La determinatezza delle condizioni per l'esercizio del diritto di riscatto delle azioni

01 Agosto 2023

La neutralità della causa delle azioni riscattabili e la sufficiente determinatezza delle condizioni del riscatto alla luce di una recente pronuncia della Cassazione.
Massima

In tema di società per azioni, il riscatto di azioni ex art. 2437-sexies c.c. costituisce un istituto a causa neutra che consente alla società o ai soci l'esercizio di un'opzione di acquisizione forzosa delle partecipazioni sociali di uno di essi, con l'effetto di comportarne l'uscita dall'ente; detto istituto, assimilabile all'esclusione, se ne differenzia in quanto ammette, in mancanza di altre concrete possibilità, la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società, postulando, in ogni caso, al pari di essa che i presupposti integrativi della fattispecie siano adeguatamente determinati o determinabili, ai sensi dell'art. 1346 c.c.

Il caso

Nel 2017 il Tribunale di Milano con sentenza n.4794 annullava la deliberazione assunta dal consiglio di amministrazione della società “ Alfa S.p.A.” mediante la quale, una volta accertato l'inadempimento del socio A.A., titolare di una quota pari al 10% del capitale sociale, all'esecuzione della prestazione accessoria di raggiungimento degli obiettivi minimi di fatturato annualmente stabiliti ed alla violazione del patto di non concorrenza, nonché l'obbligo del medesimo di vendere il suo pacchetto di partecipazioni, veniva deliberato il riscatto di tutte le azioni per inadempimento di tali obbligazioni poste a carico del socio. Tale decisione era stata assunta per l'asserita mancanza di un documento attestante la predeterminazione oggettiva dei criteri EVA (economic added value) per la determinazione del fatturato, al punto che qualsiasi altro ragionevole criterio di computo dell' EVA, incluso quello alternativo proposto in giudizio dal socio A.A., sarebbe potuta essere applicabile al caso di specie.

Nel 2019 la Corte D'Appello di Milano con sentenza del 5 aprile 2019, riformava la decisione assunta dal giudice di prime cure respingendo l'impugnazione della deliberazione consiliare e respingendo, altresì, la domanda riconvenzionale proposta dalla società, volta alla restituzione della somma di euro…., assertivamente versata indebitamente a corrispettivo del riscatto delle azioni del socio inadempiente.

Secondo la Corte milanese, la delibera assunta dal consiglio di amministrazione della società “ Alfa S.p.A” doveva ritenersi valida in quanto i presupposti e le procedure per la comminatoria della sanzione del riscatto azionario erano sufficientemente determinati grazie alle clausole statutarie, alle “linee guida”approvate dal c.d.a. ed al documento di governo, accettato dal socio.

La domanda riconvenzionale proposta dalla società in primo grado, invece, doveva ritenersi infondata in quanto il c.d.a. aveva deliberato di corrispondere al socio una somma maggiorata e non erano state rinvenute condizioni tali da revocare la decisione più favorevole al socio riscattato previste in detta deliberazione consiliare, concernenti la circostanza che «per qualsiasi motivo il presupposto per lo sfruttamento di lungo periodo del marchio dovesse venire meno».

Avverso tale sentenza della Corte D'Appello di Milano veniva proposto ricorso per Cassazione dal socio riscattato sulla base di tre motivi, cui resisteva la società, la quale proponeva altresì ricorso incidentale per quattro motivi.

Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente deduce che per l'esercizio del potere di riscatto da parte della società, equiparabile ad un'esclusione del socio, è necessaria la determinatezza ex ante dei motivi di esclusione, e che il giudice d'appello aveva male interpretato le regole societarie convenzionali, che indicavano come il c.d. EVA dovesse essere calcolato individuando i ricavi procurati dal socio, e non soltanto quelli relativi alle unità operative al medesimo dirette: violando in tal modo la lettera dei patti societari, ossia l'art. 6.9, lett. b), dello statuto e le linee guida.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduceva l'omesso esame di fatti decisivi, dai quali sarebbe invero risultata l'indeterminatezza dei criteri per l'esclusione: vale a dire, le ammissioni della società circa la mancanza di determinatezza del c.d. EVA, la pluralità di conteggi difformi prodotti dalla stessa a tal fine e la disparità di trattamento con altri soci in analoghe situazioni.

