Legittimazione passiva nell'azione volta a far accertare la cessazione del vincolo di destinazione a portineria
06 Febbraio 2023
Massima
L'azione volta a far accertare la cessazione del vincolo di destinazione di un immobile, situato in uno stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, qualificabile come actio negatoria servitutis, in quanto tesa a negare l'esistenza di pesi sull'immobile costituente oggetto del diritto di proprietà, non costituisce un'azione che riguarda l'estensione del diritto di proprietà, o di comproprietà, dei singoli condomini, ma attiene all'accertamento ed osservanza dei divieti o dei limiti contrattuali di destinazione d'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva nell'àmbito di un condominio edilizio, sicchè l'unico legittimato passivo è il condominio, in persona dell'amministratore, senza necessità di estendere il contraddittorio ai singoli condomini, venendo in considerazione la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Il caso
All'esame del Supremo Collegio giungeva una sentenza della Corte d'Appello, la quale aveva dichiarato la nullità della sentenza del Tribunale e, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., aveva rimesso le parti davanti al giudice di primo grado per la riassunzione nei confronti dei singoli condomini del Condominio, quali litisconsorti. La causa originaria aveva ad oggetto la domanda principale proposta da un condomino, volta alla declaratoria della cessazione di validità ed efficacia del vincolo di destinazione a portineria di un locale di proprietà dell'attore, cui si contrapponeva la domanda riconvenzionale, spiegata dal Condominio, diretta ad accertare, di converso, il vincolo di destinazione di natura reale. Ad avviso della Corte territoriale, la causa concerneva l'estensione dei diritti spettanti ai condomini, con conseguente litisconsorzio necessario degli stessi. La questione
Si trattava di verificare, in ordine alla actio negatoria servitutis promossa dal condomino, se fosse legittimato passivo il solo Condominio (evocato in persona dell'amministratore), oppure se fosse necessaria la partecipazione in giudizio di tutti i condomini (in quanto litisconsorti necessari). Le soluzioni giuridiche
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondato il ricorso per cassazione proposto dal condomino, il quale, come originario attore, aveva, quindi, correttamente impostato la lite nei confronti del Condominio. Invero, secondo l'orientamento consolidato dei giudici di legittimità, la legittimazione passiva dell'amministratore di condominio per “qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio”, ex art. 1131, comma 2, c.c. - come, peraltro, autorevolmente delineata da Cass. civ., sez. un. 6 agosto 2010, n. 18331 - non concerne le domande incidenti sull'estensione del diritto di proprietà o comproprietà dei singoli, le quali devono, piuttosto, essere rivolte nei confronti di tutti i condomini, in quanto, in tali fattispecie, viene dedotto in giudizio “un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile”, su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale (argomentando anche da Cass. civ., sez. un., 13 novembre 2013, n. 25454). Il disposto dell'art. 1131 c.c. viene inteso, infatti, nel senso che il potere rappresentativo che spetta all'amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, rimanendone escluse, quindi, le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni stessi, e, cioè, sull'estensione del relativo diritto di condominio, affare che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini. In tal modo, si assicura anche la regolare corrispondenza tra le attribuzioni dispositive dell'amministratore e dell'assemblea e la legittimazione a far valere nel processo le rispettive posizioni dominicali (Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2020, n. 19566; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2019, n. 2279; Cass. civ., sez. II, 24 settembre 2013, n. 21826; Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1989, n. 4840). Orbene, la lite sottoposta allo scrutinio degli ermellini aveva ad oggetto il vincolo di destinazione ad alloggio del portiere di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva compresa in un condominio edilizio - in forza di convenzione risalente al lontano 1920 - vincolo che non era, però, sussumibile nella categoria delle obbligazioni propter rem, difettando il requisito della tipicità (così Cass. Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2018, n. 26987; argomentando anche da Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 1997, n. 8; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2014, n. 4572), e che poteva, viceversa, in quanto intesa a restringere permanentemente i poteri normalmente connessi alla proprietà di quel bene e ad assicurare correlativamente particolari vantaggi ed utilità alle altre unità immobiliari ed alle parti comuni, assumere carattere di realità, sì da inquadrarsi nello schema delle servitù. Tuttavia, rispetto alla domanda diretta ad accertare o a dichiarare estinto un vincolo di destinazione - nella specie, a portineria - gravante su un bene di proprietà esclusiva a vantaggio della proprietà condominiale, oppure anche rispetto ad un'azione confessoria o negatoria di servitù, trattandosi di lite concernente interessi comuni dei condomini, che non incide sul diritto di condominio (accrescendolo o riducendolo, con proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati), sussiste la legittimazione dell'amministratore del condominio ai sensi dell'art. 1131 c.c., la quale deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo all'esigenza di rendere più agevole ai terzi la costituzione in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini (Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2004, n. 919). In altri termini, la causa de qua - per quanto si evinceva dagli atti - non riguardava la verifica della proprietà esclusiva o della proprietà condominiale di un bene, e dunque non implicava un accertamento tra titoli di proprietà confliggenti fra loro, il quale altrimenti avrebbe dovuto imporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini. Le pretese dedotte in giudizio non richiedevano, quindi, di stabilire se un'unità immobiliare fosse comune, ai sensi dell'art. 1117, n. 2), c.c., perché destinata ad alloggio del portiere, al quale fine sarebbe occorso accertare se, all'atto della costituzione del condominio, vi fosse tale specifica destinazione al servizio in comune (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 22 giugno 2022, n. 20145). La lite era diretta, piuttosto, a verificare se l'immobile di (non controversa) proprietà esclusiva dell'attore risultasse gravato da una servitù consistente nel vincolo di destinazione ad alloggio del portiere per l'utilità delle altre unità immobiliari e delle parti comuni. Come in ogni causa che attiene all'accertamento ed all'osservanza dei divieti o dei limiti contrattuali di destinazione d'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva nell'àmbito di un condominio edilizio, sussiste, dunque - precisano i magistrati del Palazzaccio - la legittimazione processuale dell'amministratore, essendo in gioco “la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato” e l'interesse comune dei partecipanti alla comunione, cioè un interesse che costoro possono vantare solo in quanto tali, in antitesi con l'interesse individuale di un singolo condomino (in proposito, del resto, confidava la stessa difesa del Condominio, allorché aveva spiegato, per il tramite della rappresentanza dell'amministratore, la propria domanda riconvenzionale). Osservazioni
Come abbiamo visto sopra, ai sensi del comma 2 dell'art. 1131 c.c., l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente “le parti comuni dell'edificio”: a differenza della legittimazione attiva, che è - di regola, salvo ampliamenti da parte dell'assemblea o del regolamento, limitata alle questioni connesse alle sue funzioni istituzionali ex art. 1130 c.c., quella passiva riveste una portata generale, per cui, qualora il condominio assuma le vesti di convenuto, rispetto ad azioni promosse da terzi o da alcuno dei condomini che investano interessi comuni (in opposizione all'interesse particolare del singolo o di un estraneo) l'amministratore è passivamente legittimato a stare in giudizio, senza bisogno di autorizzazione da parte dell'assemblea (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1994, n. 8940; Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1986, n. 7256). Dunque, la norma de qua - senza distinguere le azioni esperibili direttamente nei confronti dell'amministratore come rappresentante della collettività dei condomini se di accertamento, costitutive o di condanna - deroga ai principi generali in tema di litisconsorzio, rendendo superflua l'evocazione in giudizio di tutti i contitolari del rapporto sostanziale controverso, ma unitario, al fine di agevolare in concreto l'iniziativa processuale del terzo estraneo al sodalizio (Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1999, n. 4845), che, altrimenti, in assenza di siffatta agevolazione, dovrebbe convenire in causa tutti i partecipanti o effettuare difficili, se non impossibili, ricerche di delibere o regolamenti per verificare se gli usuali poteri dell'amministratore siano stati limitati o estesi. Ad ogni buon conto, trattasi di legittimazione passiva concorrente con quella dei singoli condomini, nel senso che è in facoltà di chi agisce (condomino o terzo) nei confronti del condominio citare in giudizio l'amministratore - la cui legittimazione passiva si presenta priva del carattere obbligatorio - o tutti i partecipanti (v., per tutte, Cass. civ., sez. II, 19 aprile 2000, n. 5117). Va, peraltro, ribadito che, in ordine ai rapporti con l'assemblea, la legittimazione passiva dell'amministratore non è subordinata ad alcuna delibera autorizzativa, purché la controversia attenga a questioni concernenti gli interessi della collettività dei condomini (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2001, n. 3773; Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1997 n. 278); ne consegue che risulta irrilevante sia la mancanza ab initio di una delibera assembleare diretta ad autorizzare la costituzione in giudizio dell'amministratore, sia l'invalidità di un'eventuale delibera in tal senso, in quanto situazioni che sono insuscettibili di far venir meno la predetta legittimazione, e, quindi, l'amministratore non è tenuto ad informare l'assemblea anche per riceverne disposizioni in ordine alla concreta gestione della lite ed alla preparazione delle difese. In quest'ordine di concetti, dunque, ai fini dell'esatta perimetrazione della legittimazione passiva dell'amministratore, occorre soltanto