Dal Decreto Trasparenza al Decreto Lavoro: informativa per relationem e informative afferenti ai sistemi di gestione del rapporto integralmente automatizzati

15 Giugno 2023

Il Decreto lavoro ha introdotto alcune modifiche al Decreto trasparenza volte a soddisfare l'esigenza, subito emersa in ambito aziendale, di evitare eccessivi appesantimenti in ordine alle modalità di attuazione della informativa al lavoratore sui contenuti generali del rapporto di lavoro, reintroducendo la possibilità di una informazione per relationem, ossia mediante rinvio alla normativa e ai contratti collettivi applicabili. Possibilità già prevista nel precedente sistema normativo e ritenuta ammissibile dalla stessa Direttiva UE. Il Decreto Lavoro limita l'obbligo di informativa solo all'ipotesi di utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio integralmente automatizzati, escluse quindi le situazioni in cui l'”interfaccia” nello svolgimento del rapporto resta un essere umano, anche se questi si avvalga strumentalmente di tali sistemi.
Obblighi di informativa scritta e forma del contratto di lavoro

Nel prendere in esame l'obbligo di informativa scritta ai lavoratori sui contenuti contrattuali, di cui al D.lgs. n. 152/1997, integrato dal D.lgs. n. 104/2022 e, da ultimo, modificato dal D.l. n. 48/2023 (art. 26), pare opportuno anzitutto rammentare che lo stesso nulla ha a che vedere con la tematica dei requisiti formali del contratto di lavoro.

Tematica per la quale va fatto riferimento, in termini complessivi, all'art. 1325 n. 4), cod. civ. che annovera la forma fra gli elementi essenziali del contratto (solo) “quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”.

È d'altra parte noto che per la tipologia standard del contratto di lavoro subordinato, quello a tempo indeterminato, vale la regola della libertà di forma, mentre il requisito formale – l'atto scritto – è richiesto dalla legge per i contratti di lavoro non standard o atipici (anzitutto il contratto a tempo determinato), proprio perché rappresentano una deviazione dal modello contrattuale, a tempo indeterminato, che il legislatore espressamente indica quale tipo comune di rapporto di lavoro (art. 1, comma 1, D.lgs. n. 81/2015).

Nei fatti, anche in applicazione di quanto usualmente previsto dalla contrattazione collettiva, nello stesso rapporto di lavoro a tempo indeterminato prevale l'adozione della scrittura privata, nella quale vengono identificate, oltre le parti contrattuali, i contenuti principali delle reciproche obbligazioni.

Ciò ricordato, l'esigenza di porre a carico delle aziende un'attività di informativa (scritta) in favore della “parte debole” del rapporto di lavoro è venuta a contrassegnare l'acquis normativo europeo all'inizio degli anni Novanta.

Con la Direttiva 91/533/CEE sono state poste in essere un insieme di regole al riguardo, recepite in Italia con il D.lgs. n. 152/1997: si tratta, per quanto detto, di obblighi di informativa al lavoratore che non incidono sulla sostanza dell'impegno contrattuale, ma la cui violazione comporta sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro inadempiente.

Finalità dell'obbligo di informativa

L'obiettivo, quindi, non è quello di cementare e rendere più certo – sulla base del requisito formale – il vincolo fra le parti, ma di accrescere, nel lavoratore, il livello di consapevolezza dei principali diritti (e obblighi) che derivano dalla normativa legale e collettiva applicabile al rapporto, in riferimento sia alla fase della sua instaurazione, sia a quella del suo svolgimento.

Vero è che un'informativa sulla disciplina del rapporto di lavoro ha, di per sé, conseguenze limitate nella sfera giuridica del destinatario, nel senso che l'effettiva “acquisizione” delle materie oggetto di informativa presuppone un impegno attivo del lavoratore ad approfondire un insieme di questioni spesso articolato e di non facile decifrazione. Ciò in un contesto - va incidentalmente osservato - in cui è la mediazione delle Organizzazioni sindacali a poter promuovere forme di più ampia consapevolezza dei complessivi contenuti di disciplina.

Anche in considerazione di tali aspetti, un equilibrato bilanciamento delle posizioni delle parti del contratto individuale di lavoro porta a ritenere, in base ai principi di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.), ingiustificate soluzioni che richiedano un impegno “sproporzionato” della parte datoriale nella attuazione di obblighi che, in ogni caso, secondo quanto rilevato, hanno un rilievo strumentale.

In definitiva, è giustificato ritenere che l'obbligo di informativa vada adempiuto con un impegno datoriale conforme al “principio del minimo sforzo”: cioè, attraverso quello sforzo che risulta necessario, ma anche sufficiente, per mettere il lavoratore nella condizione di poter accedere alle e reperire le fonti regolative dei vari aspetti del rapporto.

