Nuovo episodio del “Caso Zorro”: la parodia viola il diritto d’autore e di marchio?

02 Maggio 2023

La Corte di Cassazione ha affrontato la questione della liceità della parodia dell'opera o del personaggio creato da altri, definendone i limiti e affermando che è necessario rispettare un giusto equilibrio tra i diritti dell’autore e la libertà di espressione.

Massime

In tema di diritto d’autore, la parodia costituisce un atto umoristico e canzonatorio che si caratterizza per evocare un’opera, o anche un personaggio di fantasia e non richiede un proprio carattere originale, diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all’opera o al personaggio che sono parodiati.

In tema di diritto di autore, la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell’opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell’autore della parodia stessa; in tal senso, la ripresa di contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell’opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l’utilizzazione economica dei medesimi.

Il caso

Nel 2007 la Compagnia Generale di Distribuzione S.p.A. (d'ora in poi "CO.GE.DI.”) diffondeva uno spot pubblicitario nel quale il celebre personaggio “Zorro”, rappresentato in chiave parodistica, pubblicizzava l'acqua “Brio Blu”. La società Zorro Productions Inc., deducendo di essere titolare dei diritti di sfruttamento del personaggio Zorro nonché dei marchi incentrati su tale figura letteraria – creata dallo scrittore Johnston McCulley – conveniva in giudizio la CO.GE.DI. lamentando la violazione dei diritti d'autore sul personaggio Zorro e quelli relativi ai marchi registrati, con relativo risarcimento del danno. La CO.GE.DI. chiedeva in via riconvenzionale l'accertamento della caduta in pubblico dominio di tutte le opere create prima del 1951 dal suddetto scrittore e decaduti per non uso, limitatamente alle bevande analcoliche, i marchi azionati dall'attrice.

Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva, accertava la violazione dei diritti di privativa fatti valere dall'attrice tramite la diffusione della campagna pubblicitaria sopra descritta. La pronuncia veniva impugnata da entrambe le parti.

La Corte d'Appello, in riforma di quanto stabilito dal giudice di prime cure, respingeva tutte le domande dell'attrice accertando, con efficacia assorbente rispetto a ogni altra questione, la caduta in pubblico dominio del personaggio di Zorro.

La sentenza veniva annullata dalla Cassazione (Cass. 3 gennaio 2017 n. 32), che escludeva la caduta in pubblico dominio del personaggio di Zorro. La Corte a tal proposito ricordava che, in forza della Convenzione di Ginevra del 1952, le opere di cittadini statunitensi – come Johnston McCulley – godono della medesima protezione prevista dall'art. 25 L. 633/1941 (c.d. Legge sul Diritto d'Autore), vale a dire fino al settantesimo anno solare dalla morte dell'autore, salvando così i diritti d'autore azionati in causa dalla Zorro Production Inc.

Riassunto il giudizio avanti alla Corte capitolina, quest'ultima accertava la violazione dei diritti d'autore sul personaggio Zorro da parte di CO.GE.DI. a causa dell'illecita imitazione servile del personaggio di fantasia, ritenuta sussistente sebbene nello spot fosse stata messa in atto una mera parodia di tale personaggio – non giustificata da quanto previsto all'art. 5 c. 3 lett. k Dir. 2001/29/CE (c.d. Direttiva Infosoc) che, secondo la Corte, non poteva trovare attuazione per via del suo mancato recepimento in italia – e, al contrario, escludeva la contraffazione di marchio sul presupposto che il richiamo al personaggio suddetto venisse operato in un contesto narrativo, senza alcun intento distintivo.

La Corte escludeva altresì qualunque ipotesi di concorrenza sleale, non essendo oggettivamente rilevabile all'interno dello spot né un'opera di appropriazione dell'attività di valorizzazione del personaggio effettuata nel tempo dalla Zorro Productions Inc., né una condotta finalizzata al danneggiamento di quest'ultima.

CO.GE.DI. ricorreva contro tale decisione in via principale e anche Zorro Productions Inc. ricorreva contro la stessa in via incidentale.

Le questioni

Le questioni giuridiche affrontate dalla Suprema Corte sono essenzialmente due.

La prima riguarda la possibilità di utilizzare o rappresentare, in chiave parodistica, un personaggio coperto da diritto d’autore di un terzo soggetto senza violarne i diritti allo sfruttamento vantati dal titolare e, in caso di risposta positiva, entro quali limiti.

La seconda è comprendere se l’uso in chiave parodistica – quindi non in funzione distintiva – di un marchio notorio costituisca un fenomeno di contraffazione e di concorrenza sleale in danno al titolare.