stabilire se la controversia coinvolga interessi concernenti beni/impianti/servizi comuni dell'edificio condominiale, poiché, se, invece, la lite attenga ad interessi individuali o afferisca alle singole proprietà, verrebbe meno la rappresentanza processuale dell'amministratore, e la domanda de qua andrebbe proposta nei confronti del singolo partecipante al condominio. Va precisato, però, che la giurisprudenza è propensa ad interpretare estensivamente il concetto di “parti comuni” di cui all'art. 1131 citato, da intendersi non in senso meramente materiale, ma come riguardante anche tutti i rapporti giuridici connessi all'esistenza di parti comuni dell'edificio. In questa prospettiva, l'amministratore ha la legittimazione passiva con riferimento ad azioni che abbiano ad oggetto parti materiali comunque destinate all'uso comune, anche se appartenenti alla proprietà esclusiva di uno solo dei condomini o di un terzo, ed anche se ubicate all'esterno dello stabile condominiale; o relativamente a rapporti giuridici originati dall'esistenza delle dette parti comuni, in quanto attinenti all'organizzazione ed all'amministrazione del condominio, nonché al regime dei servizi comuni; oppure ogni qual volta venga in rilievo l'interesse comune dei partecipanti alla comunione, in antitesi con l'interesse individuale di un singolo condomino o di un terzo estraneo alla stessa (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2002, n. 15794; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359). In particolare - venendo a fattispecie più vicine a quella esaminata dal Supremo Collegio con la sentenza in commento - l'amministratore ha la legittimazione passiva in quelle controversie nelle quali il condominio sia stato convenuto in giudizio a seguito delle azioni promosse da terzi o dagli stessi partecipanti alla comunione volte all'accertamento di diritti reali, come ad esempio nelle azioni di rivendicazione (Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2001, n. 10828; Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1999, n. 4845; Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 1988 n. 2129). Nello specifico, l'amministratore può legittimamente rappresentare il condominio nelle azioni negatorie e confessorie servitutis, in quanto la legittimazione passiva sussiste qualora sorga controversia sull'esistenza e sull'estensione di servitù prediali costituite a favore o carico dello stabile nel suo complesso o di una parte di esso, atteso che le servitù a vantaggio dell'edificio in condominio, contraddistinte dal fatto che l'utilitas da esse procurate accede all'intero stabile e non ai singoli appartamenti, vengono esercitate indistintamente da tutti i condomini nel loro comune interesse e, pertanto, pur appartenendo a costoro e non al condominio in quanto tale, integrano un bene comune inerente la rappresentanza processuale dell'amministratore ex art. 1131, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1987, n. 2010; Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1984, n. 6396). A proposito di azioni reali, si è, inoltre, riconosciuta la legittimazione passiva dell'amministratore riguardo alle azioni possessorie - promosse da un condomino o da un terzo - in ordine a lesioni del possesso che siano riferibili alla collettività dei condomini (e non al singolo partecipante), o comunque costituiscano l'attuazione degli interessi propri del condominio (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2003 n. 7958, sulla collocazione di barriere metalliche disposta dall'amministratore quale esecutore della maggioranza dei condomini); in tal senso, si è affermata tale legittimazione circa l'azione di spoglio esperita da un terzo, in relazione ad un terreno ubicato in prossimità dello stabile condominiale ed a seguito dei lavori intrapresi dai condomini ai fini della sistemazione a verde dell'area (Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1982, n. 2091), nonché circa l'azione di manutenzione proposta dal condomino contro il provvedimento con cui l'amministratore ha limitato il compossesso sul bene comune, in particolare mediante la chiusura, durante le ore diurne, del portone di accesso all'edificio ed al cortile comune, antecedentemente limitata alle sole ore notturne (Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1974, n. 804). Riferimenti
Triola, La legittimazione passiva dell'amministratore, in Amministrare immobili, 2017, fasc. 214, 7; Monegat, La legittimazione passiva dell'amministratore non ha limiti, in Immobili & proprietà, 2015, 53; Scarpa, Rappresentanza dell'amministratore e legittimazione processuale, in Immobili & proprietà, 2012, 297; Vidiri, I poteri e la legittimazione processuale dell'amministratore di condominio: risoluzione di un contrasto e certezza del diritto, in Corr. giur., 2011, 193; Tortorici, La rappresentanza processuale passiva dell'amministratore, in Immobili & proprietà, 2011, 355; Scarongella, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore di condominio, in Contratti, 2011, 552; Piombo, L'incerta sorte dei poteri rappresentativi processuali dell'amministratore di condominio dopo l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, in Foro it., 2010, I, 3364; Celeste, Le Sezioni Unite ridimensionano la legittimazione passiva dell'amministrazione del condominio bilanciandola con il potere decisionale dell'assemblea, in Foro it., 2010, I, 3361. |