Negoziazione assistita nelle controversie di lavoro: le principali novità
Cristina Asprella
23 Giugno 2023
L'art. 2-ter del d.l. n. 132/2014 rinvia genericamente alle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. che vengono tutte ricomprese nell'ambito di applicazione della negoziazione assistita in materia di controversie di lavoro. Ai sensi di tale rinvio, rientrano nella possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita le materie ivi previste.
Premessa
Ai sensi dell'art. 2-ter del d.l.n. 132/2014, per le controversie di cui all'art. 409 c.p.c., ferme le previsioni dell'art. 412-ter c.p.c., le parti possono utilizzare la negoziazione assistita, senza che ciò sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può anche essere assistita da un consulente del lavoro. All'accordo che si raggiunga al termine della procedura di negoziazione assistita la norma prevede che si applichi l'art. 2113, comma 4., c.c. L'accordo in parola è trasmesso, a cura di una delle parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi previsti dall'art. 76 del d.lgs. n. 276/2003.
La norma, di nuovo conio, è stata inserita dall'art. 9, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 149/2022ha effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data.
L'estensione della negoziazione assistita anche alle controversie laburistiche era in cantiere già da tempo e, infatti, originariamente disciplinato nella prima stesura del d.l. n. 132/2014 era stato poi espunto in sede di conversione dall'art. 2, co. 2, lett. b) della legge di conversione, in ossequio al principio secondo cui la negoziazione assistita non poteva riguardare diritti indisponibili o cause di lavoro. La reintroduzione dell'istituto nelle controversie lavoristiche è dovuta all'opera della Commissione Luiso grazie alla quale l'art. 1, comma 4, lett. q) della legge delega n. 206/2021 ha previsto nuovamente la possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita nelle controversie di lavoro sotto condizione dell'assistenza tecnica di un avvocato e con la garanzia dell'applicazione dell'art. 2113, comma 4 c.c.
La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro e la clausola di esclusione dell'art. 412-ter c.p.c.
L'art. 2-ter del d.l. n. 132/2014, come visto, rinvia genericamente alle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. che vengono tutte ricomprese nell'ambito di applicazione della negoziazione assistita in materia di controversie di lavoro. Ai sensi di tale rinvio, rientrano nella possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita le materie ivi previste e, pertanto, i rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio dell'impresa (secondo la dicitura dell'art. 409 c.p.c.), le controversie relative ai rapporti di pubblico impiego, le controversie di lavoro nautico, le controversie relative ai rapporti di agenzia e ad altri rapporti di collaborazione, compresi quelli c.d. di parasubordinazione e le controversie relative ai dipendenti degli enti pubblici economici. Dato il rinvio recettizio all'art. 409 c.p.c. se ne devono ritenere escluse le controversie che già ora non rientrano nella competenza del giudice del lavoro come le controversie di cui all'art. 409, n. 2 c.p.c., ossia la mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, affitto a coltivatore diretto e altri contratti agrari che sono devolute alle sezioni specializzate agrarie. Infatti per queste ultime controversie l'art. 6 del d.lgs n. 150/2011 stabilisce che le controversie in materia di contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto sono regolate dal rito del lavoro ove non diversamente disposto dall'articolo; la stessa norma al co. 2 prevede che tali controversie rientrano nella competenza delle sezioni specializzate agrarie di cui alla l. n. 320/1963. Di conseguenza il rinvio dell'art. 409, n. 2, c.p.c. a tali controversie è ormai privo di efficacia poiché le controversie agrarie sono tutte rimesse alla competenza delle sezioni specializzate agrarie.
Si è evidenziato come il rinvio operato dalla norma dell'art. 2-ter del d.l. n. 132/2014 all'elenco contenuto nell'art. 409 c.p.c. lasci presumere una possibile applicazione pro-futuro della norma anche alle controversie che, pur trattate secondo il rito del lavoro, sono ora attribuite alle sezioni specializzate agrarie (Lombardi, La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro, in questo Portale, 24 febbraio 2023).