Le soluzioni giuridiche

La Corte, innanzitutto, ricorda come il personaggio di fantasia possa essere tutelato, anche dal diritto d'autore, indipendentemente dall'opera in cui esso si colloca (si veda, ad esempio, Trib. Torino 8 aprile 2005).

Ciò detto, la Corte sottolinea che, sebbene il legislatore non abbia recepito a livello nazionale l'art. 5 c. 3 lett. k Dir. 2001/29/CE, l'eccezione parodistica all'utilizzo di un personaggio di fantasia sarebbe comunque previsto dell'ordinamento italiano: essa è da ricondursi nella disciplina di cui all'art. 70 L. 633/1941, in quanto la parodia deve essere intesa quale espressione del diritto di critica e discussione dell'opera protetta.

La Corte quindi ricostruisce il carattere essenziale della parodia: esso sarebbe da ricercarsi nel costante richiamo all'opera parodiata, che viene riportata alla mente dello spettatore per poi permettere alla parodia di discostarsene nettamente. La parodia, dunque, si sostanzierebbe nella trasmissione di un messaggio radicalmente differente da quello veicolato dal personaggio originale. Del resto, sottolinea la Corte, è evidente che chi reinterpreta l'opera tramite la parodia sta di fatto veicolando un messaggio differente al pubblico, caratterizzato dall'infusione di una nuova e diversa vitalità dell'opera imitata, anche senza molte e grandi variazioni di forma. Perciò l'autore della parodia deve necessariamente accostare il pubblico al personaggio originale, per rimodellarne il messaggio trasmesso in una chiave nuova: a fronte di ciò, la parodia è per sua stessa natura contraddistinta da un inevitabile e ineliminabile carattere di parassitismo rispetto all'opera parodiata.

Ulteriore conclusione a cui la Corte giunge sulla base di tale ricostruzione è che la parodia non può ricondursi nell'alveo delle elaborazioni creative disciplinate dall'art. 4 L. 633/1941, in quanto essa non si pone in “relazione di continuità” con l'opera originale, ma integra piuttosto quello che la Corte definisce come “rovesciamento concettuale” rispetto al messaggio dell'opera originale. La parodia, dunque, non è il frutto dell'assenso dell'autore all'utilizzazione economica del personaggio di fantasia in chiave parodistica previsto dall'art. 18 L. 633/1941 anche perché difficilmente l'autore dell'opera originaria concederebbe il consenso allo sfruttamento economico del travisamento parodistico dei contenuti della propria opera, specie se caratterizzata toni seri o poco adatti a ciò. Piuttosto, la tutela della parodia è da ricercarsi negli artt. 21 e 33 Cost., che tutelano le forme di espressione e manifestazione del pensiero.

Delineati i tratti essenziali della parodia e confermato che essa è lecitamente utilizzabile, il problema è quello di stabilire in che limiti il richiamo al personaggio di fantasia è possibile senza violare i diritti d'autore dell'opera originaria. Sul punto la Cassazione, dopo aver chiarito che tale giudizio non può basarsi sulla presenza/assenza di un agganciamento alle caratteristiche essenziali dell'opera originale – perché, come già detto, necessariamente presenti nell'opera parodistica – osserva come il criterio da utilizzare per tale valutazione sia quello del bilanciamento tra i diritti del soggetto titolare dello sfruttamento dell'opera e la libertà di espressione dell'autore della parodia. In altre parole, la ripresa delle caratteristiche dell'opera originale è giustificata nei limiti dettati dall'uso parodistico e a condizione che tale uso parodistico non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell'opera o del personaggio o non costituisca una forma di concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera originaria.

Per quanto riguarda l'uso parodistico del marchio notorio altrui, la Cassazione ribadisce come il fulcro dell'analisi debba concentrarsi sulla legittimazione per il titolare di un marchio registrato di opporsi allo sfruttamento del segno senza scopi distintivi, diritto apparentemente non riconosciuto dall'art. 20 c. 1 D.Lgs. 30/2005 (c.d. codice della proprietà industriale). Ciò nonostante la Corte, seguendo l'opinione della giurisprudenza europea in argomento, sottolinea come la circostanza che un segno venga percepito dal pubblico come ornamentale o parodistico non impedisca al titolare di un marchio notorio di vietarne l'utilizzo nel caso in cui il grado di somiglianza tra i segni sia tale da indurre il pubblico ad associare il segno parodiato al marchio notorio. Sulla base di tale presupposto la Corte osserva come ciò che rileva è che l'accostamento tra segni sia in grado di incidere sulla percezione, da parte dell'utente, dei messaggi comunicati dal marchio di cui si invoca la violazione. Dunque, in caso di rappresentazione parodistica del marchio non può escludersi a priori un possibile agganciamento parassitario al marchio notorio registrato, proprio perché l'evocazione caricaturale di tale marchio, che approfitta della sua rinomanza e spiccata capacità distintiva, crea un legame tra il messaggio comunicato dal marchio notorio e quello parodiato.  