Alla luce di ciò è possibile osservare che il recente D.L. n. 48/2023 effettua un giustificato revirement rispetto all'appesantimento – e alla deviazione dal principio del minimo sforzo – realizzato con il Decreto Trasparenza D.lgs. n. 104 del 2022.

Abbandono e ritorno alla informativa per relationem

Un breve excursus dell'evoluzione della normativa permette di registrare come con il Decreto Lavoro, salva l'estensione soggettiva e l'adeguamento dell'obbligo di informativa in relazione a una nuova e più complessa realtà, si sia tornati, quanto agli aspetti considerati, a una soluzione sostanzialmente analoga a quella vigente nel 1997.

Il testo originario del Decreto n. 152, in recepimento della normativa europea del 1991, individuava i dieci contenuti (art. 1, comma 1, dalla lett. a) alla lett. l) che dovevano formare oggetto dell'informativa e, per quel che qui interessa, riconosceva la possibilità di effettuarla mediante un semplice rinvio alla contrattazione collettiva di riferimento.

Restavano ovviamente esclusi dalla possibilità del rinvio alla normativa di riferimento i profili afferenti alla concreta individuazione del singolo contratto di lavoro (identità delle parti, luogo di lavoro e sede e domicilio aziendale, durata e tipo di rapporto, inquadramento e simili), per l'evidente motivo che, rispetto ad essi, la contrattazione collettiva nulla può dire (1).

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(1) Stante la già rileva, usuale adozione della forma scritta nella stesura del contratto di lavoro, si tratta di profili che risulterebbero comunque riportati, anche se non vi fosse l'obbligo di informativa, in quanto identificano il contenuto minimo negoziale.

Segue: dal Decreto trasparenza al Decreto Lavoro

Detto ciò, il Legislatore del Decreto Trasparenza, nel 2022, nel recepire la nuova Direttiva UE in materia (n. 2019/1152), si è conformato all'obiettivo, in essa indicato, di adeguare criteri, modalità e ampiezza dell'informativa alla luce di un mercato del lavoro caratterizzato da profondi cambiamenti. Ciò che ha significato anzitutto estenderne l'ambito di applicazione a forme di lavoro non subordinato, escluse soltanto le attività genuinamente autonome.

In ragione di ciò, si è fra l'altro realizzata una estensione dei contenuti contrattuali oggetto di informativa: il novellato art. 1, comma 1, D.lgs. n. 152 ne individua diciassette, dalla lett. a) alla lett. s). Per quanto qui considerato, però, la principale novità è rappresentata dall'assenza di un espresso richiamo alla possibilità di adempiere all'obbligo di informazione per relationem, ossia mediante rinvio ai contratti collettivi, sebbene tale modalità sia stata indicata come adeguata dal legislatore europeo (art. 4, par. 3, Dir. 1152 cit.).

Tale mancata previsione aveva subito sollevato generale sorpresa e perplessità, tanto da sollecitare, di fatto, un intervento “riparatore” in sede di prima ricostruzione della materia, da parte dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Con la circolare n. 4 del 2022, l'INL, infatti – pur constatando come nella legge non vi fosse più un espresso riferimento alla possibilità di adempimento per relationem – ha affermato che “fermo restando che con la consegna del contratto individuale di lavoro o di copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro il lavoratore deve essere già informato sui principali contenuti degli istituti di cui all'art. 1 (ad es. orario di lavoro giornaliero per n. giorni alla settimana; importo retribuzione mensile per numero delle mensilità ecc.), la relativa disciplina di dettaglio potrà essere comunicata attraverso il rinvio al contratto collettivo applicato o ad altri documenti aziendali qualora gli stessi vengano contestualmente consegnati al lavoratore ovvero messi a disposizione secondo le modalità di prassi aziendale”.

Tale apprezzabile sforzo, risultava tuttavia debole a livello interpretativo: il mancato richiamo, nel decreto legislativo attuativo, del “criterio per relationem” enunciato nella Direttiva attuata, sembra infatti da intendere quale volontà di non validare, nel nuovo contesto, tale modalità, precedentemente ammessa.

Ecco, quindi, che al fine di superare incertezze applicative si è palesata l'opportunità dell'intervento legislativo più recente di cui all'art. 26 D.L. n. 48/2023.

Quest'ultimo, ulteriormente modificando l'art. 1 D.lgs. n. 152/1997 con l'inserimento di un comma 5-bis, (re)introduce la possibilità di comunicare al lavoratore un ampio numero di informazioni – quelle di cui alle lettere h), i), l), m), n), o), p) – attraverso “l'indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie”.

