I confini tra ricettazione e incauto acquisto

Ranieri Razzante
14 Luglio 2023

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte afferma che ogni volta che il soggetto agisce accettando il rischio, si configura la ricettazione poiché è sufficiente una conoscenza tale da riconoscere l'antigiuridicità del fatto nelle sue linee essenziali.
Massima

Si configura delitto di ricettazione ogni qualvolta manchi l'indicazione di qualsiasi forma di legittima provenienza, essendo necessario a tal fine non già assolvere a un onere probatorio bensì di mera allegazione.

Il caso

Il ricorrente, per mezzo del proprio difensore, impugnava la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Messina, che riformava il provvedimento di primo grado, ritenendo l'attenuante di cui al comma secondo dell'art. 648 c.p. (id est particolare tenuità del fatto) prevalente sulla recidiva, e rideterminava la pena inflitta all'imputato per il reato di ricettazione avente ad oggetto caprini.

La questione

Il soggetto ricorreva in Cassazione deducendo, in primis, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per la mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 712 c.p., rubricato “Acquisto di cose di sospetta provenienza”.

Nello specifico, il ricorrente lamentava il mancato soddisfacimento dell'obbligo motivazionale in ordine al fatto secondo cui si riteneva configurata la contravvenzione di cui all'art. 712 c.p. A sostegno di ciò la difesa adduceva che la mancanza delle marche auricolari e della documentazione sanitaria degli animali non fosse sufficiente per far sì che venisse integrato l'elemento della consapevolezza della provenienza delittuosa dell'oggetto del reato; e che pertanto fosse configurabile la meno grave ipotesi di c.d. “incauto acquisto”.

In secundis il ricorrente lamentava, e riproponeva davanti alla Suprema Corte, mancanza di motivazione in ordine al motivo mediante il quale era stata eccepita la violazione del divieto di bis in idem, in quanto si riteneva che due sanzioni appartenenti al genere penale e a quello amministrativo fossero illegittime a fronte della medesima condotta.

Attraverso tale doglianza, si riteneva che le sanzioni amministrative assumessero carattere di sanzione sostanzialmente penale irrogate per il medesimo fatto storico. Si aggiungeva, altresì, che il giudice, in sede di determinazione di pena, doveva tener conto della sanzione pecuniaria già previamente irrogata per lo stesso fatto storico.

Ancora, si sosteneva che la Corte di Appello non aveva riconosciuto la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. mediante un generico riferimento alla quantità ed al valore di caprini, senza, tra l'altro, operare una complessiva valutazione del fatto.

Da ultimo, si riteneva violato il vizio di omessa motivazione riguardo alla negazione delle circostanze attenuanti generiche in base alla mancanza di positivi elementi di valutazione e da ciò si faceva discendere, attraverso il medesimo motivo di impugnazione, vizio di motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto concerne il primo ed il secondo motivo di ricorso, la Corte di cassazione dichiarava inammissibile quanto addotto dalla difesa poiché manifestamente infondato.

In prima istanza, la Suprema Corte manifestava l'infondatezza sulla base degli elementi, emersi durante il dibattimento, tra i quali, primo tra tutti, la mancata indicazione di qualsiasi forma di legittima provenienza, tale da far emergere il dolo previsto per la configurazione del reato di ricettazione. La ragione per cui non si riteneva configurabile il delitto di incauto acquisto, disciplinato dall'art. 712 c.p., era che, nel caso in esame, mancava del tutto l'esatta ricostruzione delle modalità di ricevimento dei caprini: circostanza, questa, necessaria per l'esame della diligenza nella ricezione dei beni di illecita provenienza. Invero, in riferimento a quanto affermato dalla Cass. pen., sez. II, 21 aprile 2017, n. 25439, la Corte applicava correttamente il principio di diritto secondo cui in tali circostanze si richiede all'imputato «di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo a un onere di allegazione di elementi,che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice».

In tal senso, mancando ogni possibilità di valutare se al momento dell'acquisto o della ricezione dei caprini vi fossero le condizioni per sospettare della loro provenienza illecita – correlate a parametri quali la qualità, le condizioni di offerta e l'entità del prezzo degli stessi – l'organo giudiziario riteneva disatteso l'elemento imprescindibile consistente nell'onere di allegazione.

