Competenza nell'esecuzione forzata

Rosaria Giordano
25 Settembre 2019

Le disposizioni di riferimento in tema di competenza nell'esecuzione forzata sono gli articoli 26, 26-bis e 28 del codice di procedura civile.
Inquadramento

Le disposizioni di riferimento in tema di competenza nell'esecuzione forzata sono gli articoli 26, 26-bis e 28 del codice di procedura civile.

Più in particolare, l'art. 26 – che, sino al d.l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162 del 2014 – indicava i cd. criteri di collegamento della competenza per tutte le forme di esecuzione forzata oggi stabilisce, per un verso, che per l'esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo dove le cose si trovano e, per un altro verso, che la competenza per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare appartiene al giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto.

L'art. 26-bis c.p.c., introdotto dalla citata novella del 2014, prevede, oggi, che la competenza nell'espropriazione forzata presso terzi sia demandata, almeno di regola, al giudice del luogo nel quale risiede il debitore, così superando il criterio tradizionale che attribuiva tale competenza al giudice del luogo di residenza del terzo debitore.

Di importanza non trascurabile è, poi, l'art. 28 c.p.c. laddove sancisce l'inderogabilità della competenza in materia di esecuzione forzata.

Esecuzione forzata su beni mobili e beni immobili

Il primo comma dell'art. 26 c.p.c. demanda, come evidenziato, tale competenza al giudice del luogo dove, rispettivamente, i beni, mobili o immobili, si trovano.

È pacifico che questo criterio di collegamento della competenza per territorio operi sia nell'ipotesi di espropriazione forzata mobiliare presso il debitore o immobiliare sia in quella di esecuzione in forma specifica per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili.

La Suprema Corte ha chiarito, con riguardo all'esecuzione forzata avente ad oggetto una pluralità di beni immobili del medesimo debitore siti in diverse circoscrizioni giudiziarie, a seguito della riforma tributaria, che ha abolito le imposte sul reddito dominicale dei terreni e dei fabbricati, l'ultima parte del comma 1 dell'art. 21 c.p.c. va letto nel senso che è competente ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell'immobile, dovendosi ritenere abrogato il riferimento alla competenza del giudice nella cui circoscrizione è compresa la parte di immobile soggetta a maggiore tributo verso lo Stato (Cass. civ., n. 4213/2017, la quale ha evidenziato che, peraltro, qualora alcuni di questi beni siano stati già pignorati, e al primo segua un successivo pignoramento, la competenza spetta, dovendo trovare piuttosto applicazione l'art. 561 c.p.c. che disciplina le modifiche di competenza per ragioni di connessione nel processo esecutivo, al tribunale dove già pende il precedente processo esecutivo, mentre qualora il secondo pignoramento sia iniziato dopo che per i beni pignorati con il precedente pignoramento si è già tenuta la prima udienza fissata per l'autorizzazione alla vendita, per gli altri beni si procede presso lo stesso tribunale ad un processo separato).

FORO DELL'ESECUZIONE SU BENI IMMOBILI: APPLICAZIONI

Trib. Reggio Calabria, 18 febbraio 2003

In tema di espropriazione forzata, qualora gli immobili siano compresi in più circoscrizioni giudiziarie, il momento in cui valutare la competenza è quello del pignoramento, atto con il quale l'esecuzione ha inizio, restano al di fuori, quindi, le questioni relative al tempo in cui gli immobili sono stati ristrutturati, o comunque, per gli interventi edilizi eseguiti, hanno goduto di un notevole incremento di valore, se tale incremento si è verificato prima del pignoramento (nel caso di specie, dopo l'iscrizione ipotecaria).

Pret. Milano 30 gennaio 1985, in Lav. prev. oggi, 1985, 1139

Qualora uno stabilimento dell'impresa insista nel territorio di diversi comuni - compresi in mandamenti diversi - deve farsi ricorso a criteri di prevalenza che consentano una determinazione unitaria della competenza desumibili dall'art. 21 c.p.c. e dal luogo in cui si trova il vertice decisionale ed il complesso dei beni che costituisce lo stabilimento, il centro che unifica funzionalmente i singoli beni che lo compongono.

Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare

Quanto all'altra forma di esecuzione in forma specifica, i.e. quella regolata dagli artt. 612 e ss. c.p.c. in tema di obblighi di fare e di non fare, l'ultimo comma dell'art. 26 c.p.c. attribuisce rilevanza al luogo nel quale l'obbligo deve essere adempiuto, ossia in quello in cui deve svolgersi l'attività materiale necessaria all'adempimento.

Nell'individuare tale luogo, ad esempio, Cass. civ. n. 28515/2011, ha affermato che, rispetto alla proposizione di domanda volta ad accertare l'impossibilità di eseguire l'ordine di reintegrazione del dipendente illegittimamente trasferito ed invece qualificata come azione volta a determinare le modalità di esecuzione della sentenza, ai fini della competenza territoriale deve trovare applicazione, anche nel caso di obbligo attinente ad un rapporto di lavoro, l'art. 26, ultimo comma, c.p.c., a norma del quale, per l'esecuzione forzata di obbligo di fare e di non fare, la competenza per territorio va determinata con riferimento alla "sede materiale" dell'esecuzione, ossia al luogo in cui risulta ubicato il posto di lavoro dal quale il lavoratore è stato trasferito o, comunque, nel quale debbono porsi in essere gli adempimenti necessari a realizzare l'effetto utile della sentenza, essendo irrilevante lo scopo di accertare l'impossibilità di eseguire la sentenza e non già di darvi attuazione, dal momento che rileva la finalità dell'azione, volta a determinare l'ambito di precettività del dictum del giudice e la sua concreta esigibilità.

Espropriazione presso terzi

Il criterio generale di collegamento della competenza per territorio è stato individuato dall'art. 26-bis c.p.c., introdotto dal d.l. n. 132/2014, nel luogo di residenza, domicilio o dimora del debitore esecutato, criterio che è andato così a sostituire quello pregresso del foro del terzo debitore.

Tale innovazione è coerente con un assetto nel quale, progressivamente, la comparizione del terzo in udienza, la cui necessità giustificava la regola precedente per favorire la partecipazione del terzo, non è più prevista neppure per i crediti di lavoro e previdenziali.

Lo stesso art. 26-bis c.p.c. stabilisce, nondimeno, che resta ferma la competenza del giudice del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo, quando il debitore è una delle amministrazioni indicate dall'art. 413, comma 5, c.p.c.

Nel sistema precedente alla richiamata novellazione normativa, si creavano problemi in tema di competenza territoriale, specie nelle invero ricorrenti ipotesi nelle quali il terzo era una persona giuridica, potendo la sede legale essere molto distante dal luogo di residenza del debitore e dello stesso creditore procedente.

Pertanto, si era consolidato in giurisprudenza il principio per il quale in materia di espropriazione forzata di crediti, la previsione della competenza del giudice del luogo di residenza del debitore comporta, ove il terzo debitore sia una persona giuridica, la facoltà del creditore procedente di ricorrere al foro della sede legale della persona giuridica oppure, in alternativa, a quello del luogo in cui la stessa ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda (cfr. Cass. civ., n. 3077/2014). Ad esempio, nella ricorrente ipotesi di espropriazione presso terzi di crediti del debitore nei confronti di un istituto bancario, era stato chiarito che la competenza per territorio doveva essere individuata, in alternativa al luogo della sede, in base al luogo in cui detto istituto abbia la filiale o succursale o agenzia che abbia in carico il rapporto da dichiarare (v., ex multis, Cass. civ., n. 8112/2006).