Con il terzo motivo, si duoleva della nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo essa omesso di pronunciare sui motivi d'impugnazione della deliberazione consiliare che neppure il primo giudice aveva esaminato, reputandoli assorbiti, ma che erano stati riproposti in appello ex art. 346 c.p.c.: si tratta del motivi concernenti il mancato rispetto della procedura prevista dallo statuto per il riscatto delle azioni all'art. 6, punto 6; la violazione del contraddittorio e della correttezza e buona fede, in ragione dello scarso tempo concessogli per replicare; la disparità di trattamento, in violazione dell'art. 2348 c.c, il conflitto di interessi dei consiglieri di amministrazione ex art. 2391 c.c. nell'adottare la deliberazione per cui è causa.

Ad aprile 2023 la Suprema Corte con sentenza n. 12498 dichiarava inammissibili il primo ed il secondo motivo di cui sopra, mentre accoglieva il terzo motivo del ricorso principale presentato dal socio A.A. ed al tempo stesso, invece, dichiarava inammissibili i quattro motivi alla base del ricorso incidentale presentato dalla società.

Secondo la Suprema Corte, infatti, i motivi di impugnazione della deliberazione consiliare di cui sopra, non esaminati per assorbimento dal primo giudice, ma adeguatamente devoluti in appello ex art. 346 c.p.c. “riguardano temi affatto estranei a quello affrenato e risolto dall'impugnata decisione, ciò che impedisce di ravvisare al riguardo una pronuncia implicita e palesa, all'inverso, un'omissione di pronuncia. Tali ragioni di dedotta invalidità della deliberazione consiliare, della cui mancata pronuncia il ricorrente si duole nel ricorso, nel rispetto del dettato dell'art. 366 c.p.c., non sono invero state esaminate dalla corte del merito, una volta respinta la questione primaria della validità della clausola e del metodo della sua interpretazione ed applicazione, con conseguente sussistenza del vizio ex art. 112 c.p.c.”.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Nonostante la Suprema Corte abbia cassato la sentenza della Corte di Appello di Milano per violazione dell'art, 112 c.p.c., ovvero per “non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”, accogliendo dunque il terzo motivo proposto dal socio escluso, la questione di diritto sostanziale sul quale verte la controversia principale riguarda la sufficiente determinatezza delle condizioni per l'esercizio del diritto di riscatto, in favore della società, delle azioni con prestazioni accessorie emesse a favore del socio riscattato.

La riforma delle società di capitali avvenuta nel 2003 ha espressamente previsto, all'art. 2437-sexies c.c., la possibilità per una società di capitali di prevedere clausole statutarie che attribuiscano un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al verificarsi di determinati eventi. Tali clausole, pertanto, possono astrattamente trovare applicazione in molteplici situazioni e nella prassi, in particolare, hanno riscontrato una maggiore applicazione in caso di morte dell'azionista al fine di evitare il subentro da parte degli eredi o, come nel caso oggetto di tale commento, di mancata esecuzione delle prestazioni accessorie cui il socio si è obbligato.

In questo modo si permette, infatti, di raggiungere indirettamente il risultato dell' esclusione del socio, istituto non previsto espressamente nelle S.p.A, come diversamente avvenuto per le società di persone, all'art. 2286 c.c, e per le s.r.l. all'art. 2473-bis c.c. secondo cui l'atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa del socio”. Mediante l'esercizio del potere di riscatto, attribuito alla società o ai soci, si determina, dunque, l'uscita forzosa del socio dalla società e tale meccanismo può essere azionato sulla base del verificarsi o meno di determinate condizioni, pattiziamente previste ex ante in sede di costituzione della società o in sede di modifica successiva dell'atto costitutivo o dello statuto.

