L'inadempimento dell'acquirente di partecipazioni societarie: alcune pronunce di merito
Non essendovi, come anticipato, disposizioni di legge specifiche sul contratto di cessione di partecipazioni – la normativa speciale del diritto societario è avara di disciplina, limitandosi a statuire che “le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi… salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo” (art. 2469 c. 1 c.c.) – e, ancor meno, sul suo possibile inadempimento, trovano pertanto applicazione le norme generali del Codice civile.
A fronte dell'inadempimento dell'acquirente – che, ai sensi dell'art. 1455 c.c. deve essere “grave” – dell'obbligo di corrispondere il prezzo d'acquisto delle quote (o azioni), la controparte avrà, dunque, diverse possibilità:
- chiedere l'adempimento del contratto;
- chiedere la risoluzione del contratto.
- in ogni caso, chiedere il risarcimento del danno subito.
La risoluzione può essere ottenuta in presenza di una clausola risolutiva espressa nel contratto (art. 1456 c.c.) oppure mediante una diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.).
Va detto che l'inadempimento dell'acquirente non è così frequente nella prassi, in quanto il pagamento del prezzo è di norma contestuale al perfezionamento della cessione davanti al notaio. Poiché il venditore incassa in tempo reale l'intero prezzo, non si pongono problemi di recupero del credito. Talvolta, tuttavia, il pagamento del prezzo viene dilazionato nel tempo, dal ché derivano rischi di ritardato o addirittura mancato pagamento.
Dal punto di vista della disciplina legislativa, non ci sono disposizioni particolari che stabiliscono quando il prezzo debba essere pagato. Addirittura, la legge rinvia al contratto: secondo l'art. 1498 c. 1 c.c. “il compratore è tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto”. Il successivo c. 2 dell'art. 1498 c.c. specifica che “in mancanza di pattuizione … il pagamento deve avvenire al momento della consegna e nel luogo dove questa si esegue”. Pertanto, poiché ciò che viene “consegnato” è la quota di partecipazione, il pagamento del prezzo – in assenza di pattuizioni particolari – va effettuato davanti al notaio al momento del rogito.
Le pattuizioni contrattuali circa il momento del pagamento del prezzo possono essere le più diverse. Le clausole più radicali sono le seguenti:
- il prezzo viene pagato tutto prima del rogito;
- il prezzo viene pagato tutto al momento del rogito;
- il prezzo viene pagato tutto dopo il rogito.
Con una certa frequenza sono però previsti nel contratto dei meccanismi di pagamento rateale del prezzo, ad esempio si può prevedere che:
- una parte del prezzo viene pagata prima del rogito e l'altra parte al rogito;
- una parte del prezzo viene pagata al rogito e l'altra parte dopo il rogito;
- ancora più articolato: una prima parte del prezzo viene pagata prima del rogito, una seconda parte al rogito e una terza parte dopo il rogito.
Il Tribunale di Milano (Trib. Milano 30 luglio 2019), in un caso in cui l'acquirente non aveva pagato il saldo del prezzo delle quote acquistate (né aveva offerto garanzie per il pagamento), ha disposto – su richiesta di un venditore – il sequestro sulle quote della società compravenduta. Il caso può essere illustrato come segue. Il venditore aveva concluso un contratto di vendita del 100% del capitale di una s.r.l. per il prezzo complessivo di 226.849 euro. Circa metà del prezzo veniva pagato in occasione della conclusione del contratto, ma le parti concordavano che la restante somma venga pagata in 30 rate mensili, ciascuna dell'importo di 3.800 euro. Il venditore, consapevole di correre un rischio a fronte della dilazione di pagamento, inseriva nel contratto una clausola in forza della quale l'acquirente doveva ottenere da una banca e consegnare al venditore – entro un certo termine - una fideiussione bancaria a prima richiesta. L'acquirente, tuttavia, non si procurava la fideiussione. Il venditore agiva dunque in giudizio, chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita della partecipazione per inadempimento grave dell'acquirente e, nelle more, il sequestro conservativo ai sensi dell'art. 671 c.p.c. Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda presentata dal venditore e ha autorizzato il sequestro delle quote pari al 100% del capitale sociale della s.r.l. oggetto di compravendita.
Il Tribunale di Napoli (Trib. Napoli 14 marzo 2023) si è occupato, molto recentemente, del ritardato pagamento del prezzo di acquisto di una quota di s.r.l. Di seguito la vicenda. Con contratto di compravendita, era stato venduto il 10% del capitale della società per un corrispettivo di 2.000 euro, da pagarsi in due rate, ciascuna di 1.000 euro. L'acquirente pagava ambedue le rate, ma con un ritardo rispetto al termine previsto: ritardo di 3 mesi per la prima rata e di 11 mesi per la seconda rata. A questo punto, il venditore rifiutava il complessivo pagamento e restituiva i 2.000 euro al compratore. Il venditore dichiarava pertanto che il contratto di compravendita dovesse intendersi risolto per il grave ritardo del compratore nel pagare il corrispettivo e intimava all'acquirente di retrocedergli la quota del 10% del capitale della s.r.l. Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda e dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita. Il ritardo nei pagamenti era, nel caso concreto, troppo significativo per essere privo di conseguenze giuridiche: il venditore, avendo dovuto attendere così tanto per il pagamento, aveva perso interesse all'operazione.