La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro non esclude l'applicazione degli altri istituti previsti dal codice di rito e aventi base convenzionale. Infatti l'art. 2-ter, cit., come visto, stabilisce che restano ferme le previsioni dell'art. 412-ter c.p.c., norma che stabilisce che la conciliazione e l'arbitrato, nelle materie di cui all'art. 409 c.p.c., possono essere svolti “altresì” presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Si è sottolineato come non sia chiaro il motivo per cui il legislatore della riforma 2022 abbia richiamato solo l'art. 412-ter c.p.c. Ciò sia perché non si tratta dell'unica norma che disciplina nel codice di rito i mezzi alternativi di risoluzione delle contoversie laburistiche, considerando che la norma successiva, l'art. 412-quater c.p.c., disciplina il procedimento davanti al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale, sia perché attesa la grande diversità tra la negoziazione assistita e l'arbitrato, non vi sarebbero stati dubbi, anche in assenza del richiamo in questione, sulla possibilità di uso del procedimento arbitrale (Lombardi, op. cit.).
La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro non è strutturata come una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, così come dispone chiaramente l'art. 2-ter d.l. n. 132/2014. Nelle ipotesi in cui, invece, la negoziazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale l'obbligo è assistito dalla introduzione di una eccezione in senso lato, rilevabile sino alla prima udienza, cui segue l'assegnazione di un termine alle parti affinché procedano al tentativo.
L'assistenza dell'avvocato e del consulente del lavoro
Ai sensi dell'art. 2-ter, comma 1, d.l. n. 132/2014, ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può essere assistita anche da un consulente del lavoro. Ne deriva che deve esserci almeno un avvocato per parte la cui assistenza è obbligatoria, mentre la possibilità di assistenza “anche” da parte di un consulente del lavoro è facoltativa. La norma è chiara nell'escludere che entrambe le parti del procedimento possano essere assistite dallo stesso avvocato.
L'espressa menzione dell'avvocato e del consulente del lavoro fa sì che non possa essere ritenuta ugualmente ammissibile l'assistenza di praticanti o di soggetti che svolgano attività affini al consulente del lavoro, sicché solo l'iscrizione nel relativo albo professionale costituirà il discrimen per l'attività di rappresentanza e assistenza (in tal senso Lombardi, op. loc. cit.).
Ci si è domandati quale sia effettivamente il ruolo che può rivestire il consulente del lavoro all'interno del procedimento di negoziazione nelle controversie laburistiche. Considerando che solo l'avvocato ha i poteri di certificazione delle firme delle parti sulla convenzione di negoziazione così come previsti e disciplinati dall'art. 2 del d.l. n. 132/2014, che si aggiungono agli altri poteri certificativi previsti dal codice di rito e dalle leggi speciali, e che, secondo parte della giurisprudenza di merito, spetta all'avvocato il potere di accertare che l'accordo concluso non sia contrario alle norme imperative o all'ordine pubblico, la figura del consulente del lavoro non può che porsi in una funzione di supporto e di affiancamento rispetto al legale delle parti ma non di sostituzione (Lombardi, op. loc. cit.). In quest'ottica rileva ad es. quella recente giurisprudenza di merito che ha affermato testualmente che “la previsione di cui al comma secondo dell'art. 2 d.l. n. 132/2014 richiede che espressamente gli avvocati, oltre a certificare l'autografia delle firme, attestino la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico” (Trib. Roma, sez. IV, 17 giugno 2019 n. 12727) secondo cui se anche è vero che l'avvocato sarebbe già tenuto per dovere di deontologia professionale a rappresentare i vizi di nullità dell'atto al suo assistito, nel caso della negoziazione si richiede che lo stesso attesti formalmente l'osservanza delle norme imperative e dell'ordine pubblico. Questa sentenza dichiara espressamente di non condividere, pertanto, l'orientamento espresso da una sentenza precedente che ha ritenuto una mera irregolarità formale, inidonea a impattare sull'efficacia esecutiva del titolo, l'assenza dell'espressa dichiarazione di conformità da parte degli avvocati alle norme imperative e all'ordine pubblico (così Trib. Bari, ord., 7 settembre 2016).
Del resto il dettato testuale della norma dell'art. 2-ter è chiaro, come già visto, nell'imporre l'assistenza tecnica di un avvocato per parte e nel facoltizzare la presenza di un consulente del lavoro.
Si è giustamente rilevato che il ruolo “succedaneo” del consulente del lavoro rispetto a quello dell'avvocato nel procedimento de quo è altresì confermato dalle nuove facoltà di istruzione della controversia introdotte dalla riforma Cartabia (su cui si veda il successivo paragrafo). Il consulente del lavoro esplicherà tuttavia una funzione di rilevante importanza all'interno dei procedimenti di negoziazione assistita in materia di lavoro, ove vi è spesso la necessità di affrontare questioni contabili, come il calcolo delle retribuzioni non pagate o delle differenze di retribuzione invocate dal lavoratore e simili (in tal senso Lombardi, op. loc. cit.).