Il confronto fra la locuzione introdotta dal D.L. n. 48 per esprimere il rinvio per relationem (“indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo”) e quella adoperata nel testo originario dell'art. 1 D.lgs. n. 152/1997 (“rinvio alle norme del contratto collettivo applicato”), sembra confermare quanto osservato da più parti in merito alla necessità, nell'attuale contesto, di indicare in un modo dettagliato le fonti di disciplina dei vari contenuti del rapporto (oltretutto sembrerebbe anche quelle legislative). Resta da chiarire, in sede di interpretazione, se l'uso della disgiuntiva “o” stia a significare che il datore di lavoro può scegliere tra l'una e l'altra fonte (normativa e contrattuale) o se, come da alcuni sostenuto, debba attribuirsi alla fonte contrattuale comunque una funzione integrativa del dettato di legge.

Nell'assolvimento di tale obbligo, è da ritenere che le aziende (o i loro consulenti) potranno elaborare modalità informatiche di linkatura al corpus normativo, legale e contrattuale, di riferimento, in sede di attuazione di quanto previsto dal nuovo art. 1, comma 6-bis, D.Lgs. n. 152 cit. (introdotto anch'esso dal D.L. n. 48/2023), laddove nel sancire un obbligo di consegna o messa a disposizione del personale della documentazione di supporto all'informativa, ne prevede l'attuazione anche “mediante pubblicazione sul sito web”.

Algoritmi, lavoro e obbligo di informativa

La maggiore novità nella materia è, comunque, senz'altro quella recata dall'art. 1-bis D.lgs. n. 152/1997 – introdotto dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 104/2022 – afferente agli “ulteriori obblighi di informativa nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”.

Mentre, gli obblighi di informazione sin qui enunciati presentano - con gli ovvi adattamenti del caso - una sostanziale continuità con quelli in vigore già venticinque anni fa, l'informativa sui sistemi decisionali è testimone di aspetti profondamente innovativi, emersi negli ultimi anni e dei quali non si è ancora pienamente appalesato quanto possano contribuire, come sembra, a cambiamenti nello stesso “Dna dei rapporti di lavoro”.

In questo caso, infatti, l'obbligo di informativa risponde a esigenze profondamente diverse che non hanno a che fare con la piena accessibilità e conoscibilità, per il lavoratore, dei contenuti normativi del suo rapporto di lavoro.

Si tratta, invece, di far sapere, in primis, all'interessato se il suo rapporto ha svolgimento, nei suoi vari aspetti (indicati dall'art. 1-bis, comma 1, cit.), tramite sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati, che cioè elaborano in autonomia, sulla base di algoritmi sempre più sofisticati e predittivi, decisioni e valutazioni.

Nel qual caso, il datore di lavoro è chiamato a un ampio e complesso adempimento informativo in favore del lavoratore ai sensi dell'art. 1-bis cit., comma 2, lett. da a) a f).

L'informativa riguarda infatti gli aspetti del rapporto interessati dai sistemi automatizzati; gli scopi e finalità perseguiti da tali sistemi; la loro logica di funzionamento e le loro finalità; le modalità di programmazione e addestramento dei sistemi, inclusi meccanismi di valutazione delle prestazioni; le misure di controllo e correzione e livelli di accuratezza, dei medesimi, ecc.

Pare evidente che, qui, per la prima volta il legislatore cerca di affrontare il problema degli squilibri che si verificano quando le decisioni sullo svolgimento del rapporto di lavoro complessivamente inteso sono assunte non (o non direttamente) da un essere umano ma da una “macchina” secondo finalità, modi, criteri, non dichiarati. Ecco, quindi, la necessità di imporre al datore di lavoro o committente un obbligo di disclosure ampio e complessivo.

Si tratta di un primo approccio legislativo a una materia assai delicata e complessa, che si incrocia con le questioni, altrettanto delicate e complesse, afferenti all'art. 4 Stat. Lav. (appositamente richiamato dall'art. 1-bis cit.) e alla tutela della privacy.

In tal senso, è da valutare positivamente il fatto che, salvo successive evoluzioni e approdi nella materia, il D.l. n. 48/2023, ha chiarito – attraverso apposita modifica – che il considerato obbligo di informativa entra in gioco solo nel caso di utilizzo di sistemi decisionali e di monitoraggio integralmente automatizzati, escluse quindi le situazioni in cui l'”interfaccia” nello svolgimento del rapporto resta un essere umano, anche se questi si avvalga strumentalmente di tali sistemi.

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