La modifica, da parte della novella del 2014, del criterio principale di collegamento della competenza per territorio nell'espropriazione presso terzi evita la pregressa proliferazione di procedure esecutive incardinate nei confronti del medesimo debitore esecutato dinanzi a diversi uffici giudiziari, a seconda dei luoghi di residenza o domicilio dei terzi debitori (ove, per l'appunto, fossero più). Ciò si rendeva necessario – sebbene per taluni l'effetto poteva essere in concreto anche quello di un abuso del processo esecutivo da parte del creditore procedente il quale finiva per “lucrare” le spese di distinte procedure esecutive – in quanto, essendo la competenza in questione inderogabile non poteva trovare applicazione l'art. 33 c.p.c. (D'Alessandro, 68-69).

La circostanza che per il medesimo credito potessero pendere più procedure esecutive incardinate dinanzi a diversi uffici giudiziari a seconda del luogo di residenza del terzo pignorato comportava, inoltre, per il debitore meno chances di ottenere la riduzione del pignoramento, come si legge nella stessa relazione all'art. 29 d.l. n. 132/2014.

Dopo la riforma, appare problematico il difetto di coordinamento dell'odierno art. 26-bis c.p.c. con il testo dell'art. 678 c.p.c. in tema di esecuzione del sequestro conservativo su beni mobili, disposizione che invero continua a prevedere che «il sequestro conservativo sui mobili e sui crediti si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento presso il debitore o presso terzi. In quest'ultimo caso il sequestrante deve, con l'atto di sequestro, citare il terzo a comparire davanti al tribunale del luogo di residenza del terzo stesso per rendere la dichiarazione di cui all'articolo 547». Una ragionevole soluzione interpretativa proposta in dottrina è quella di attribuire precipua valenza al generale richiamo da parte dello stesso art. 678 c.p.c. alle disposizioni in tema di pignoramento presso il debitore e presso terzi, con conseguente operatività dei nuovi criteri di collegamento della competenza per territorio anche nell'ipotesi in esame (D'Alessandro, 70).

Il luogo della residenza, domicilio, dimora o, nel caso di persone giuridiche, della sede del terzo continua ad avere valore per l'individuazione del giudice territorialmente competente soltanto nell'ipotesi in cui sia una persona giuridica continua a trovare applicazione, come rilevato, invece, nelle ipotesi in cui il debitore sia una pubblica amministrazione tra quelle indicate dall'art. 413, comma 5, c.p.c. Nella stessa Relazione illustrativa al d.l. n. 132/2014 la ratio di tale previsione è individuata nell'evitare la concentrazione presso alcuni Tribunali (ed in particolare di quello di Roma, sede dei Ministeri) delle espropriazioni presso terzi promosse contro le Pubbliche Amministrazioni: occorre sottolineare, però, che l'eccezione riguarda solo le amministrazioni individuate dall'art. 413, comma 5, c.p.c., che non contiene alcuna elencazione di pubbliche amministrazioni, sicché il riferimento deve intendersi effettuato alle ipotesi in cui il credito azionato nei confronti delle pubbliche amministrazioni dipenda da un rapporto di lavoro (Rossetti 2015).