Quanto sopra esposto viene ribadito anche dai giudici della Suprema Corte secondo cui: "Il riscatto azionario, dunque, si configura quale istituto “causalmente neutro”, nel senso che lo statuto può prevederlo per obiettivi vari, sebbene esso conduca comunque all'uscita del socio dalla società, tipico essendo piuttosto il meccanismo operativo per cui, al verificarsi di determinate condizioni, la società (o i soci) possono manifestare la loro intenzione di acquisire forzosamente dal socio le partecipazioni sociali relative, che costituisce l'esercizio di un diritto potestativo.

Ove la società o il socio, titolari del potere, esercitino il diritto di riscatto, si realizzano così gli effetti propri dell'esclusione dalla società: il socio perde la sua qualità, o la perde per quel determinato pacchetto azionario".

Le azioni riscattabili, dunque, possono essere validamente utilizzate, come nel caso di specie, al fine di rafforzare l'obbligazione di esecuzione delle prestazioni accessorie, poste a carico del socio in forza dell'art. 2345 c.c., il quale permette alla società di garantirsi utilità, quali prestazioni d'opera e di servizi, altrimenti non ottenibili a titolo di apporto. Com'è noto, si discute sulla fonte delle prestazioni accessorie, in particolare se queste costituiscano l'oggetto di obbligazioni sociali oppure ineriscano ad un rapporto contrattuale diverso da quello sociale. Oltre all'obbligo dei conferimenti, infatti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in denaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Ove siano previste sanzioni per il caso dell'accertamento dell'inadempimento del socio agli obblighi connessi alle azioni con prestazioni accessorie, pertanto, lo statuto deve indicarle in modo determinato o determinabile, nel rispetto del requisito comune ex art. 1346 c.c. L'introduzione, nel nostro ordinamento, a seguito della riforma del 2003, della categoria delle azioni riscattabili ha permesso, agganciandosi alle prestazioni accessorie quale patto aggiunto, di contemplare anche l'effetto dell'uscita del socio dalla società, con conseguente obbligo di corresponsione al medesimo del dovuto.

In tal caso, la mancata esecuzione della prestazione accessoria costituirà nel contempo inadempimento all'obbligo di questa ed integrazione della fattispecie pattizia, legittimante il titolare del potere di riscatto delle azioni al suo esercizio.

Alla luce delle disposizioni di diritto positivo sugli istituti coinvolti, così come delle regole generali di interpretazione negoziale, è rimesso al giudice del merito di verificare se gli accordi societari contemplino presupposti adeguatamente determinati, o determinabili, per l'esercizio del diritto di riscatto e se – nella specie – essi dovessero reputarsi integrati secondo la volontà dei paciscenti, come sostenuto del socio, tenuto conto dei risultati economici conseguiti dal medesimo come tale e per intero, oppure, secondo la tesi della società, accolta dalla sentenza impugnata, soltanto avuto riguardo alle unità operative (EDR), di cui il socio era direttore.

Tale questione deve, dunque, essere risolta sulla base delle norme che regolano l'interpretazione del contratto.

Come sostenuto dalla Suprema Corte: "gli strumenti dell'interpretazione letterale e dell'individuazione del senso che emerge dal complesso dell'atto e del regolamento negoziale (art. 1363 c.c.) sono legati da un rapporto di necessità ed interdipendenza, assumendo funzione fondamentale nella ermeneutica negoziale, non potendosi isolare frammenti letterali del testo, ma dovendosi considerare il negozio nella sua complessità, raffrontare e coordinare tra loro parole e frasi, al fine di ricondurle ad armonica unità e concordanza, in particolare in presenza di più atti coordinati, essendo, quindi, richiesto di ricostruire la concreta funzione economica dell'intera operazione negoziale". Il giudice, quindi, deve procedere secondo un iter che, partendo dall'accertamento del senso letterale di ciascuna clausola o patto, provveda poi a verificarlo nel confronto reciproco ed, infine, lo armonizzi razionalmente nella valutazione unitaria degli accordi raggiunti tra le parti. Nel caso di specie, la parte ricorrente si limita ad offrire alla Corte una possibile interpretazione alternativa, non portando elementi sufficienti al fine di constatare l'erronea valutazione ermeneutica operata dal giudice di merito, cui l'attività di interpretazione del contratto è riservata.