In seconda istanza, relativamente alle sanzioni amministrative irrogate per lo stesso fatto si richiamava il principio del ne bis in idem, un divieto in base al quale non si può giudicare una persona, già condannata in via definitiva, per il medesimo evento illecito. Dunque, sulla sostanziale identità dei fatti era centrale appurare che le condotte ascritte all'agente nella pronuncia amministrativa fossero sostanzialmente e naturalisticamente le stesse di quelle oggetto del procedimento penale: difatti, ai fini della preclusione del giudicato, era necessaria la corrispondenza storico-naturalistica del delitto in esame, considerando condotta, evento e nesso causale, ovvero i suoi elementi costitutivi. Nel caso di specie, la Corte non rinveniva alcuna affinità tra la condotta di ricettazione e gli illeciti amministrativi: se da un lato l'art. 648 c.p. punisce la ricezione di un bene di provenienza delittuosa, dall'altro le condotte colpite dalla sanzione amministrativa risultavano del tutto avulse alla struttura del reato analizzato. Invero, ad essere sanzionata non era la ricezione dei beni bensì il trasporto di animali vivi, a prescindere dalla loro eventuale provenienza delittuosa, aspetto irrilevante ai fini della configurabilità degli illeciti amministrativi de quo.

In relazione ai successivi due motivi di ricorso, la Suprema Corte li riteneva manifestamente infondati risolvendosi essi in questioni di merito, tra l'altro aspecifici non sottoponibili al vaglio della Corte adita.

In particolare, per quanto concerne il terzo, il Collegio non riscontrava manifesta illogicità o patologica contraddittorietà della motivazione che, invece, risultava adeguata in quanto la particolare tenuità del fatto non poteva ritenersi configurata in ragione del numero e del valore dei caprini, né tantomeno dell'immissione sul mercato di animali non sottoposti a controlli sanitari. I Giudici rilevavano altresì la corretta applicazione – da parte della Corte d'appello – del principio secondo cui l'applicazione delle attenuanti di cui all'art. 62-bis c.p. non è un diritto che consegue all'assenza di elementi negativi, bensì necessita la presenza di condizioni positive dalla cui assenza deriva il diniego di concessione delle suddette attenuanti. Nello specifico, dunque, l'esistenza di precedenti penali ostava al riconoscimento delle stesse.

In definitiva, in conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso in esame, il ricorrente veniva condannato al pagamento delle spese processuali oltreché al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, in quanto si ravvisava colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Osservazioni

Nell'esaminare l'elemento soggettivo richiesto dalla disposizione di cui all'art. 648 c.p., oltre al dolo che sorregge gli elementi della condotta tipica ed il dolo specifico di profitto, occorre, in via preventiva e necessariamente, indagare il dolo relativo ad un elemento pregresso, antecedente, logico e cronologico del delitto in esame, ossia la conoscenza della provenienza delittuosa del bene ricettato.

Quest'ultima rappresenta il presupposto del crimine di ricettazione, che deve necessariamente essere conosciuto dal soggetto agente affinché questi possa risponderne penalmente. Taluno ha parlato di provenienza delittuosa in senso oggettivo, intesa quale fatto storico; contrariamente, si ritiene di dover spostare l'attenzione sul piano soggettivo e domandarsi, pertanto, se l'agente debba avere la certezza circa la provenienza delittuosa o se sia sufficiente che se la rappresenti come ipotizzabile, pur non avendone piena contezza.

Dunque, si prospetta la possibilità di configurare responsabilità per il reato di ricettazione a titolo di dolo eventuale – sulla base del quale la sanzione verrebbe irrogata in forza dell'accettazione del rischio della provenienza delittuosa –, ovvero preferire una posizione maggiormente garantista. Ciò avrebbe differenti conseguenze sul piano pratico: qualora si aderisse alla prima visione, le condotte di rilevanza penale ai sensi dell'art. 648 c.p. aumenterebbero in modo considerevole; viceversa, se si escludesse la configurabilità della ricettazione a titolo di dolo eventuale, numerose condotte rientrerebbero nella previsione di cui all'art. 712 c.p.

Dall'esigenza di tracciare l'esatto confine tra le due fattispecie, la giurisprudenza di legittimità ha proposto diverse interpretazioni, sostanziatesi poi in diversi filoni giurisprudenziali, che hanno reso necessario l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali hanno optato per una compatibilità tra ricettazione e dolo eventuale.

Da qui si ricava il confine tra le due fattispecie, rappresentato proprio dall'elemento soggettivo: ogni volta che il soggetto agisce accettando il rischio, si configura la ricettazione poiché è sufficiente una conoscenza tale da riconoscere l'antigiuridicità del fatto nelle sue linee essenziali. In definitiva, la prova del dolo può essere raggiunta da elementi anche indiretti, tra cui l'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta.

Riferimenti

R. Razzante, Riciclaggio e reati connessi. Applicazioni giurisprudenziali e di vigilanza, Giuffrè Francis Lebefevre, 2023.

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