Un altro caso è stato trattato recentemente dal Tribunale di Catanzaro (Trib. Catanzaro 28 dicembre 2022). Una s.r.l. e un suo socio vendevano a un terzo il 10% della società. Nel contratto veniva previsto un termine entro il quale il prezzo deve essere pagato dopo il rogito. L'acquirente, tuttavia, non corrispondeva il prezzo nel termine pattuito, cosicché il venditore agiva in giudizio per la risoluzione del contratto, limitandosi a produrre il contratto di compravendita e allegando che il prezzo non era stato pagato. Poiché l'acquirente si costituiva in giudizio tardivamente, il giudice dichiarava inammissibile la documentazione prodotta, conseguendone la mancata dimostrazione, ad opera dell'acquirente, del pagamento del prezzo. Secondo il Tribunale di Catanzaro spetta infatti all'acquirente dimostrare di avere pagato il prezzo, trattandosi di un fatto estintivo della pretesa altrui (ossia del diritto del venditore di essere pagato). Ne derivava, altresì, la declaratoria di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del compratore.
Anche il Tribunale di Torino (Trib. Torino 3 maggio 2022) si è occupato della risoluzione di un contratto di compravendita di partecipazione sociale per mancato pagamento dell'intero prezzo di acquisto rateizzato. Con atto notarile veniva venduto il 100% del capitale di una s.r.l. per un prezzo complessivo di 350.000 euro. Le parti si accordavano anche sulla tempistica del pagamento: 50.000 euro avrebbero dovuto essere pagati con assegno bancario al rogito notarile, mentre il saldo prezzo (300.000) sarebbe stato pagato in sei rate annuali, ciascuna di 50.000 euro. L'acquirente, tuttavia, non pagava nemmeno una delle rate del prezzo. La venditrice, stragiudizialmente, diffidava l'acquirente a pagare. Poiché la compratrice rispondeva di non essere finanziariamente in grado di saldare il corrispettivo, la venditrice si rivolgeva al Tribunale di Torino, chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto la condanna dell'acquirente a retrocedere la partecipazione sociale. La soluzione del caso è piuttosto semplice, in quanto l'inadempimento – seppur non totale – è particolarmente grave. Il giudice torinese dichiarava dunque la risoluzione del contratto di cessione di partecipazione sociale e condannava l'acquirente alla restituzione alla venditrice della piena proprietà della partecipazione.
Si è accennato al fatto che, se il prezzo non viene pagato, il venditore può chiedere l'adempimento (il pagamento dell'intero prezzo o il saldo di quanto non ancora corrisposto) o – in alternativa – la risoluzione del contratto. Le due domande sono incompatibili, in quanto la prima mira alla perfetta esecuzione del contratto e dunque alla conservazione di esso, mentre la seconda alla sua eliminazione.
Un modo semplice per ottenere la risoluzione del contratto è la diffida ad adempiere: si ingiunge all'altra parte di adempiere entro un ragionevole termine e, in caso di mancato adempimento, il contratto si risolve. La diffida ad adempiere può essere utile quando non vi è una clausola risolutiva espressa e si vuole evitare (o meglio: cercare di evitare) che la questione giunga all'autorità giudiziaria. Il meccanismo è descritto nell'art. 1454 c.c.: “alla parte inadempiente l'altra parte può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro risoluto” (c. 1); “decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto” (c. 3).
In proposito, si richiama una pronuncia (Trib. Milano 27 maggio 2021) con la quale il Tribunale di Milano si è occupato di diffida ad adempiere proprio con riferimento a una compravendita di partecipazioni sociali. Veniva concluso un contratto preliminare di compravendita del 36,19% di una s.r.l. per il prezzo di 217.509 euro da corrispondersi ratealmente. L'acquirente pagava una parte del prezzo (100.000 euro), ma proponeva di pagare il saldo prezzo mediante cambiali. La venditrice, contraria a questa modalità di pagamento, e volendo in particolare che i titoli cambiari fossero firmati per avallo dai soci dell'acquirente, diffidava la compratrice ad adempiere al contratto con queste particolari modalità. L'acquirente, ritendo invece che il venditore dovesse accettare il pagamento mediante cambiali senza avallo e reputando perciò inadempiente la venditrice, agiva in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione dei 100.000 euro già versati. Il Tribunale di Milano rigettava la domanda. Si ricorderà infatti che il venditore aveva diffidato l'acquirente ad adempiere, senza successo. Decorso il termine fissato nella diffida, il contratto si era automaticamente risolto. Ne consegue che l'azione in giudizio dell'acquirente volta a ottenere la risoluzione è infondata: non si può risolvere un contratto che è già stato risolto per effetto della diffida ad adempiere.