Cessione ramo d'azienda illegittima: su chi gravano gli obblighi contributivi?
06 Settembre 2023
Tenuto conto che la responsabilità per il pagamento dei contributi si basa sulla titolarità del rapporto di lavoro, può affermarsi che prima della dichiarazione di illegittimità della cessione del ramo d'azienda non sussistono in capo al cedente né gli obblighi retributivi né quelli contributivi se il lavoratore ha offerto la propria prestazione ma questa sia stata rifiutata senza giustificazione?
In base agli artt. 1218 e 1256 c.c. la "sospensione unilaterale" del rapporto da parte del datore è giustificata - ed esonera il medesimo dall'obbligazione retributiva - solo quando non sia imputabile a fatto dello stesso. Tale regola trova applicazione anche quando il lavoratore abbia continuato, di fatto, a rendere la prestazione in seguito ad una cessione illegittima di ramo d'azienda.
Infatti, in tale ultima ipotesi, le retribuzioni corrisposte dal cessionario, il quale abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore del cedente, non producono un effetto estintivo dell'obbligazione retributiva gravante sull'alienante che abbia rifiutato, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa.
Alla luce di quanto sopra, la permanenza dell'obbligazione retributiva in capo al cedente implica contestualmente la configurabilità della relativa obbligazione contributiva previdenziale, che è alla prima correlata geneticamente.
Sul punto si rammenta che la base imponibile dell'obbligazione contributiva prescinde dall'eventuale inadempimento del datore e che, in linea generale, l'obbligo contributivo del datore perdura a prescindere dalle vicende concrete dell'obbligazione retributiva. L'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo, infatti, comporta che l'obbligazione contributiva non è esclusa dall'inadempimento retributivo del datore, non ostando, inoltre, alla configurabilità del debito contributivo in capo all'alienante la corresponsione dei contributi previdenziali da parte del cessionario in relazione alle retribuzioni pagate ai lavoratori nel periodo di efficacia della cessione. Una volta che quest'ultima è stata dichiarata non conforme alla legge, infatti, il pagamento non sarebbe più riconducibile al datore formalmente titolare del rapporto, ma a un terzo a ciò non autorizzato.
Se in linea generale è vero che qualsiasi terzo può intervenire nel rapporto obbligatorio altrui, tacitando le pretese creditorie, non è altrettanto vero che possa farlo sempre, e ciò in ragione della presenza, nel caso concreto, di interessi giuridicamente apprezzabili del creditore che possono paralizzare l'intervento del soggetto estraneo. Ciò si riscontra nei regimi previdenziali ove l'obbligo di versare i contributi ha natura inderogabile ed è indisponibile (art. 2115, co. 3, c.c.).
Le connotazioni soggettive di colui che adempie non risultano, pertanto, indifferenti per l'ente previdenziale-creditore, sicché può affermarsi che, in caso di cessione di ramo d'azienda dichiarata illegittima, permane l'obbligo contributivo previdenziale del cedente anche in relazione al periodo per il quale la prestazione lavorativa è stata resa in favore del cessionario, restando irrilevanti sia le vicende relative alla retribuzione dovuta dal cedente, sia l'eventuale pagamento di contributi da parte del beneficiario della cessione per lo stesso periodo, purché ovviamente la prestazione sia stata offerta dal lavoratore al datore-alienante e, come già detto, sia stata da quest'ultimo ingiustificatamente rifiutata. |