L'istruzione della controversia
Infatti a norma dell'art. 4-bis d.l. n. 132/2014, quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, presso il suo studio professionale o presso il Consiglio dell'Ordine degli avvocati, in presenza degli altri avvocati di parte. Le domande rivolte all'informatore e le dichiarazioni da lui rese sono verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, che contiene l'indicazione del luogo e della data in cui sono acquisite, le generalità dell'informatore e degli avvocati e l'attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti previsti dal secondo comma della disposizione (relativi alla qualifica dei soggetti davanti ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione; della facoltà di non renderle; della facoltà di astenersi; delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni; del dovere di riservatezza; delle modalità di acquisizione e documentazione delle stesse dichiarazioni).
A norma del seguente art. 4-ter, quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste. La dichiarazione è resa e sottoscritta dall'avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell'autografia. Il documento che contiene tale dichiarazione fa piena prova di quanto l'avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza, e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. Al documento è espressamente attribuita l'efficacia e le limitazioni di cui all'art. 2735 c.c. Il rifiuto ingiustificato di rendere le dichiarazioni sui fatti sfavorevoli al confitente e favorevoli all'altra parte è valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio, anche ai sensi dell'art. 96, commi 1, 2 e 3, c.p.c.
Anche tali nuove facoltà istruttorie sono attribuite dalle due nuove disposizioni esclusivamente agli avvocati delle parti e, anche per tale considerazione deve ribadirsi quanto già detto prima, ossia che la figura del consulente del lavoro non può che rivestire un ruolo di affiancamento rispetto a quello del legale di parte ma non di sostituzione.
I termini di decadenza stragiudiziale
Ai sensi dell'art. 8 del d.l. n. 132/2014, dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita o della sottoscrizione della convenzione, si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data viene impedita, per una volta sola, la decadenza ma, ove l'invito sia rifiutato o non accettato nel termine dell'art. 4, comma 1 (ossia 30 giorni dalla ricezione dell'invito), la domanda giudiziale deve essere proposta entro lo stesso termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine o dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.
Ai sensi dell'art. 6, comma 1, della l. n. 604/1966 sull'impugnativa dei licenziamenti, il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, o dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche tramite l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento. Ai sensi del co. 2 della disposizione l'impugnazione del licenziamento è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, dal deposito del ricorso o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o di arbitrato.
Si è suggerito di risolvere l'antinomia tra le due norme utilizzando o il criterio cronologico ovvero il criterio di specialità. Se si applica il criterio cronologico prevale l'art. 8 del d.l. n. 132/2014 e quindi, con la comunicazione dell'invito a concludere la convenzione di negoziazione assistita viene impedita anche la decadenza prevista dal citato art. 6 della l. n. 604/1966. Se, invece, si applica il criterio di specialità allora va data prevalenza alla previsione della norma sull'impugnativa dei licenziamenti in quanto norma speciale. A mio parere nell'ipotesi in questione va preferito senz'altro il criterio di specialità; anche se la norma “generale” è successiva deve ritenersi prevalente la disciplina speciale precedente ossia quella relativa all'impugnativa dei licenziamenti, sicché andrebbe rispettato il termine previsto dall'art. 6 della legge n. 604/1966 (nello stesso senso, ritenendo che sia un approccio “più prudente” si veda Serra, La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro, 2.5.2023, in https://www.giuridicamente.com/l/la-negoziazione-assistita-nelle-controversie-di-lavoro/).
Il regime di impugnabilità delle rinunce e transazioni del prestatore di lavoro
La norma dell'art. 2-ter del d.l. n. 132/2014 stabilisce che all'accordo raggiunto all'esito della procedura di negoziazione assistita si applica l'art. 2113, comma 4, c.c. Tale norma, come è noto, stabilisce che le disposizioni dell'art. 2113, commi 1, 2 e 3, c.c., non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185,410,411,412-ter e 412-quater c.p.c. Con questa estensione operata dall'art. 2-ter, l'ambito della non impugnabilità delle rinunce e transazioni stipulate dal lavoratore e relative a diritti indisponibili, si estende anche agli accordi di negoziazione assistita di cui al d.l. n. 132/2014 in materia laburistica.
