale.

  • Se il secondo giudice dissente per ragioni di competenza territoriale derogabile o di valore, la causa resta radicata nella sede designata in mancanza di impugnazione della parte interessata contro la declinatoria del primo giudice.

  • Se il secondo giudice dissente per ragioni di materia o territorio inderogabile, il secondo giudice, con ordinanza, può sottoporre il conflitto alla Corte di Cassazione che designerà il giudice in modo non più contestabile.

In tutte le ipotesi di regolamento di competenza la Corte con l'ordinanza stabilisce in modo definitivo e vincolante per tutti i giudici quale sia il foro competente; se il processo è riassunto nei termini davanti al giudice dichiarato competente, continua davanti al nuovo giudice (c.d. translatio judicii); se la riassunzione non avviene il processo si estingue ma la sentenza della Cassazione che regola la competenza conserva la sua efficacia (cfr.

art. 310 c.p.c.

) e il giudice indicato resta l'unico competente per il caso di riproposizione della domanda.

Competenza interna

Le regole dette di «competenza interna» sono quelle relative alla ripartizione delle cause all'interno dei singoli uffici giudiziari competenti; ad es. tra la sede centrale e le eventuali sedi distaccate (in ipotesi Tribunale di Roma e sezione distaccata di Ostia); tra organo collegiale o giudice monocratico. Nella «competenza interna» il termine competenza assume pertanto un significato atecnico.

Ripartizione delle cause tra sede centrale e sezioni distaccate di tribunale (su cui cfr.

artt. 48-

quater

e

quinquies

ord. giud

.): in particolare la sezione distaccata ha una certa autonomia strutturale e organizzativa e, in particolare, ha propri uffici di cancelleria; essa ha una sorta di competenza territoriale perché si stabilisce che lì vengano trattati gli affari civili su cui il tribunale giudica in composizione monocratica allorché il luogo in funzione del quale è determinata la competenza per territorio rientra nella circoscrizione delle stesse sezioni. Alla sede centrale sono riservate le cause per cui il tribunale giudica in composizione collegiale ma anche quelle di lavoro e previdenza.

Per tutti gli uffici, escluso il giudice di pace, si pone un problema di riparto interno tra gli affari rimessi al collegio e quelli affidati al giudice unico (su cui cfr. artt. 50-bis, ter e quater).

Sistema tabellare

Il problema più delicato è dato dall'assegnazione della causa ad uno o più giudici persone fisiche, a seconda che sia prevista la decisione del giudice unico o del collegio. La normativa vigente, ossia l'

art. 168-

bis

c.p.c.

attribuisce al riguardo poteri discrezionali ai capi per quanto riguarda la distribuzione del lavoro all'interno degli uffici giudiziari; essa non è stata dichiarata incostituzionale per questa notevole discrezionalità solo perché la Corte costituzionale ha affermato che l'esistenza di criteri predeterminati ed oggettivi, anche se posti in norme secondarie, garantisce la limitazione della discrezionalità ed impedisce l'abuso del potere. In quest'ottica da molto tempo il Consiglio Superiore della Magistratura ha emanato circolari che dettano direttive generali per la formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari che delineano l'organigramma di ciascun ufficio, la sua eventuale ripartizione in sezioni, la destinazione dei magistrati alle sezioni, la formazione dei collegi, i criteri di assegnazione delle cause ai giudici, i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito (c.d. supplenza) e per la destinazione temporanea all'ufficio (c.d. applicazione).

In questo modo, per via di prassi, si è adottato, a livello soprattutto organizzativo-amministrativo, un complesso sistema relativo proprio alla competenza interna, designato come sistema tabellare. Questo sistema ha acquisito piena oggettività e, ha poi ricevuto una consacrazione legislativa agli

artt. 7-

bis

e

7-

ter

ord. giud

.

Riferimenti

L. De Propris, sub

artt.

7-27

c.p.c.

, in Codice di procedura civile commentato, a cura di N. Picardi, B. Sassani, A. Panzarola, Milano, 2015;

A. Fabbi, sub

artt. 28-29 c.p.c.

ivi; M. Farina, sub artt. 38-40, ivi;

V. Proietti, sub

artt. 42-46 c.p.c.

, ivi. Sulla competenza interna e sul sistema tabellare cfr. N. Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013, 108 e ss.

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