Sulla problematica è recentemente intervenuta la Suprema Corte chiarendo che in tema di foro relativo all'espropriazione forzata di crediti, il rinvio che l'art. 26-bis, comma 1, c.p.c. fa all'art. 413, comma 5, dello stesso codice non concerne l'oggetto del credito per cui le P.A. sono debitrici (rapporti di lavoro alle loro dipendenze), bensì solo la qualità di esse e, dunque, la norma che a quegli effetti identifica tali Pubbliche Amministrazioni, che è l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Peraltro, ha precisato la Corte di legittimità nella medesima decisione, l'art. 26-bis, comma 1, c.p.c. quando allude alla disciplina di leggi speciali come idonea a stabilite il foro dell'esecuzione forzata per espropriazione di crediti, in danno delle p.a. di cui all'art. 413, comma 5, dello stesso codice, attribuisce alla regola desumibile dalla legge speciale il valore di regola esclusiva rispetto a quella fissata dallo stesso citato comma 1, con riferimento al luogo in cui il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (Cass. civ., n. 8172/2018, cfr. Baroncini, La competenza nell'espropriazione presso terzi a carico della P.A. quando il terzo pignorato è l'ente tesoriere in www.Ilprocessocivile.it, per la quale ne deriva che, dovendo tra le disposizioni di leggi speciali cui allude il suddetto comma 1 comprendersi quella dell'art. 1-bis della l. n. 720/1984, il significato del rinvio a tale norma deve intendersi nel senso che con esso si sia voluto far riferimento a detta previsione, sia in quanto individuatrice nel cassiere o tesoriere del soggetto (cd. debitor debitoris) che deve pagare per conto delle p.a., cui detta norma si applica, sia in quanto individuatrice del luogo del pagamento in quello di espletamento del servizio secondo gli accordi fra P.A. ed il cassiere o tesoriere; sicché tale luogo si deve considerare in via esclusiva come il foro dell'espropriazione presso terzi di crediti a carico di tali pubbliche amministrazioni, restando esclusa, per il caso che cassiere o tesoriere sia una persona giuridica, la possibilità di procedere all'esecuzione alternativamente anche nel luogo della sua sede.

Natura della competenza nell'esecuzione forzata

Nell'esecuzione esecuzione forzata, la competenza è funzionale ed inderogabile ex art. 28 c.p.c. (Cass. civ., n. 3615/2013), con conseguente rilevabilità d'ufficio da parte del giudice sino al giorno dell'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé.

La competenza sull'esecuzione ai sensi dell'art. 26, ed ora dell'art. 26-bis c.p.c., si inserisce nel sistema della competenza in generale e, dunque, esige la garanzia della possibilità del controllo immediato tramite il regolamento di competenza. Tale controllo, sulla base delle argomentazioni desumibili dall'art. 187 disp. att. c.p.c. si estrinseca in prima battuta non già direttamente sul provvedimento del giudice dell'esecuzione negativo della propria competenza o affermativo di essa, bensì, essendo impugnabile tale provvedimento con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. attraverso l'impugnazione con il regolamento di competenza necessario della pronuncia del giudice dell'opposizione agli atti esecutivi di accoglimento o di rigetto dell'opposizione agli atti e, quindi, rispettivamente, di dissenso dalla valutazione del giudice dell'esecuzione negativa o affermativa della propria competenza sull'esecuzione forzata oppure di condivisione di quella valutazione, dovendosi tanto la sentenza di accoglimento che di rigetto intendersi impugnabili ai sensi dell'art. 187 disp. att c.p.c., in quanto sentenze che decidono riguardo alla competenza sull'esecuzione forzata (Cass. civ., n. 8172/2018).

Per altro verso, occorre considerare che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 30-bis c.p.c., nella parte in cui si applica ai processi di esecuzione forzata promossa da o contro magistrati in servizio nel distretto di Corte d'appello comprendente l'ufficio giudiziario competente ai sensi dell'art. 26 c.p.c. (Corte cost., 12 novembre 2002, n.444). Pertanto, l'art. 30-bis c.p.c., che stabilisce la competenza per territorio delle "cause" in cui sono parte i magistrati, non trova applicazione in relazione all'art. 26 c.p.c. (ove le parole "causa" e "cause" non compaiono), relativo al foro dell'esecuzione, atteso che nei procedimenti di esecuzione forzata - tendenzialmente - si compiono attività non di giudizio, ma meramente materiali, rivolte a conformare il mondo reale a quello giuridico (cfr. Cass. civ., 10 gennaio 2003, n.274).

Riferimenti
  • D'Alessandro, Espropriazione presso terzi, in Processo civile efficiente e riduzione dell'arretrato a cura di Luiso, Torino 2014;
  • Giordano, L'espropriazione presso terzi, in La nuova espropriazione forzata a cura di Delle Donne, Bologna 2017, 477;
  • Rossetti S., Le espropriazioni presso terzi versione 2014: una riforma nel senso dell'efficienza, in Giustiziacivile.com, 2014.
Sommario