Va ricordato che alla luce della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione l'effettività dell'assistenza è un presupposto necessario per escludere l'applicabilità dell'art. 2113, nei primi tre commi. Si è infatti precisato che in materia di atti abdicativi del diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o da contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione in sede sindacale, non sono impugnabili a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali, non equipollente a quella fornita da un legale, sia stata effettiva, così da mettere il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura e, in caso di transazione, purché dallo stesso atto si evinca la questione oggetto della lite e le reciproche concessioni delle parti (Cass. civ., sez. lav., n. 24024/2013). Nello stesso senso, con riferimento alla conciliazione in sede sindacale prevista dall'art. 411, commma 3, c.p.c., la Cassazione ha precisato che per verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti dell'organizzazione sindacale bisogna valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente realizzata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella vicenda conciliativa (Cass. civ., sez. lav., n. 4730/2002).
Perché sia applicabile l'art. 2113 c.c., secondo i giudici di legittimità, vanno ritenuti indisponibili non soltanto i diritti del prestatore di lavoro di natura retributiva o risarcitoria collegati alla lesione di diritti fondamentali della persona, ma anche i diritti di natura retributiva che originano dalla legge o dalla contrattazione collettiva che non siano qualificati in maniera espressa come derogabili perché la tutela del lavoratore in quanto parte “debole” del rapporto trova la sua disciplina attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia una espressa previsione in senso contrario (Cass., sez. lav., n. 11659/2008 e da ultimo Cass., sez. lav., n. 24078/2021).
La Corte (Cass. civ., sez. lav., n. 23296/2019) ha anche chiarito che la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme e che sia riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore abbia l'onere di impugnare nei termini di cui all'art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sé a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato (cfr. Cass. n. 9407/2001 e n.1657/ 2008). Nella dichiarazione liberatoria, per essere ravvisabili gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto, è necessario che per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (Cass. civ., sez. lav.,n. 2146/2011, n. 18094/2015 e n. 9120/2015).
In ogni caso, qualora l'assistenza sindacale sia stata effettiva le transazioni relative a diritti del prestatore di lavoro disciplinati dalle leggi o dai contratti collettivi e concluse in verbali di conciliazione stipulati in sede sindacale, non sono impugnabili ma questo non esclude l'esperibilità di eventuali azioni di nullità o di annullamento per vizi del consenso (per la giurisprudenza di legittimità si veda ad es. Cass. civ., sez. lav. n. 16154/2021; nella giur. merito Trib. Cosenza, sez. lav., n. 1475/2019).
La trasmissione dell'accordo
Si prevede, infine, che l'accordo sia trasmesso a cura di una delle parti, entro 10 giorni, ad uno degli organismi di cui all'art. 76 del d.lgs. n. 276/2003.
Si tratta, in particolare, degli organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro; si è rilevato come non sia ben chiaro il fine che il legislatore si propone con questa trasmissione. Si deve infatti escludere che la finalità sia quella di ottenere la certificazione dell'accordo di negoziazione assistita, dato che l'inimpugnabilità dell'accordo di negoziazione consegue direttamente dal fatto che l'accordo è concluso con l'assistenza degli avvocati e dei consulenti del lavoro. Nemmeno tale trasmissione può ritenersi funzionale all'ottenimento dell'efficacia esecutiva dell'accordo di negoziazione che già deriva dalle previsioni di legge (in tal senso Lombardi, op. loc. cit.). Pertanto si è ipotizzato che l'onere sia correlato ad una semplice attività di “verifica e monitoraggio” sul nuovo procedimento di negoziazione delle controversie di lavoro (così Lombardi, cit.).
Si è altresì evidenziato come la previsione sconti anche il rischio di far perdere al procedimento quel carattere di riservatezza che è connaturale alla negoziazione assistita e che ne rappresenta il punto di forza (così Serra, op. loc. cit.) ma, trattandosi di una disposizione che non prevede una specifica sanzione nel caso di mancata trasmissione dell'accordo, può ben ipotizzarsi che essa cada naturalmente in desuetudine.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
La negoziazione assistita nelle controversie di lavoro e la clausola di esclusione dell'art. 412-ter c.p.c.
L'assistenza dell'avvocato e del consulente del lavoro
L'istruzione della controversia
Il regime di impugnabilità delle rinunce e transazioni del prestatore di lavoro