Osservazioni

Ciò posto, è da ritenersi integralmente condivisibile la decisione assunta dalla Cassazione alla questione centrale affrontata nel provvedimento in esame circa la sufficiente determinatezza delle condizioni di riscatto. La Corte Milanese ha, infatti, ritenuto, da un lato, che i presupposti e le procedure per la comminatoria della sanzione del riscatto azionario fossero determinati (per l'anno 2013, unico in contestazione), in quanto regolati dai parametri indicati, in modo adeguatamente specifico, dalle clausole statutarie, dalle “linee guida” e dal “documento di governo”, dal momento che in essi si indica il parametro minimo da conseguire come ancorato alla «capacità di originare redditività in termini di EVA di almeno €…. se consulenza o ricerche..., € …..se multiclient o eventi speciali» da parte del socio.

Dall'altro lato ha, altresì, reputato che tale parametro minimo, così delineato, dovesse riferirsi non ai risultati comunque ottenuti dal socio con la propria attività – e, dunque, ove presenti, anche con riguardo ai risultati delle aree geografiche che il medesimo era preposto a governare (“leader”) – ma soltanto entro le unità operative (c.d. “EDR” o enti di responsabilità) a ciascuno socio affidate: ha argomentato in tal senso per evitare sovrapposizione di dati e calcoli e duplicazioni, in quanto un risultato potrebbe essere calcolato più volte, una volta per capo area ed una volta per il direttore di unità, con sommatoria superiore al c.d. EVA totale della società, nonché sembrando tale modalità conforme all'organizzazione della società e per essere stati in tal modo fissati i requisiti per l'ingresso di nuovi soci.

Il socio ricorrente, al contrario, non è stato in grado di evidenziare obiettive carenze o insanabili contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, in quanto il ricorrente si limita a rivendicare un'alternativa interpretazione plausibile più favorevole. Come osservato dalla Suprema Corte, per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra.

Conclusioni

La sentenza analizzata in primo luogo ribadisce come le azioni riscattabili possono considerarsi come un duttile strumento al fine di provocare la fuoriuscita del socio inadempiente ad una prestazione accessoria. In tal modo si permette all'autonomia statuaria di replicare gli effetti tipici dell'istituto della esclusione del socio, espressamente previsto per le società di persone e per la s.r.l., e, come sostenuto dalla dottrina preferibile, non applicabile analogicamente alle S.p.A.

il Legislatore, infatti, ha già espressamente previsto una fattispecie, ovvero il riscatto azionario, la quale, in ossequio alle scelte statutarie adottate e nel rispetto del rilievo centrale assunto dalle azioni nelle società azionarie, potrà essere utilizzata al fine di espungere dalla compagine sociale il socio cui siano riferibili determinati eventi o condotte rispondenti, se del caso, a una “giusta causa” di esclusione.

I presupposti integrativi della fattispecie del riscatto azionario dovranno comunque essere adeguatamente determinati o determinabili nel rispetto dell'art. 1346 c.c. ed in caso di contrasto la parte ricorrente dovrà rappresentare elementi idonei a far ritenere la valutazione ermeneutica operata dal giudice di merito, non limitandosi ad offrire una interpretazione diversa delle clausole fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre.

Guida all'approfondimento

L. CALVOSA, La clausola di riscatto nelle società per azioni, Milano, 1995

G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Vol. II, Diritto delle società, a cura di M. CAMPOBASSO

Massima n. 198 CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Penali statutarie e liquidazione delle azioni in caso di riscatto o esclusione (artt. 2342, 2345, 2437-sexies, 2473-bis c.c.), consultabile in consiglionotarilemilano.it

F. MAGLIULO, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milano, 2004

M. VITALI, le azioni riscattabili, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2013.

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