Osservazioni

La pronuncia in commento analizza un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo il quale l'eccezione parodistica deve intendersi quale corollario dei diritti di manifestazione ed espressione del pensiero, costituzionalmente garantiti. Nell'ordinamento statutario, pur in assenza di un apposito intervento legislativo che ne permettesse un corretto inquadramento all'interno della disciplina positiva tramite il recepimento dell' all'art. 5 c. 3 lett. k Dir. 2001/29/CE, l'uso parodistico viene ricondotto nel disposto di cui all'art. 70 L. 633/1941 quale estensione del diritto alla critica e alla discussione dell'opera o del personaggio di fantasia tutelato dal diritto d'autore.

È certamente apprezzabile il tentativo della Cassazione di colmare il vuoto normativo creato dal mancato recepimento della Dir. 2001/29/CE ma, ciò nonostante, l'inquadramento dell'eccezione parodistica nell'art. 70 L. 633/1941 desta qualche perplessità. In particolare, appare forzato ricomprendere il concetto di parodia, inteso come ripresa integrale del personaggio di fantasia ma latore di un messaggio antitetico rispetto all'originale, all'interno delle eccezioni previste all'art. 70 L. 633/1941, che disciplina i casi di riproduzione solo parziale dell'opera oppure quelli di rielaborazione creativa dell'opera: entrambi questi fenomeni, tuttavia, si pongono in relazione di continuità con l'opera stessa, continuità che invece non si ritrova nell'opera parodiata. Inoltre l'uso di un personaggio di fantasia parodiato non sembra scriminabile per ragioni di critica o discussione, specie nei casi in cui il messaggio veicolato dalla parodia risulta totalmente slegato anche dal contesto culturale o letterario all'interno del quale è stato concepito. Al contrario, la parodia appare rappresentare un caso di uso creativo del personaggio di fantasia sui generis, caratterizzato dal “rovesciamento concettuale” del messaggio che porta al pubblico rispetto all'originale, che la rende del tutto peculiare e, forse, non inquadrabile nelle eccezioni di cui all'art. 70 L. 633/1941.

Alle conclusioni formulate della Cassazione pare preferirsi, per colmare il suddetto vuoto normativo, un intervento ad hoc del legislatore sul punto che, recependo le indicazioni della Direttiva Infosoc, inserisca l'eccezione parodistica all'interno della legge d'autore.

Appare invece condivisibile il richiamo della Cassazione al criterio del necessario bilanciamento tra diritti del titolare di sfruttamento dell'opera (o del personaggio di fantasia) e libertà di espressione e manifestazione del pensiero dell'autore della parodia allo scopo di stabilire quando la parodia costituisca una violazione del diritto di sfruttamento del personaggio di fantasia. Tale principio era già stato dettato dalla Corte di Giustizia (C.Giust. UE 3 settembre 2014 n. 201 - caso C-201/13), resa nel corso di un procedimento avente ad oggetto una rappresentazione parodistica di un politico belga sulla copertina di un album a fumetti.

Sarà compito del giudice merito quindi, in applicazione di tali principi, determinare se l'utilizzo del personaggio di Zorro nel caso in discussione sia idoneo a violare il diritto d'autore vantato dal titolare su tale personaggio.

In ultimo, appare condivisibile quanto osservato dalla Cassazione relativamente alla contraffazione del marchio Zorro. Come più volte sottolineato dalla giurisprudenza e dalla dottrina in argomento, per aversi contraffazione di marchio non è necessario che il segno sia utilizzato per contraddistinguere un particolare prodotto o servizio, essendo sufficiente che del marchio si faccia anche solo un uso ornamentale. Ciò che conta per l'accertamento del fenomeno contraffattorio è che sussista un accostamento tra i segni che sia idoneo ad incidere sulla percezione, da parte dell'utente finale, dei messaggi comunicati dal marchio registrato di cui si lamenta l'indebito sfruttamento. Nel caso in cui si crei un legame tra messaggio veicolato dal segno notorio e quello comunicato dal segno parodiato, sussisterà altresì una condotta di concorrenza sleale in violazione dell'art. 2598 c.c., quanto meno nella forma della concorrenza sleale cosiddetta “parassitaria”.

Una chiosa finale: la presenza di marchi aventi ad oggetto il personaggio di Zorro potrebbe rivelarsi cruciale nel caso in commento. Entro qualche anno, infatti, spirerà il diritto d'autore sul personaggio Zorro e, a quel punto, l'unica tutela invocabile nell'eventuale causa (se in corso) sarà quella derivante dai diritti di marchio registrato che, come noto, hanno durata potenzialmente illimitata temporalmente.

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